sabato 14 agosto 2010

Che tristezza la schizofrenia del Pdl


Da Ffwebmagazine del 14/08/10

La politica dei berluscones è schizofrenica. Non è un’opinione offensiva o una convinzione personale, ma ciò che oggettivamente si deduce leggendo dichiarazioni e valutando nel merito prese di posizione non tanto velate. Sembra quasi che la mano destra del fu Pdl non sappia cosa faccia la sinistra, quasi come una squadra di calcio senza metronomo di centrocampo, ma con un’accozzaglia di attaccanti che corrono di qua e di là senza senso tattico. O che forse lo celano colposamente.

Anche oggi Il Giornale dedica le consuete tredici pagine di fango a Gianfranco Fini e ai suoi familiari, con risvolti prima personali e, solo marginalmente, politici: è francamente molto difficile non considerare il premier come mandante della campagna mediatica abbattutasi contro il presidente della Camera. Almeno a volersi limitare alla carta, che canta sempre: gli scripta che non sono confutabili, non sono parole da smentire o da capovolgere con voli pindarici. Pare invece che, nonostante manchino due anni alle prossime Olimpiadi, ci sia più di qualcuno che abbia già iniziato a fare incredibili capriole e salti con l’asta, autoprovocandosi intense nevralgie, con conseguente confusione di pensieri e di piani d’azione.

Sarebbe ora di farla finita con i doppi registri, semplicemente perché non sono credibili. Quel che conta non sono i fiumi di parole vomitati dagli uffici stampa che, giustamente, li diffondono alle agenzie. Né le interviste doppie, quasi stessimo di fronte a una puntata delle Iene caratterizzata dalla doppiezza degli intervistati e delle domande; nemmeno le migliaia di indiscrezioni riferite (rigorosamente sotto l’anonimato) da questo o da quel peones di Palazzo Grazioli, circa l’ultima barzelletta berlusconiana sul presidente della Camera e signora, o sulle tiepide rassicurazioni che da Palazzo Chigi partono alla volta delle Stromboli o di Castel Porziano, alle orecchie di un Capo dello Stato prima invocato e poi offeso, sempre sulle pagine di quel Giornale là.

Ciò che realmente resta sul campo di battaglia sono i titoli di quel Giornale là. Perché nasconderlo? E a nulla servono queste benedette colombe che, allo stato delle cose, servono solo a spargere una fitta nebbia in uno scenario di cui non si riconoscono più nemmeno i contorni. Di esempi se ne potrebbero citare molti. Sterzate, correzioni, bastoni e carote: sintomi di una politica arruffata e perennemente mascherata, ma dal cui interstizio è facilmente riconoscibile la vera centrale di comando. È fra i menabò del Giornale, di quella che un tempo era la nave ammiraglia del liberalismo, di quel giornalismo di qualità mai asservito, montanellianamente con la schiena dritta. E che oggi non è più tale, tramutata in un bunker sempre in stato di altissimo defcom, per citare una metafora cara agli amanti della guerra fredda. Da lì si avvia la stoccata quotidiana, la traccia mediatico-politica nella quale, poi, far confluire con comodo e solo con il passare delle ore pomeridiane le smentite, le correzioni, i non volevo, i non pensavo, i non credevo, ma che alla fine è meglio che faccia un passo indietro, perché, per come, e così.

Esempio lampante è l’ennesimo teatrino andato in scena due giorni fa: riferiscono i quotidiani che Berlusconi abbia sentito telefonicamente Giorgio Napolitano, rassicurando personalmente il Capo dello Stato sulla “volontà di proseguire la legislatura rafforzando l’azione di governo”. Ma poi che fa il presidente operaio, ad interim, ancora ministro dello Sviluppo economico? Pensa bene di minacciare i dissidenti finiani, agitando lo spettro delle urne anticipate, o della campagna acquisti (ma, lo avvisiamo, solo fino al 31 agosto, perché poi inizia il Campionato), lasciando che sul Giornale di famiglia sia avallata una raccolta di firme per far dimettere una carica istituzionale (non un consigliere dell’associazione “Amici del provolone”, con tutto il rispetto per il pregiato prodotto caseario), nemmeno fosse un coupon per la raccolta di punti carburante.

Ecco, loro pensano che tutto sia svilibile, aggiustabile, accomodabile. Che l’intera questione sia né più né meno come la tessera carburante, da riempire (con le firme) per avere diritto ai regali. La cosa di cui si discute, invece, si chiama politica. E non si fa in questo barbaro modo.

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