venerdì 13 agosto 2010

Volano le colombe? Ma vale quel che dice il Giornale

Da Ffwebmagazine del 13/08/10

Falchi, colombe. Colombe e falchi. E poi passerotti, cornacchie, canarini, gazze ladre e piccioni viaggiatori. Al di là di possibili interessi ornitologici, sempre legittimi per carità, ciò che resta della politica agostana non è quel che sembra arrivare dagli uffici stampa o quel che filtra diplomaticamente da dichiarazioni o interviste a trecentosessanta gradi, ma molto più semplicemente quel che è.

Un vecchio detto rabbinico dice che “se Dio ci ha dato una bocca e due orecchie è per ricordarci che dobbiamo saper ascoltare il doppio di quanto parliamo”. Tradotto dalle parti di questa Italietta di inizio millennio, significa che è inutile far volare colombe portatrici di ramoscelli di ulivo (stagionato e ormai secco), quando poi nell’immaginario collettivo permangono gli ettolitri di veleno irrorati puntualmente dal Giornale, nemmeno fosse uno di quegli aerei da turismo riconvertiti in spargi-fertilizzanti.

Quando le colombe berlusconiane si dilettano in analisi e colloqui che vorrebbero, nelle intenzioni, distendere, non tengono nella debita considerazione le consuete manganellate mediatiche di chiara derivazione, già richiamate su queste colonne. Che appartengono a un giornalismo che non è giornalismo. Ad esempio, il Presidente del Senato auspica giustamente la «cessazione del conflitto politico-istituzionale e il ricompattamento della maggioranza». E aggiunge: «Si depongano le armi e prevalga il senso di responsabilità, vengano bandite forme di rivalsa e di ritorsione, questo scambio di accuse violente che ha superato ogni limite. Va cercata una mediazione: ce n’è la possibilità e ce n’è l’esigenza nell’interesse generale». Ma poi come la mettiamo con i pedinamenti o con le supposte "missioni informative", come quella ventilata in Sicilia sulle tracce del pericoloso Fabio Granata e delle sue cartelle esattoriali?

Era dello stesso tono quella nota ufficiale di Palazzo Chigi con cui si dichiarava di «apprezzare l’apertura dei senatori finiani e di confidare ancora in una ritrovata unità». Ma ecco che parte, sotto la direzione di Feltri, la produzione di un’ingente dose di non-informazione (chiamarla informazione sarebbe un insulto ai maestri del passato): come chiamarla? Si potrebbe provare con deduzioni faziose, accostamenti assurdi, campagne diffamatorie. Liberi di scegliere.

Piero Ostellino in un fondo di ieri sul Corsera, rammentando Alexis de Tocqueville e uno dei grandi pilastri della democrazia liberale, ovvero la libera informazione, ha scritto che «non è compito dei media indipendenti organizzare e condurre campagne pro o contro uomini e partiti politici per delegittimarne il ruolo istituzionale. Dovere dei media è riferire fatti ed esprimere giudizi verificabili nei fatti. Il resto è militanza politica. Legittima- ha concluso- ma altra cosa dal giornalismo».

È da ingenui, dunque, non voler vedere questa sorta di tenaglia: da un lato si mette in moto la quotidiana rotativa spargi fiele del Giornale (che non sembra comunque appartenere a quella schiera di “stampa indipendente”, almeno stando ai dati che si evincono dalla lettura della gerenza). E dall’altro, si inviano timidi e ipocriti segnali pseudo-distentivi. Ma insomma, a cosa serve fare il gesto di porfere la mano e intanto fiancheggiare fabbriche di fango, magari con qualche scrollata di spalle? Ecco, questo è niente altro che un fatto e, come diceva Aldous Huxley, «i fatti non cessano di esistere solo perché noi li ignoriamo».

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