venerdì 1 giugno 2012

La rivoluzione del secolo: o si fa l'Unione o addio euro

Jacques, Gerhard, Tony? Hanno sbagliato. Poco, molto e in tanti altri, sia chiaro. E oggi anziché avere gli Stati Uniti d’Europa, come autorevole convitato al G3 con Usa e Cina, abbiamo un’Europa economicamente e politicamente balcanizzata, senza una regia comune e con il precipizio della krisis che è a un passo. Ma da cui ci si può allontanare solo costruendo realmente quell’Unione che, fino ad oggi, è drammaticamente mancata. Gli spunti di giganti come Altiero Spinelli e Giscard d’Estaing dovrebbero essere recuperati e attualizzati dal triumvirato Monti-Hollande- Merkel, magari partendo dai limiti strutturali che i leader di ieri non sono riusciti a superare completamente e che oggi si stagliano come macigni. A sentire le parole dell’ex cancelliere tedesco Schroeder (nominato da Gazprom a capo del consorzio Nord Stream AG) intervistato dal Corriere della Sera sembra quasi che non abbia ricoperto quel ruolo a palazzo del Reichstag a Berlino. Perché quando affonda giustamente la “lama” nelle deficienze europee di oggi dovrebbe fare serenamente mea culpa assieme agli altri grandi leader di due lustri fa, rei di politiche che semplicemente non sono riuscite a impedire il default attuale. E non solo della Grecia, ma di quella reazione a catena che sta coinvolgendo in queste ore ad esempio le banche spagnole. In discussione, dunque, è il modello continentale di un’Europa che Schroeder giustamente epiteta come una mancata unione. Della serie: l’analisi è corretta, ma sarebbe opportuno che la “lezione” fosse rivolta non ai cittadini bensì agli interpreti che non hanno saputo metterla in pratica.

Perché a soffrire non sono soltanto singole economie con propri tessuti imprenditoriali e bancari locali, quanto un si-stema che non è uniforme. E che, complici errori macroscopici passati, stenta a dotarsi di contorni unitari che invece dovrebbero plasmare quegli Stati Uniti d’Europa di cui c’è un disperato bisogno. Accusa Angela Merkel di ragionare solo in termini elettorali, quando invece servirebbe una visione ampia e a lungo respiro, come le tre priorità che individua in questa complicata contingenza: il patto fiscale; fondi di coesione per i paesi più deboli; gli eurobond. Su questi ultimi rileva che dovrebbero procedere di pari passo con riforme strutturali di ogni singolo paese. E a quel punto si otterrebbero due risultati: si procederebbe all’europeizzazione del debito e a quel punto la principale oppositrice, frau Angela, non avrebbe più motivi razionali per continuare a dire “no”. «La crisi è sostanzialmente politica - aggiunge - all’inizio abbiamo creduto con l’euro di poter fare un progetto politico forse anche contro la razionalità economica, ciò non è accaduto». Per questo si aggancia alla contingenza della crisi greca, su cui si esprime nettamente: «Atene faccia le riforme, ma nella consapevolezza che serve del tempo perché non si possono certamente fare in una sola notte». E dice: un’Europa senza Atene? Vorrebbe dire che «i mercati hanno sconfitto la politica».

La chiave di volta, come ripetono tutti, è la crescita: ma come attuarla quando la costante continentale si chiama “apnea”? Il riferimento è a una cronica mancanza di ossigeno in tutti i settori, dove il denaro non circola, il mercato interrompe il suo circuito di spo¬stamenti. Come giustamente osservato dal vertice della Banca d’Italia Visco, troppe tasse si rivelano incompatibili con la crescita, per cui la priorità di azione che tutti gli interpreti continentali dovrebbero (insieme) attuare è reperire tagli di spesa che compensino il necessario ridimensionamento del peso fiscale. E farlo con la regia, seria e autorevole, di un commissario europeo alle finanze che si comporti come un vero e proprio ministro d’Europa. 

Eccolo il tallone d’Achille dell’Ue. Fino a quando tutti gli stati membri non metteranno da parte il proprio protagonismo e non comprenderanno l’importanza vitale di avere una governance europea sovranazionale che attui politiche programmatiche comuni ed efficaci, i default si susseguiranno, le crisi non saranno episodiche. E soprattutto non ci sarà alcuna Unione, ma solo agglomerati statali che fingono di sedere allo stesso tavolo, con ognuno destinato a cibarsi di quello che il proprio “convento sarà in grado di passargli”. Era questo lo spirito di Ventotene?
 
Fonte: il futurista quotidiano del 1/6/2012
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