martedì 3 aprile 2012

Budapest 1956: la disinformazione contro la libertà

Janos Kadar e Karl Kisse erano due esponenti del nuovo governo ungherese “normalizzato”, intervistati dal primo numero del 1957 di Rinascita. Dove Luigi Longo ricostruì i “fatti” di Budapest con quell’intervista in cui si asseriva che Imre Nagy altro non fosse se non un politico disonesto. Molti intellettuali avallarono le calunnie del Pci: lo sostiene un interessante pamplet di Alessandro Frigerio che riapre la ferita storica del 1956, quando i “fatti” ungheresi provocarono la scossa sismica a sinistra, non solo all’interno del partito di Togliatti, ma anche nelle coscienze di chi, poi, intese prendere un’altra via proprio alla luce di quegli atteggiamenti. In Budapest 1956 la macchina del fango, la stampa del Pci e la rivoluzione ungherese: un caso esemplare di disinformazione, l’autore mette l’accento su un senso di “deviazione” informativa che ha fatto scuola. Con tesi sostenute da fatti non veri, argomentazioni fasulle e al solo scopo di deviare l’attenzione semplicemente dalla storia che si stava compiendo. Sotto gli occhi di un mondo che ancora non riusciva a vedere al di là del proprio uscio.

 Il libro evidenzia come l’invasione dei carri armati venne difesa con evidenza grazie alla «volontaria complicità della maggior parte del mondo culturale che gravitava attorno al Pci». Una posizione morbida tenuta anche nel preciso istante in cui l’esercito sovietico stava di fatto sopprimendo i vagiti di libertà di chi intendeva ribellarsi, sull’onda emotiva che portò Jan Palach ad immolarsi. Respinta e combattuta da Mosca, la rivolta fu al centro di un’opera di bieca disinformazione da parte della stampa italiana di sinistra che avviò una precisa e chirurgica campagna contro lo stesso Nagy, con le bocche di fuoco che si aprivano anche dal bunker di Botteghe Oscure. Fatta eccezione per un pugno di indignati che si schierarono con la verità dei fatti e contro la violenza dei carri armati. In quell’intervista pubblicata da Rinascita, ricorda Frigerio, Kadar e Kiss asserivano che Nagy fosse perfettamente d’accordo anche con il primo aiuto sovietico, e in questo senso egli ha votato nell’ufficio politico del partito, sostenendo che ormai «non vi poteva essere nessuna altra alternativa». Anche l’Unità poco dopo si “impegnò” nel diffondere retroscena poi valutati perfettamente falsi. Come quando scrisse che Nagy avrebbe negoziato con la Jugoslavia già quel 2 novembre, promuovendo «spedizioni punitive controrivoluzionarie».

 Altra menzogna, dal momento che Nagy aveva sì aperto a trattative e a nuovi rapporti, ma al solo scopo di non essere poi costretto a subire l’abbraccio mortale di Mosca. Non solo Rinascita o Unità. Anche Vie Nuove, Nuovi argomenti, Ragionamenti, Realtà sovietica e Mondo Operaio si prestarono a quell’opera di disinformazione, che come una pellicola restaurata, viene dall’autore riproposta nel volume, sottolineandone evidenziando non solo gli strumenti concettuali che la indurirono fino a renderla così efficiente. Ma soprattutto il costante alimento fornito dal conformismo dottrinale di direttori, giornalisti e intellettuali di partito. Che nei fatti posero l’ideologia al volgare servizio della delegittimazione della rivoluzione. 

 Fonte: il futurista quotidiano del 4/4/12

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