martedì 20 novembre 2012

Da una terra di migranti una lezione per tutti. Cittadinanza ai nuovi italiani, Catanzaro dice sì

Da una terra di migranti e viaggiatori il progetto pilota per dare corpo e anima a una battaglia di civiltà. Il Consiglio comunale di Catanzaro ha scelto di agire e non di accodarsi, in seguito, a uno scatto legislativo che nel paese ancora manca e ha conferito la cittadinanza italiana ai minori nati in città da genitori stranieri. E farlo in occasione della Giornata dei diritti dell'infanzia ha un sapore diverso. Perché è la cifra di chi anticipa leziosismi e incertezze, di chi concretizza un’esigenza vera, una battaglia di civiltà per un paese ancora poco abituato alle rivoluzioni. Certo, molto più comodo nascondersi dietro la paura dell’altro, del “diverso”, più semplice (perché porta un bel pacchetto di voti) organizzare le ronde, aizzare cittadini sfiancati da crisi e criminalità contro il “nemico” che viene qui “a rubare il lavoro agli altri”. Più difficile, in quanto serve mettersi in gioco nella mente e nel corpo, ragionare senza dogmi su un progetto sociale di ampio respiro. Che interpreti e non subisca passivamente le trasformazioni di un paese e dei suoi abitanti, vecchi e nuovi. Null’altro se non il compito di una politica che prevede e previene, che rende il tessuto sociale migliore di ieri. E fato ha voluto che quello scatto di reni venga oggi da una regione, la Calabria, crocevia di culture e di vite in carne e ossa. Da quando, a guerra di Troia terminata, i reduci di quella curva della storia indietro non tornarono, in una plastica raffigurazione di deserto offerta dal mare aperto. Inteso come nuove e vantaggiose mete, raggiunte tramite la lunga e difficile navigazione, coraggiosa e controvento in nuove acque. Filottete, esiliato dalla propria terra, si diresse a ovest proprio verso la Calabria, dove fondò alcune città fra cui Crotone. Ed erigendo un tempio dedicato ad Apollo Vagabondo nell’attuale Basilicata, che i greci e i cittadini locali ancora oggi chiamano con l’originale nome di Lucania. Lo stesso Agapenore fondò Pafos a Cipro, Guneo di Orcomeno governò la Libia, Idomeneo lasciò Creta e si stabilì nell’odierna penisola Salentina. Mentre Diomede, altro nome che si interseca con il mezzogiorno d’Italia, fondò Brindisi e Benevento. Personaggi, animi nobili: tutti accomunati da una criticità iniziale, che li porta ad affrontare l’ignoto ed aprirsi per giungere al di là. Per sentirsi cittadini in una nuova città, protagonisti altrove. Perché in fondo come ha scritto John Steinbeck «le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone». Si legge nel Manifesto di Ottobre che politica, però, è non solo rappresentazione dell’esistente, ma presentazione dei senza parte, ovvero gli invisibili, «la realtà molecolare e disaggregata degli outsider i cui interessi non contano e non pesano nei rilevamenti statistici o nelle simulazioni dei sondaggi: che non hanno espressione e finiscono schiacciati e confusi nell’area indifferenziata del non voto e della renitenza civile».
 
Per cui il tutto non è sempre e solo spiegabile con lo slogan di “generazione Balotelli”, ma va inteso andando oltre quell’azzeccato spunto. Ragionare su una nuova normativa che permetta ai nuovi italiani di essere tali anche per vie ufficiali e di prendere parte alle consultazioni politiche, e farlo nel momento in cui l’intero impianto di convivenza comunitaria dell’Ue è scosso da un terremoto epocale, avrebbe un doppio vantaggio: da un lato conferirebbe all’Italia uno strumento innovativo di inclusione sociale, con riverberi precisi nelle vite dei singoli e nel tessuto produttivo del paese; dall’altro rafforzerebbe il sentimento tutto italiano, perché patrimonio storico indissolubile, del viaggio come valore aggiunto, della commistione di culture e uomini che rappresenta il peculiare bagaglio di una terra, la nostra, che è un molo naturale messo lì in quel grande lago salato che è il Mediterraneo. E che per troppo tempo è rimasto inerte non intercettando il cambiamento che proprio nel Mare Nostrum si è verificato.
La libertà politica, scriveva Annah Arendt, significa infatti il diritto di essere partecipe del governo oppure non significa nulla. Una partecipazione che chi non dispone di uno strumento imprescindibile come la cittadinanza non potrà mai attuare realmente. Lo sottolineava George Bernard Shaw: «Non aspettare il momento opportuno: crealo». Nel meridione d’Italia qualcuno lo ha fatto. E al meglio.

Fonte: Italiani quotidiano del 21/11/12
Twitter@FDepalo

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