lunedì 2 aprile 2012

Una rivoluzione vista in taxi

Ha scritto Marc Augè che vi sono nella società dei luoghi-non luoghi, definiti in francese non-lieu, all’interno di due concetti complementari ma distinti. Ovvero quegli spazi ideati per uno scopo specifico, in cui si strutturano dei veri e propri rapporti con gli individui che li frequentano. Aeroporti, metropolitane, autostrade, parchi pubblici, centri commerciali, uffici. Contenitori che sono identitari, ma dove il mondo, con le proprie diversità, si incontra, si scontra e si riflette. E tenta di convivere. Uno di questi potrebbe essere anche un altro mezzo di trasporto, meno di massa nel senso che si prende singolarmente, ma dove possono nascere molte risposte alle domande su un determinato luogo. Il taxi come la metafora ideale di un paese, veicolo per osservare e “annusare” le pulsioni e i rigurgiti più intimi di quel preciso sito. Denso di storie e sensazioni, paure e ripartenze, sull’onda emozionale della primavera araba. Soprattutto se quel paese si chiama Tunisia e poco più di un anno fa ha visto sbocciare i gelsomini sulla strada della rivoluzione per la sua libertà. Come nel romanzo Tunisi, taxi di sola andata di Ilaria Guidantoni (edizioni No Reply 2012) che a un anno dalla cacciata del regime di Ben Ali, tenta di dare una lettura, tra narrazione e reportage. Parlando in presa diretta della rivoluzione tunisina, con interviste a protagonisti della rivolta. Un tuffo nelle strade dove quei moti sono sbocciati, proprio come i gelsomini che hanno dato quella connotazione a giorni drammatici ma entusiasmanti. Così Sophie, donna francese protagonista del romanzo, gira per una settimana durante il Ramadam la Tunisia in taxi. E incontra politici come il leader dell’opposizione Moncef Marzouki, artisti e attori come Ahmed Hafiène, che ha lavorato in Italia con Carlo Mazzacurati, o blogger che hanno fatto esplodere la rivoluzione in rete, o semplici cittadini e, naturalmente, tassisti; le sue interviste in presa sono metronomo di un ritmo di un viaggio alla scoperta del ritorno alla vita di una nazione. Una realtà che l’autrice definisce di aver visto «troppo vicina al bersaglio», sentendo, in quel concitato periodo, sempre parlare di rivoluzione. Il popolo tunisino è ondivago, non troppo maturo e i taxi in Tunisia costano pochissimo, per cui li prendono tutti. Così i tassisti assumono un ruolo fondamentale nella società, stando a contatto con persone di qualsiasi livello sociale. Ma cosa resta dopo quella rivoluzione? Significativo il fatto che in quei movimenti di piazza non siano state bruciate bandiere americane o israeliane. Inoltre non bisogna sottovalutare il fatto che la rivoluzione in Tunisia sia stata guidata da giovani e donne, come nuovo simbolo sociale, vivo e vegeto. Ora si apre però la stagione della sfida vera: i partiti che hanno sostituito il regime non devono diventare a loro volta regime. Attenzione andrà riservata soprattutto al fondamentalismo: sarà infatti compito di noi europei far sì che non prenda piede. Il tentativo di una donna occidentale di raccontare quello che è successo, lo ha definito l’inviato di Rai News Salah Methnani, secondo cui adesso bisognerebbe però porsi un interrogativo molto importante: perché, dopo la rivoluzione, arrivano ancora clandestini in Italia? Molto interessanti sono gli aspetti della cultura e del gioco trattati dall’autrice nel libro, come il fatto che la protagonista vada sempre a caccia di librerie, biblioteche. O la ricerca affannosa del gioco come plastica raffigurazione di una voglia di estraniarsi dal contesto difficile di un regime. Come il nipote dello stesso Salah Methnani che per gioco tirava i sassi contro i poliziotti e un suo amico, in seguito, venne sparato. I giovani vivevano questa situazione con un’incoscienza tipica del gioco. Un elemento che ha conferito forza a questi movimenti. Non va dimenticato, però, che non tutto ciò che è successo durante la rivoluzione è stato positivo: ad esempio sono stati liberati i salafiti, che hanno ripreso in mano le armi; e poi il popolo tunisino non è ancora pronto per la Sharia (la legge coranica), ma il nuovo governo deve far applicare ugualmente la legge. Insomma, se dopo il dado tratto c’è ancora molta strada da fare per raggiungere la meta della democrazia, ciò non deve far passare in secondo piano quel rigurgito di libertà e di voglia di cambiamento che la piazza di Tunisi ha urlato al mondo. A qualsiasi prezzo. Fonte: il futurista quotidiano del 3/4/12. Twitter@FDepalo

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