giovedì 15 novembre 2012

Gli spunti dei padri fondatori per un’Europa federale

“La battaglia che dobbiamo fare – ha scritto Altero Spinelli nel manifesto di Ventotene – è una battaglia di impegno perché ci sia un’Europa vera, un’Europa della democrazia, un’Europa del popolo”. Logos, modus, laos. A distanza di sessant’anni quella consapevolezza verte sull’assunto “trasformarsi per non perire”. E vale, oggi più che mai, per l’Unione che annaspa, le cui criticità finanziarie si stanno tramutando in disordini sociali, in storie drammatiche di vita quotidiana, in incertezza strutturale che coinvolge imprese e cittadini. Per questo motivo invocare a gran voce più Europa, e pungolare le isti-tuzioni a fare di più e meglio, non significa essere antieuropei. Ma più europei degli europei, ricordando a chi tesse le fila del continente che se non tutte le procedure messe in pratica sino ad oggi hanno condotto ai risultati sperati significa che gli spunti di padri fondatori De Gasperi, Spinelli e Adenauer non sono stati attuati con rigore scientifico. O in talune occasioni disattesi.
Pensare ad Alcide De Gasperi significa rapportarsi alla sua politica europeista, condotta in partnership ideale con Robert Schuman e Konrad Adenauer, altri «padri dell’Europa». De Gasperi riteneva che i popoli europei disponessero di un humus comune di valori spirituali e morali. In quegli anni la situazione politica imponeva agli stati singoli di risollevarsi dalle conseguenze drammatiche del secondo conflitto mondiale con azioni concentrate sui propri interessi e sondando il terreno nella speranza di elaborare un rapporto privilegiato con gli Usa. In occasione delle parole pronunciate da Winston Churchill a Zurigo in un celebre discorso filo europeo il 19 settembre 1946, De Gasperi si convinse di un’oggettività: che l’unione continentale fosse l’unica risposta alle deficienze italiane. Ragion per cui instaurò un rapporto diretto con altre entità europeiste come ad esempio il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, nonostante non mancassero divergenze ideologiche. Passaggio che fu determinante per giungere alla firma, il 4 novembre 1950 a Roma, della petizione popolare per uno Stato federale europeo promossa dall’Unione Europea dei Federalisti.

Proprio Spinelli si rese presto conto del fatto che la battaglia per la federazione europea avrebbe richiesto come prerogativa imprescindibile la strutturazione di un’entità politica ex novo, lontana dai cosiddetti feticci nazionali e dagli steccati delle singole ideologie locali. Fu questo lo spunto che gli consentì di lanciare il Movimento Federalista Europeo a Milano nell’agosto del ’43 e, pochi anni dopo, gettare le basi su una costituente europea che divenne decisiva nelle trattative per far nascere la Comunità europea di difesa (CED). Comune denominatore tra le azioni di Spinelli e De Gasperi quindi fu la consapevolezza federale, vero fondamento per una convivenza tra stati e popoli. Nel rispetto delle singole peculiarità, ma coniugate in maniera unitaria e corale. Dove, volgendo lo sguardo alle macro questioni aperte oggi sul tavolo continentale, è sì imprescindibile il rigore e una visione da “spending review europea”, ma senza sacrificare la solidarietà e i diritti basilari costituzionalmente garantiti; senza dubbio perseguire un sistema di controlli interstatali sotto l’egida della Bce, ma senza svilire i parlamenti nazionali; equilibrare una rete di sostegni e di ammortizzatori europei per quelle realtà in difficoltà, come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, ma rafforzando i controlli e le discipline attuative; immaginare nuove forme di dialogo con l’est del mondo e con il versante “indiano” dove Cina, India e Corea sono realtà capofila, ma senza relegare in secondo piano la sfera dei diritti umani; assumere la consapevolezza che Europa è Mediterraneo, perché lì ha visto per la prima volta la luce e di conseguenza programmare con lungimiranza e serietà analitica azioni che corroborino i legami con gli stati africani che sul grande lago salato si affacciano; identificare l’Unione anche e soprattutto con una politica estera realmente comune, dove gli stati membri trovino una sintesi sui grandi temi di stretta attualità, dal pericolo iraniano ai nuovi gasdotti, dalla ricerca di energie alternative alla partnership con un Sudamerica che lancia segnali incoraggianti.

In definitiva, lavorare per un’Europa federale si traduce nel rendersi conto che le emergenze europee non vanno affrontate solo quando si presentano, drammatiche e ridondanti come il quasi default ellenico e il contagio dei cosiddetti paesi Pigss. Bensì vanno potenzialmente previste con politiche di ampio respiro e approfondite, che valutino con attenzione scenari e possibili interferenze, intervenendo massicciamente sulle criticità, possibilmente anticipandole, guardando la cultura europea non come uno stucchevole vessillo da issare solo in occasioni di celebrazioni o feste comandate, ma da idealizzare come stella polare di un nuovo e decisivo viaggio. Quegli Stati Uniti d’Europa con sede, perché no, ad Atene. Lì dove tutto è nato, lì dove tutto deve trasformarsi: per non perire.

Fonte: Agenda del 15/11/12
Twitter@FDepalo

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