sabato 11 ottobre 2008

DISOCCUPAZIONE, SERVE PIU’DIALOGO TRA ATENEI E IMPRESE

Dal “Corriere del Mezzogiorno” dell’11/10/08


Gli atenei chiedono più occupazione, le imprese rispondono con più formazione e meno sprechi: la parola d’ordine è “disarticolare” e a pronunciarla con veemenza è stato il vicepresidente nazionale degli industriali con delega all’Education, Gianfelice Rocca. Dopo i rilievi nei mesi scorsi del rapporto di Bankitalia, in Puglia si è acceso il dibattito sulla qualità dei servizi offerti da scuole ed università.

Se è vero come è vero che la padronanza totale della lingua inglese, che invero dovrebbe diventare addirittura la prima lingua, accanto ad un’internazionalizzazione più marcata, rappresentano l’indiscussa ricetta per non naufragare nel prossimo decennio, è anche vero che non si può dimenticare che il 70% dei laureati baresi (dati del sondaggio Almalaurea) ripeterebbe il medesimo corso di laurea, o al massimo ne sceglierebbe uno simile, ma sempre all’interno dell’Ateneo di Bari. E’un dato che deve far riflettere, vuol dire che la nostra Università vale ancora qualcosa, al pari di altre, che magari hanno dalla loro una migliore qualità della vita per merito di trasporti e spazi verdi.

Il messaggio è: niente disfattismi. Le difficoltà ci sono e nessuno è così miope da nascondere la testa sotto la terra. Il riferimento è ai parametri di valutazione degli atenei, materia al centro della contesa: se si premia un’Università con finanziamenti corposi in base al numero degli iscritti e a quello dei laureati, si commette un grave errore perché si trascura la qualità dell’insegnamento e si bada solo a fare cassa, mortificando corpo docenti e valenza delle materie. Nulla vieterebbe ad un’università qualsiasi di far laureare un elevato numero di studenti in poco tempo.

Di contro sarebbe utile una riduzione della burocrazia e degli sprechi madornali. Due facce della stessa medaglia al fine di fare chiarezza sulla materia e allo scopo di cercare di interpretare il delicato momento economico- formativo nazionale e locale.

C’è un dato utile con il quale confrontarsi: secondo una delle maggiori banche d’affari mondiali, Goldman Sachs, tra dieci anni il reddito di un cittadino italiano sarà il 50% di uno del Regno Unito e il 30% di uno messicano: numeri da brividi, che fotografano perfettamente il momento critico che in verità dura da quindici anni e che, non bisogna dimenticare, ci vede deficitari sin dal ‘500, quando perdemmo il treno dello sviluppo delle Americhe, al contrario di Francia ed Inghilterra.

Ma come uscire da questa empasse?

Servirebbero meno laureati in scienze della comunicazione e più in materie scientifiche e matematiche, dice qualcuno, ma paradossalmente va osservato anche che molti atenei italiani sono stati costretti ad accendere mutui per pagare gli stipendi. Contabilità e sfruttamento delle risorse sono certamente all’ordine del giorno nell’agenda di governo ed enti locali, ma chi pensa alla forza lavoro?

Una proposta interessante è venuta da Confindustria, che ha dettato una sorta di decalogo: offrire collaborazione fattiva a quei rettori e a quei presidi realmente intenzionati a cambiare, ma con lo sguardo rivolto sempre alla qualità.

Il riferimento non è ai curricula, ma alla capacità di sviluppare un rapporto armonico tra sistema industriale ed il mondo universitario-scolastico, la vera chiave di volta per affrontare le sfide occupazionali di oggi e di domani.

martedì 30 settembre 2008

REINTRODURRE LE PREFERENZE: PER LA DEMOCRAZIA

Dal “Corriere del Mezzogiorno” del 30/09/2008


Il dibattito sollevato in questi giorni sul possibile election day 2009, a margine certamente di questioni ben più gravi come la crisi economica mondiale ed il salvataggio di Alitalia, merita qualche riga di approfondimento. Ma non sulla scelta delle date o di elementi ancor meno rilevanti, bensì sull’oggettiva discriminazione nei confronti degli elettori che ancora si vuol perpetrare nel silenzio colposo di certi media.

La nostra democrazia vive già da qualche anno un dimezzamento evidente a causa della mancata osservanza del diritto di partecipazione dei cittadini come ha stabilito l’art. 3 della Costituzione: “E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Ciò lo si deve ad una legge elettorale che è stata definita dal suo stesso progenitore “porcellum”, progenitore che, è utile rammentare, nella vita effettua chirurgie maxillofacciali, e che, ci auguriamo non per questo, si occupa istituzionalmente di revisioni costituzionali. L’attuale legge ha stabilito il principio di assoluta mancanza di libertà per l’elettore che non può più scegliere il proprio candidato al Parlamento, dal momento che il perverso meccanismo dei listini bloccati “regala” la stessa elezione a soggetti designati dalle segreterie romane. Pare che anche in vista delle prossime elezioni europee si abbia la sciagurata intenzione di applicare questa metodologia antidemocratica, con la conseguenza di allontanare ulteriormente i cittadini della res publica, riponendoli ai margini della stessa e interpellandoli solo in occasione delle elezioni amministrative (ma ancora per quanto?).

La battaglia per la reintroduzione delle preferenze non è né ideologica né di partito, è semplicemente la spinta di alcune coscienze ad evitare che la Carta Costituzionale venga ancora calpestata in nome di un principio che, apparentemente, intende eliminare il pericolo del voto di scambio, ma che nei fatti consegna, nelle mani di pochi, il destino di 60 milioni di italiani, il che mi sembra ancora più grave perché palesemente antidemocratico.

Venendo ai sindaci ed agli amministratori locali, è utile osservare che ad oggi sono i personaggi più esposti, ovvero con maggiori responsabilità e con i più netti tagli allo stipendio. Ma come, direbbe qualcuno, lavorano di più, con più rischi e sono i primi a vedersi la busta paga decurtata? E i consiglieri regionali? E i parlamentari? (romani ed europei).

Il fatto che ai piani alti dell’amministrazione nazionale si siano accorti dell’esigenza, morale ed economica, di ridurre le remunerazioni dei politici, è già un fatto enormemente positivo, ma a patto che lo si faccia tenendo conto di attività, esigenze e responsabilità, non cassando come in questo caso un consigliere comunale che, magari più di un eurodeputato, ha bisogno di essere sostenuto nel “lavorare” per la propria città.


Francesco De Palo

venerdì 12 settembre 2008

LA FIERA DI PENELOPE


Da `Azienda Bari` del 13/09/08

Ecco un`altra inaugurazione della Fiera del Levante, ecco una serie di altri propositi e buone intenzioni, dal Corridoio 8 alla Banca Euromediterranea, dalla Bari ponte verso i Balcani ad un ruolo piu` internazionale per la Campionaria. Peccato pero` che i conti non tornino affatto.
Senza voler peccare di pessimismo, ma alla luce di obiettivita` e affetto per la `nostra` citta`, il binomo Fiera- Citta` si rivelera` veramente vincente solo se avra` alle spalle la regia decisa e risolutrice del Governo nazionale.
Come possiamo discutere di orizzonti anatolici e di approdi transfrontalieri se le rotte aeree della nostra regione subiscono un cosi` drastico ridimensionamento? Come raffrontaci con i milioni di containers in arrivo dalla Cina se apprendiamo che la tratta ferroviaria Lecce- Milano fa ancora dannare cosi` vergognosamente i passeggeri?
Il dato su cui riflettere e`quello offerto dai numeri : al netto di analisi, speranze e promesse, la verita` e` che la Fiera del Levante, il cui destino e` e dovra` essere inequivocabilmente legato al capoluogo pugliese, deve rappresentare il biglietto da visita di una regione intera ; ma perche` cio` sia possibile occorre che il territorio venga messo nelle condizioni di essere competitivo. Il riferimento e` ad infrastrutture, tecnologie, eccellenze tenute qui e non `costrette` alla fuga.
Quante volte negli ultimi anni abbiamo scritto dell`importanza della sede barese della Eurobanca ? Quante volte, indipendentemente dai colori politici ai governi (centrale e locale), abbiamo spinto per la definitiva ed efficace applicazione del trasporto dei tir su rotaia ? Quante volte ci siamo confrontati in tavole rotonde e meetings internazionali, anche in Fiera, sull`utilita` per l`Italia e per la Puglia di un Corridio 8 reale e non fasullo solo sulla carta ? Quante volte, il giorno dell`inaugurazione, abbiamo atteso dal Premier di turno non solo cenni sul Mezzogiorno e sulla Puglia ma fatti concreti?
Ma non e` cambiato nulla, anzi i mesi e gli anni sono trascorsi, tanto piu` che con l`allargamento dell`Unione Europea la Puglia perdera` il treno dei finanziamenti (non essendo piu` regione Obiettivo 1) ad appannaggio dei nuovi membri e alla vigilia di un`altra scadenza incombente nel 2010, ovvero l`apertura dell`area di libero scambio delle merci.
Che fare allora ? Una via percorribile, potrebbe essere quella di ripartire proprio da questa perdita, ovvero impegnarsi nella ricostruzione di un tessuto sociale, politico, economico ed intellettuale che fonda i suoi principi sulle idee, quelle vincenti, e sulla voglia di applicarle in concreto e in tempi brevi, cosi` come, ad esempio si sta facendo nel campo delle nanotecnologie e della termodinamica, dove il Salento e`preso ad esempio da altre realta` italiane e non.
Sono questi i modelli da seguire, sono queste le intuizioni sulle quali investire, nella consapevolezza che nessun finanziamento europeo potra` mai mutare il volto di un territorio se non avra` una sua logica programmata ed una oggettiva continuita`, tratto somatico che potra` scaturire esclusivamente da una classe dirigente giovane, brillante, all`avanguardia e con stimoli elevati al cubo.

venerdì 25 luglio 2008

EUROBANCA: LA SEDE SIA BARI



Dal "Corriere del Mezzogiorno" del 25/07/2008.


La crisi del petrolio, la stagnazione economica, le famiglie che non consumano perché non arrivano alla terza settimana del mese: tutte problematiche contingenti, che non potranno essere risolte in un batter d’occhio ma che avranno bisogno di una programmazione seria e condivisa. In Puglia l’auspicio è che la stagione turistica possa “tirare” l’economia regionale.

Ma uno sviluppo condiviso e multisettoriale necessita anche di strumenti all’avanguardia, perché se è vero che la Puglia è al sud d’Europa è anche vero che si trova nord del Mediterraneo, il bacino economico dalle grandi prospettive anche in considerazione dell’apertura prevista nel 2010.

Il responsabile del Governo per il commercio estero, l’on. Adolfo Urso, lo ha ripetuto ieri in occasione di un meeting internazionale: l’importanza di una banca mediterranea la comprenderemo solo dopo vent’anni dalla sua apertura, dal momento che potrà rappresentare uno strumento valido ed raffinato al fine di concentrare e sfruttare l’insieme delle energie economiche che in quell’area stanno confluendo: basti pensare alle migliaia di containers che arrivano dalla Cina o alle immense risorse di un Paese in espansione continua come l’India che sarebbe da folli non intercettare.

Nel 2004 in un apposito ordine del giorno l’allora gruppo comunale di AN propose al Governo Italiano di sostenere la candidatura di Bari a sede della Banca Europea del Mediterraneo. Dopo quattro anni l’idea, pur sempre valida, necessita di una rapida ma differente attuazione per evitare che venga posta in essere altrove.

Il significato politico ed economico di un’ Eurobanca situata a Bari si tradurrebbe in un oggettivo vantaggio con ricadute sicure sul territorio. Oltre a rappresentare una sorta di ponte finanziario verso realtà come Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Israele, Palestina, Siria e Giordania, la banca rappresenterebbe finalmente la consacrazione europea del capoluogo pugliese: il dato è inequivocabilmente sinonimo di crescita e sviluppo in un’ottica sì mediterranea, ma anche del Mezzogiorno d’Italia.

L’Eurobanca, varata dal Consiglio Europeo di Barcellona del 2002, avrebbe dovuto essere uno strumento economico da 10 miliardi di euro, questo però sino al 2006. L’attuale obiettivo è finanziare partecipazioni azionarie, prestiti, fondi di investimento ed assistenza tecnica nei diversi Paesi del sud Mediterraneo. Le potenzialità da sfruttare riguardano l’agevolazione della cosiddetta “Sponda Sud”, con mercati più aperti e diversificati che interpretino le esigenze del momento e che le tramutino in utili.

Con tali incoraggianti premesse, la Puglia e Bari potrebbero avanzare una candidatura di primo piano ma a patto che la classe dirigente, di qualsiasi colore essa sia, rifletta con lungimiranza sulle scelte strategiche senza farsi accecare dai riflettori elettorali, ma cogitando, dati alla mano, sulle oggettive potenzialità di un’opportunità come questa.

Il capoluogo attende fiducioso di conoscere il suo futuro, un futuro già scritto dalla sua posizione geopolitica: sede naturale dell’Euro Banca.

domenica 22 giugno 2008

IL TESORO DI CIPRO, LE ICONE TORMENTATE


Da www.mondogreco.net


LEFKOSIA- Il Museo Bizantino Makarios III di Lefkosia contiene circa duecentocinquanta icone datate tra l‘800 e il 1700, preziose non “soltanto dal punto di vista artistico ma anche morale ed affettivo“, come mi rivela il giovane Direttore Ioannis Eliades. La sua abitazione si trova nella parte occupata della capitale. Rivederla è sempre una ferita aperta.

Facciamo ingresso nel museo, ospitato all’interno dell’Arcivescovado, a pochi metri da quelle stesse stanze che qualche mese fa l’Arcivescovo di Cipro, Sua Beatitudine Chrisostomos II, mi ha aperto per un gioviale colloquio: molte icone sono danneggiate, altre sono scampate al vortice del mercato nero grazie all’intervento tempestivo delle autorità cipriote, su tutte l’Arcivescovado.

Mozzafiato lo sguardo di un Cristo del 1190 proveniente dalla Chiesa della Vergine di Arakos, a Lagoudhera.

Ben sei le icone di San Nicola presenti, dal tredicesimo sino al diciassettesimo secolo, una delle quali protagonista in Italia nel 2006 di una mostra itinerante interamente dedicata alle raffigurazioni del Santo di Myra e protettore di Bari.

Ci spostiamo nella seconda sala. Affissa al muro vi è la prima pagina del quotidiano “Filelefteros” del 15 settembre 1979. Riguarda il caso del commercio illegale di icone perpetrato dal principe Alfred Zur Lippe, Alto Commissario Onu per i rifugiati a Cipro. Il diplomatico austriaco riuscì a portare fuori dai confini dell’isola una considerevole quantita’ di icone prima che fosse scoperto lo scandalo. Ben ventotto icone sono state faticosamente ritrovate presso di lui,recuperate e custodite all’interno dell’Arcivescovado.

Altre sono state recentemente recuperate dagli Stati Uniti e sono esposte presso il Muso di Arte e Folklore di Lefkosia.

Il Direttore del museo Bizantino, che oltre a parlare un perfetto italiano grazie ad una laurea presso l’Università di Firenze mostra anche una pacatezza quasi surreale ma piacevole, mi conduce per le sale espositive orgoglioso del risultato acquisito in questi anni. E’grazie a giovani forze come questa che si può offrire un valido contributo alla risoluzione dell’atavico problema cipriota. E’grazie all’entusiasmo ed alla capacità di non perdersi d’animo che pareti che sembravano insormontabili stanno pian piano per essere scalate. Con umiltà e determinazione, ma anche con orgoglio e decisione.

La meraviglia e l’eccitazione per alcune strabilianti icone della Vergine lasciano il posto ad una profonda tristezza che mi avvinghia nella terza sala: su una parete fanno capolino le icone danneggiate dalla barbarie inaudita di uomini senza scrupoli e senza rispetto per un qualcosa, l’arte, che travalica posizioni politiche e concezioni religiose. Icone decapitate, sfregiate, sbeffeggiate in nome di non si capisce quale odio, quale dispregio. E poi per ottenere cosa? Odio semina odio.

L’arte è sacra in quanto tale, perché espressione di un qualcosa, un’idea, un’emozione, una devozione. Non tutti però, negli anni, l’hanno pensata in questi termini. Non tutti i popoli che nei secoli sono transitati da Cipro hanno ossequiato forme di arte come queste inimitabili e bellissime icone.

Ma lo sguardo della Vergine Odegitria, di un dolce imbarazzante, sembra quasi volerli perdonare.

Pardon, non quasi, ma a patto che questa isoletta meta tra gli altri anche di San Paolo ritorni ad essere un luogo di pace e soprattutto di giustizia, quella stessa giustizia che i ciprioti inseguono dal 1974.

Francesco De Palo

mercoledì 11 giugno 2008

QUEL MASOCHISMO TURISTICO

Dal "Corriere del Mezzogiorno" dell11/06/08

Arrivano i crocieristi al porto di Bari e i negozi in città chiudono: dove sta l’errore? L’atavica mancanza di programmazione e di una seria volontà di analizzare tematiche per prevederne conseguenze e possibili guadagni, sta ormai attanagliando la città su tutti i fronti, ma questa che definirei un’assurda forma di “masochismo turistico”, rischia di diventare la più grande gaffe della storia cittadina.
Da qualche anno il capoluogo pugliese ha avuto la fortuna di essere prescelto da grandi compagnie come scalo per le crociere nel Mediterraneo. Qualsiasi altra città del mondo, e sottolineo del mondo, oltre a bearsi del fatto in sè, si sarebbe attrezzata per tempo, ad esempio con protocolli d’intesa con le varie federazioni di commercianti, o a piani di intervento di concerto con le Aziende di promozione turistica.
A Bari invece calma piatta: l’inconcepibile miopia della classe dirigente ha provocato un dato incontrovertibile, ovvero l’inutilità dell’approdo di tali navi per il circuito economico cittadino. Nessuno che abbia pensato ad altre visite guidate che non siano la Valle d’Itria o le Grotte di Castellana, nessuno che abbia speso una parola per i commercianti baresi che, oltre a dover fare i conti con la concorrenza della grande distribuzione, si trovano costretti a non poter sfruttare questa grossa occasione.
Di chi sono le responsabilità? Perché i suddetti commercianti non vengono messi nelle condizioni di offrire la propria merce ai croceristi? Le APT che ruolo svolgono? Sono previsti tavoli di concertazione con il Comune? Non è concepibile in un Paese europeo assistere immobili a tanto spreco di risorse. Ed in questo occorre un senso di responsabilità da parte della classe dirigente, che dovrebbe imparare a voler bene alla città anche prendendo decisioni forti, forse scomode, ma frutto di una programmazione valida e condivisa.
Un esempio che dovremmo analizzare è rappresentato dall’affascinante quanto caotica Atene che si e` rifatta il look in tutti i sensi: merito dell’efficientissimo aeroporto intercontinentale ‘Elefterios Venizelou’, costruito da una società tedesca che lo avrà in gestione per dieci anni, identica modalità per la nuovissima metropolitana, merito della concezione industriale del turismo, merito di molte donne al potere e dei favolosi impianti per le Olimpiadi del 2004. Il segreto ellenico nasce dallo sport e da una nuova classe dirigente. Atene ha messo sapientemente mano alle sue strutture, restaurandole, rendendole adatte ai tempi ed ottenendone intelligentemente un profitto. Certo, permangono mali comuni, come la disoccupazione e l’inflazione, ma la strada intrapresa è incoraggiante.
Cosa significano questi dati? Che, sfruttando le potenzialità di un territorio, è possibile identificare quella formula vincente che crea occupazione, introiti e pubblicità. Bari ha tutto per piacere: spiagge, cibo, calore (non solo climatico). Un trittico perfetto per far girare meglio gli ingranaggi del turismo, ma ahimè, non è sufficiente che diecimila tedeschi sbarchino sul lungomare per “far” girare l’economia cittadina.
E’necessario che gli amministratori ci dicano come e se intendono sfruttare le potenzialità di Bari, perchè questa città vuol erigersi a punto di riferimento costante dell’intera area Mediterranea, aspettando il Corridoio 8 e la Banca Euromediterranea, ma sperando che non sia troppo tardi.

giovedì 29 maggio 2008

LEZIONE DI GIORNALISMO AL LICEO AMALDI DI BITETTO



Come impedire che le distorsioni dell’informazione possano ingannare gli utenti? Su quali basi deve poggiarsi l’etica di un giornalista quando si accinge a scrivere un pezzo? Come riconoscere una notizia tendenziosa?
Sono alcuni dei quesiti posti dagli studenti del Liceo Scientifico e Socio Pedagogico “Amaldi” di Bitetto (Bari) al giornalista free-lance Francesco De Palo, che ha tenuto una lezione sulla comunicazione e sulle nuove forme di informazione nella società degli adolescenti e dei post- adolescenti. Gli studenti, accompagnati dalla prof.ssa Antonella Gismondi, hanno animato la lezione con domande e riflessioni, dando vita ad un interessante dibattito.
Ne è risultato che, da sempre, l`uomo ha avuto l’esigenza di ottenere un sostegno dai media.
L`”informazione”, nei suoi derivati giuridico/ sociali non deve essere soltanto una bussola per giornalisti e fruitori, quanto piuttosto un valido momento di riflessione sul mondo di quotidiani e televisioni che ci circonda e dal quale attingiamo quotidianamente notizie, commenti, consapevolezze, che contribuiscono alla nostra coscienza dei fatti.
Il sottile limite tra cronaca pura ed inclinazione soggettiva si presenta come un millimetrico confine che, se travalicato, deve comunque offrire un panorama il quanto piu` vicino possibile alla realta` dei fatti. Il dovere di cronaca e l`onesta` intellettuale del giornalista devono essere la virtu` sovrana, prima ancora degli obblighi derivanti dal codice deontologico: il riferimento è ad una spinta interiore che deve prevalere su mistificazioni, invenzioni, come evidenzia Indro Montanelli, nella prefazione de “L`Italia degli anni di fango”, scritto a quattro mani con Mario Cervi, quando dice che “puo` darsi che di un fatto o di una situazione, quello che noi raccontiamo non sia tutta la verita`. Ma e` sicuramente la verita`, quale sinora si e` potuto appurarla”, ovvero una sorta di certificato di autenticazione che il maestro del giornalismo italiano ha voluto offrire ai suoi lettori come una sorta di testamento interiore: esempio di rara intelligenza che deve essere slancio continuo per le nuove generazioni, sia di giornalisti che di lettori ed utenti.
I mass media dovrebbero instaurare con il pubblico una sorta di patto di ferro, un contatto conoscitivo con l`ambiente esterno, creando veramente la pubblica opinione e raccogliendo le informazioni affinché proprio i fruitori possano formarsi una qualche opinione, di qualunque specie essa sia: questa e` la vera liberta` di informazione, intesa si` come liberta` di informare ma soprattutto come liberta` di essere informati adeguatamente. Si tratta di una concezione che deve avere necessariamente come base conoscitiva la Costituzione italiana, e la storia di questo Paese, consapevole delle mille peripezie che l`hanno attraversata nei primi anni del secolo scorso.

Il riferimento e` alle censure, alle limitazioni della liberta` imposte con la forza, ma anche a quelle piu’ attuali, come le suggestioni di taluni media di fronte ai poteri forti, le influenze dettate dai conflitti di interessi, certa sudditanza diversificata. Sono queste le cancrene da amputare, sono proprio manifestazioni simili i rami secchi da potare, sono questi gli esempi da non seguire, sempre in ossequio a quanti, per difendere la liberta` sancita dall`art. 21 della Costituzione italiana, hanno immolato se stessi.

mercoledì 28 maggio 2008

Da Repubblica Bari del 28/05/08

Fermarsi per prestare soccorso e ritrovarsi con una multa da pagare: è l’assurda esperienza accaduta questo pomeriggio a due motociclisti baresi.

Si trovavano a bordo dei loro mezzi sulla statale 16, all’altezza del bivio di via Caldarola di ritorno a casa dopo la consueta passeggiata domenicale, quando hanno notato un’altra moto dinanzi a loro, sulla quale il passeggero posteriore accusava un malore e ondulava pericolosamente. Il pilota del suddetto mezzo, trattenendo il passeggero con un braccio, ha accostato immediatamente, seguito dagli altri due centauri uno dei quali ex Vigile del Fuoco quindi capace di prestare prima assistenza, e si sono sincerati delle condizioni del passeggero ed hanno chiamato il 118.

Una volta giunta sul posto l’ambulanza, è transitata casualmente una pattuglia della Polizia stradale, la quale ha provveduto a rallentare il traffico per consentire alla persona colpita da malore di essere caricata sull’ambulanza, ma ha intimato ai due centauri- soccorritori di non andar via e di mostrare i documenti, dal momento che sarebbero incorsi in una contravvenzione. La motivazione? Avevano la targa delle moto troppo in alto e quindi illeggibile.

Inutili le proteste dei due, sconcertati da tanta pignoleria e francamente dispiaciuti per l’epilogo della vicenda. Fa specie constatare che in un momento in cui sarebbe stato opportuno ringraziare i due centauri per il pronto intervento e per la solidarietà mostrata (cosa rara nei giorni nostri), i suddetti agenti della Polizia Stradale hanno invece voluto assumere un atteggiamento fuori luogo e lesivo anche della loro stessa immagine.

lunedì 12 maggio 2008

IV SINEDRIO INTERNAZIONALE DI STUDI CIPRIOLOGICI


LEFKOSIA- Trecentocinquanta relatori provenienti da 27 Paesi (Italia, Grecia, Inghilterra, Ohio, Arizona, Illinois, Indiana, stato di New York, Israele, Serbia, Australia, Germania, Belgio, New Mexico, Cipro, Svizzera, Francia, Spagna, Bulgaria, Georgia, Scozia, Austria, Federazione Russa, Norvegia, Polonia, Romania, Marocco) piu`di 500 richieste di partecipazione, inaugurazione alla presenza del neo presidente della Repubblica di Cipro e delle massime autorita‘ civili, militari e religiose: sono alcuni dei numeri del IV Sinedrio Internazionale di Studi Cipriologici, appuntamento che dal 1963 caratterizza la vita intellettuale, accademica e scientifica dell`isoletta all’estremo est del Mediterraneo, che come e’noto dal 1974 deve purtroppo fare i conti con l’occupazione militare turca .
Il sinedrio, che si e’svolto a Lefkosia presso il Pankiprian Gimnasuim dal 29 aprile al 3 maggio, e’stato organizzato dalla Societa’ di Studi Cipriologici, sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica Dimitris Christiofas e di Sua Beatitudine l’Archipiscopo di Cipro Chrysostomos II.
L’apertura ufficiale e’stata preceduta da un’esibizione dell’Orchestra filarmonica Nazionale cipriota e soprattutto da un minuto di silenzio in memoria del cantautore cipriota Mario Tokas, scomparso proprio in questi giorni.
Tre le sezioni del sinedrio: quella antica (arte preistorica e periodo romano), quella Bizantina/Medievale (dal 330 al 1571 AD) e quella Moderna dal 1571 ai giorni nostri.
Del comitato onorario hanno fanno parte: il Presidente della Repubblica Dimitris Christiofas, il Makariotita l’Archipiscopo di Cipro Chrysostomos II, il Ministro della Cultura Andreas Demetriou, il sindaco di Lefkosia Eleni Mavru, il direttore del Press and Information Office del Governo Yiannakis Solomou, il rappresentante permanente di Cipro presso l‘Unesco Edme‘Leventis, il presidente dell’ufficio delle imposte di Lefkosia Nikolaos Matthaiou e il presidente della Societa‘di Studi Cipriologici Christodoulos Hadjichristodoulou. Quest’ultimo ha sottolineato come l’unione di intenzioni comuni e di sforzi condivisi porta al naturale svolgimento di eventi come questo.
Presidente del comitato organizzatore Ioannis Eliades, attualmente direttore del Museo Bizantino Makarios III di Lefkosia, che e’riuscito nell’ardua impresa di organizzare in soli due anni questa edizione del congresso che e’entrata di diritto nella storia di Cipro dal momento che l‘ultima risaliva al 1983.
Durante l’intera durata del congresso, e’stato possible visitare in contemporanea i quattro principali musei di Lefkosia, il Museo Archeologico di Cipro, quello bizantino e la galleria d’arte della Fondazione Makarios III, il museo di Folk Art e il museo Etnico ospitato nella Casa di Hadjigerogakis Kornesios.
“Il nostro auspicio- ha evidenziato il segretario generale del congresso Charalampos Chotzakoglu- e’che il contributo degli illustri relatori che sono intervenuti possa essere di aiuto per innalzare sempre piu’ il livello di conoscenza di Cipro”, mentre Ioannis Eliades, nel dare avvio ufficialmente al sinedrio, si e’augurato che la prossima edizione, prevista per il 2013, possa svolgersi in una Cipro finalmente libera.

martedì 6 maggio 2008

INTERVENTO AL IV SINEDRIO INTERNAZIONALE DI STUDI CIPRIOLOGIGI


NICOSIA, 29 aprile- 3 maggio 2008


INTRODUZIONE

Gentili studiosi, autorità, amici mediterranei, è per me un grande onore essere qui a dare il mio piccolo contributo a questo momento di riflessione sociale, politica, culturale sugli studi cipriologici. Dimostra una volta di più che il dialogo è lo strumento imprescindibile per confrontarsi e per reperire soluzioni condivise.
Perdonerete se sarò costretto a leggere i miei appunti, ma il mio greco non è ancora perfetto come vorrei.
Ho ritenuto utile soffermarmi su due aspetti della materia che ritengo interconnettibili: gli sviluppi del cosiddetto Piano Annan e il ruolo delle differenti comunità religiose sul territorio turco.

GLI SVILUPPI DEL PIANO ANNAN

Il Piano Annan si colloca nel panorama internazionale cipriota dopo 30 anni di trattative e si basa sulle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1960 e cioè prima ancora dell’occupazione turca del 1974 della zona nord dell’isola. Il lato greco ha categoricamente rifiutato il programma di Annan, mentre il lato turco si è espresso favorevolmente. La motivazione preponderante contro l'unificazione addotta da parte del lato greco è stata quella di un possibile trasferimento di ricchezza e di risorse dal lato greco a quello turco (atavicamente più povero) anche da parte dell'Unione Europea. Inoltre mentre ai colonizzatori turchi (che popolano la maggior parte nel nord occupato) è stato consentito di accedere alle urne, i rifugiati che erano fuggiti da Cipro non hanno avuto diritto di votare in un referendum che sarebbe stato determinante circa il loro futuro (nello specifico il diritto di ritornare in possesso delle loro proprietà). Nel maggio 2004 Cipro è entrata nell'UE, anche se in concreto ciò si applica soltanto alla parte del sud dell'isola.
Mi soffermerò brevemente sui tratti generali del piano Annan. Nel riconoscimento del sostegno della Comunità Cipriota turca alla riunificazione, tuttavia, l'UE ha indicato chiaramente che concessioni commerciali sarebbero state raggiunte per stimolare lo sviluppo economico nel nord e che rimane l'impegno a una riunificazione in termini accettabili. La Repubblica Unita di Cipro dovrebbe avere bandiera nazionale ed inno unificati. La Repubblica dovrebbe essere retta da un governo federale composto da due stati costituenti; un senato federale composto da 24 turco-ciprioti e 24 greco-ciprioti dovrebbe costituire l'assemblea legislativa comune. Il Presidente dovrebbe essere greco, il vice-presidente turco.
In primis il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU. Esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi nella veste pratica escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, ad esempio una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota. Il che non offre il destro ad un’analisi quantomeno serena.
Riguardo all’acquisizione di immobili, il piano Annan si è caratterizzato per una politica alquanto restrittiva e inapplicabile a causa di alcuni vizi di forma a sfavore dei greco-ciprioti. Un esempio pratico è rappresentato dal fatto che i rifugiati più anziani possono tornare alle loro case (ma non è specificato se possono acquistarle nuovamente) per i primi tre anni in percentuale del 3%. Ogni anno i rientri aumenterebbero dell’1% con un’ interruzione dopo i primi 20 anni. Questi rifugiati non possono comunque superare il 24% della popolazione della parte turca.
Per quanto riguarda poi la difesa dell’isola è contemplata un’azione di completa smilitarizzazione, mentre sarebbe mantenuto un consistente esercito turco-cipriota fino a data da stabilire : altro dettaglio del quale non si comprende al meglio la scelta. Garante della sicurezza dell’isola verrebbe incaricata la Turchia, che non è neanche membro dell’UE.
Per svariati anni i greco-ciprioti, in piccole percentuali, potranno solo visitare quotidianamente la zona turca dell’isola : qualora volessero effettuare un soggiorno dovrebbero richiedere permessi specifici alle autorità locali, che dovrebbe essere richiesto anche dai rifugiati greco-ciprioti mandati via dalle loro case dopo l’occupazione turca del 1974.
Infine il piano Annan continuerebbe a proteggere gli interessi di USA e Gran Bretagna che, con basi militari ad Akrotiri e Dhekelia, controllano strategicamente il Mediterraneo orientale e tutto il Medio Oriente. Dopo l’esito negativo del referendum dalla parte greco-cipriota, e l’ingresso ufficiale della Repubblica di Cipro nell’UE dal 1 maggio 2004, queste basi appartengono giuridicamente all’Europa Unita.
Oggettivamente il piano Annan si pone come una possibile soluzione, magari nata da intenzioni apprezzabili di ristabilire quantomeno una gerarchia politico-sociale, in pratica però presta il fianco a critiche non occasionali ma frutto di una ponderata riflessione: esso non garantisce pari diritti alle due comunità.
La situazione ad oggi è ben diversa, alla luce delle richieste specifiche:
il lato greco:
· ha sostenuto fermamente il ritorno dei rifugiati da entrambi i lati alle proprietà sgomberate nello spostamento 1974, basandosi sia sulle risoluzioni dell'ONU che sulle decisioni della corte europea dei diritti dell'uomo;
· ha avversato tutte le proposte che non tenessero conto del rimpatrio dei turchi che erano emigrati dal continente a Cipro dal 1974;
· ha sostenuto un'amministrazione centrale più forte.
Il lato turco:
· ha favorito un'amministrazione centrale debole che presiedesse due stati sovrani in associazione volontaria, eredità dei timori iniziali di dominazione dai parte dei Ciprioti greci (in maggioranza);
· si è opposto a programmi di demilitarizzazione, citando preoccupazioni di sicurezza.
E’altresì palese che dal maggio 2004, complice l’ingresso di Cipro nell’Ue, i confronti ed i raffronti tra le due istituzioni si siano incentivati, anche grazie ad una presa di coscienza più massiccia: è il caso di una serie di incontri interlocutori, tenutisi grazie alla volontà dei due leaders, Papadopoulos e Talat, ma sempre per iniziativa delle Nazioni Unite. Si è trattato di occasioni nelle quali è stata evidenziata la volontà poco convinta di riprendere il negoziato per la riunificazione: ma se da un lato l’Onu ha insistito oltremodo con il piano Annan, nonostante i rilievi del caso siano stati avanzati con convinzione all’indomani del referendum, l’Ue ha proseguito in una linea non troppo pressante, salvo terminare il 2006 con una serie di prese di posizione quantomeno più convinte.
Da segnalare l’iniziativa di Ibrahim Gambari, sottosegretario nigeriano per gli affari politici dell’Onu, che ha proposto un piano in tre tappe: l’istituzione di tavoli di concertazione e comitati tecnici che predispongano liste di tematiche da analizzare, un vertice tra i due leader per fare il punto della situazione sotto la supervisione di un super partes Onu, e infine la fase negoziale vera e propria..

TESTIMONIANZE


Mi pare utile, in questo senso inserire due dichiarazioni rese da due europarlamentari italiani appartenenti al gruppo Uen:
Roberta ANGELILLI (UEN, IT) «la Turchia non può non riconoscere uno Stato già effettivamente membro dell'Unione europea come Cipro, né tanto meno continuare ad occupare il suolo cipriota con ben 40.000 soldati».

Sebastiano (Nello) MUSUMECI (UEN, IT) ha affermato di guardare da sempre con grande interesse «alla coraggiosa scelta della Turchia di schierarsi dalla parte dell'Occidente almeno sul piano delle scelte strategico-militari». Se è vero che alcuni ostacoli sono stati superati, ha spiegato, altri però restano ancora da eliminare. Non si tratta di un lungo infinito esame cui l'Occidente sottopone la Turchia, ha precisato, «ma dell'indispensabile esigenza di costruire un ampliamento su un terreno di democrazia e di rispetto dei diritti civili ed internazionali». Per questo, ha concluso, l'Unione europea ha il dovere di sostenere la Turchia nel suo cammino di allineamento all'Occidente «ma ha anche il dovere di essere inflessibile e intransigente», in quanto «su questo terreno qualunque altra scelta di opportunismo non potrebbe trovare giustificazione».
Si tratta di due visioni del problema che, sebbene siano figlie di prese di posizioni forti e decise, lasciano comunque il corretto margine a forme di apertura e di coinvolgimento. Ritengo che solo con l’aiuto di due termini come questi, (apertura e coinvolgimento) sia possibile fare il dovuto mea culpa, ed individuare al più presto i canali da seguire per risolvere una volta per sempre il problema, contando anche su un altro interessantissimo elemento. La soluzione finale del problema Cipro, che in molti considerano lunga e difficile, ma che altri invece tra i quali il sottoscritto pensano sia fattibile e condivisa, potrebbe rappresentare il vessillo di una pace da estendere più ampiamente all’intero Medio Oriente: come sarebbe utile e saggia una vera e propria bandiera di pace e di convivenza civile e fraterna, sventolata proprio in direzione di quei territori distanti poche centinaia di chilometri che purtroppo in questi anni hanno visto solo sangue e morte. Nessuno dice che sia facile dare seguito a queste speranzose righe, ma il dovere di tutti è di provarci.

Ed è in questo senso ed in questa scia di unione di perdono, che si inserisce l’analisi sulle forme religiose che in questi anni si sono confrontate sul territorio anche alla luce di tristi episodi di violenza accorsi con ingiustificabile ferocia.

IL RUOLO DELLE DIFFERENTI COMUNITA’ RELIGIOSE

L’integrazione e la partecipazione delle differenti comunità religiose alla vita di un Paese moderno e democratico, rappresenta la chiave di volta per progettare una società all’avanguardia, capace sì di garantire uguali diritti alle differenti componenti, ma altresì di evidenziare doveri e princìpi senza i quali sarebbe difficile individuare l’architrave di una corretta ed adeguata convivenza. Mi soffermerò sulle situazioni alle quali cattolici, ortodossi e protestanti hanno dovuto far fronte, nei rapporti con il mondo turco, in modo particolare in riferimento all’assassinio di don Andrea Santoro.



CATTOLICI


Nel 2006 Papa Benedetto XVI è stato invitato dal Presidente della Repubblica Ahmet Necdet Sezer a recarsi in Turchia per una visita ufficiale, al fine di rendersi conto di persona del clima di tolleranza culturale che vige nel Paese. “Il viaggio – come ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri, Namika Tan – ha avuto lo scopo di favorire i suoi sforzi tesi a intensificare il dialogo fra le religioni e la reciproca comprensione fra le civiltà a livello globale”. Il primo invito rivolto al Pontefice era giunto però dal Patriarca greco-ortodosso Bartolomeo I, sulla scorta di una tradizione ormai consolidata (iniziata con papa Paolo VI e proseguita da Giovanni Paolo II) tra il Patriarca ecumenico ortodosso e la maggiore autorità del mondo cattolico.
Il gesto diplomatico fu però preceduto da una serie di eventi, tra cui quello tragico occorso il 5 febbraio 2006, nella città di Trebisonda: un ragazzo musulmano uccise a colpi di pistola, nella chiesa di Santa Maria, il sacerdote cattolico italiano don Andrea Santoro. Molteplici sono state le reazioni. Monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, in un incontro con i giornalisti in sala stampa vaticana, aveva sottolineato che “Il motivo vero dell’uccisione di don Santoro è l’esaltazione religiosa, motivata dal clima anticristiano che si respira nella regione, in famiglia, a scuola, nelle letture. La situazione dei cristiani in Anatolia, non è semplice- proseguì- le notizie che vengono diffuse sulla Chiesa cattolica sono o notizie denigratorie sul cristianesimo o banalità”.
Purtroppo anche il cimitero cattolico di Trebisonda è stato spianato dalle ruspe, le tombe sono state profanate, ed ora non restano che tre lapidi.
“Prima di morire Don Andrea- ha proseguito mons. Padovese- , aveva preso contatti col sindaco perché provvedesse ad una recinzione di quello che ormai è un campo di sterpaglie”.
Altro episodio increscioso avvenne il successivo 9 febbraio 2006, quando alcuni musulmani aggredirono a Smirne il sacerdote cattolico sloveno don Martin Kmetec, al grido di «vi ammazzeremo tutti; Allah è grande». E’chiaro che le manifestazioni di violenza come queste, caratterizzate da una inaudita barbarie, vanno condannate, di qualunque stampo esse siano e da qualunque parte provengano, senza distinzioni. Solo con l’accantonamento definitivo della violenza sarà possibile ristabilire un clima di pace e di cooperazione, senza il quale nessuno Stato può dirsi moderno e soprattutto umano.


ORTODOSSI


Secondo un articolo pubblicato sul “The Economist”, agli ortodossi di rito siriaco del paese di Bardakci è stato definitivamente tolto un terreno che un tempo ospitava la loro chiesa di Santa Maria, dal momento che il Governo ha deciso di concedere quell’area a una comunità di curdi per la costruzione di una moschea, senza tenere in debita considerazione le veementi proteste della minoranza cristiana.
Un grave episodio di violenza è da segnalare nell’agosto del 2005, nel quartiere di Sarilar, nel paese di Altinozu, abitato in prevalenza da greci ortodossi e per questo attaccato da una folla di 100 musulmani del paese di Karsu, che cantavano: «Qui non c’è posto per gli infedeli». Il bilancio fu di cinque feriti, compresa la moglie del parroco Spir Bayrakcioglu, e danneggiate 10 abitazioni. A scatenare gli scontri, era stata una rissa avvenuta la sera stessa tra giovani dei due paesi che aveva portato all’arresto di due ortodossi accusati di aver usato un rasoio per colpire due musulmani.

PROTESTANTI


I protestanti, invece, hanno a disposizione 55 luoghi ufficiali di culto nelle maggiori città del Paese, ciononostante le singole comunità non sono ancora riuscite a ottenere il riconoscimento di status legale di edifici ecclesiastici. L’impedimento sarebbe rappresentato da una serie di ostacoli amministrativi e burocratici.
A margine delle schermaglie burocratiche, un nuovo episodio di violenza è avvenuto nel gennaio 2006: il pastore della chiesa di Adana, Kamil Kiroglu, fu picchiato selvaggiamente fino a perdere i sensi. Cinque i suoi aggressori che gli intimavano di abiurare la fede cristiana e convertirsi all’islam, se non voleva essere assassinato. Altri casi di persecuzione, riportati sul «The Economist», avevano riguardato a Tarso un missionario neozelandese, che era stato percosso e invitato ad andarsene dal sindaco della cittadina. Mentre a un pastore protestante di Izmit era stata recapitata una lettera minatoria ed era stata dipinta una svastica rossa sulla porta di casa.
Anche sul lavoro, le discriminazioni sono evidenti. Bektas Erdogan, stilista di moda convertito da 11 anni al cristianesimo, è stato percosso per due ore dal proprio datore di lavoro che lo accusava di svolgere opera missionaria e “lavaggio del cervello”. Andreas Robopulos è un giornalista di origine greca che vive in Turchia. E’ direttore del piccolo quotidiano turco “Iho”, edito in lingua greca, e fu oggetto il 4 dicembre 2007 di un’aggressione con colpi di bastone alla testa da alcuni sconosciuti, proprio dinanzi alla redazione del giornale nel quartiere di Beyoglu, sulla sponda europea di Istanbul.

DON SANTORO


“È una bella storia quella di don Andrea, e non solo per i cinque anni in Turchia. È una storia che fa scoprire la spiritualità e la vita germinate negli anni dopo il Concilio”. Sono le parole con cui lo storico Andrea Riccardi ha presentato il libro di Augusto D’Angelo “Don Andrea Santoro – Un prete tra Roma e l’Oriente”, edito da San Paolo, e presentato in Campidoglio a Roma il 31 gennaio 2007. Il libro ha intesto essere una sorta di excursus sull’esperienza del presbitero nato a Priverno e abbraccia un serie di testimonianze e documenti molto significative, tra cui giova ricordare quelle di amici del sacerdote ucciso e di pellegrini da lui guidati tra le memorie della fede cristiana in Turchia. Tra i documenti, la lettera scritta da don Santoro per l’Opera romana pellegrinaggi, allo scopo di introdurre un itinerario poi annullato per gli attentati dell’11 settembre 2001. Il cardinale Camillo Ruini in quell’occasione disse che don Santoro “intendeva essere una presenza credente e amica, favorire uno scambio di doni, anzitutto spirituali, tra l’Oriente e Roma, tra cristiani, ebrei e musulmani”.
Mentre il sindaco di Roma, Walter Veltroni evidenziò che “Don Santoro non è un teologo né un intellettuale ma parla e scrive molto, perché è un uomo comunicativo”.
Ma per comprendere al meglio cosa significhino le parole perdono e amore, mi sembra utile soffermarci sulla testimonianza della sorella di don Santoro, Maddalena:
«Per me non è morto nulla – confida la sorella Maddalena all’Agenzia Romasette nel febbraio 2007- perché al di là della sofferenza personale, di tutta la mia famiglia, degli amici e figli spirituali, nel non vederlo, nel non sentirlo, nel sapere che Andrea non è più in un luogo preciso, emergono con sempre maggiore forza ed evidenza le ragioni delle difficoltà nel rapporto tra Oriente e Occidente, che non sono dovute al petrolio o a ricchezze materiali. La complessità del Medio Oriente, come si comprende infatti dall’ultima lettera di don Andrea, era per lui legata all’anima religiosa di quei luoghi: «In questo cuore, nello stesso tempo luminoso, unico e malato del Medio Oriente è necessario entrare in punta di piedi, con umiltà, ma anche con coraggio. La chiarezza va unita all’amorevolezza».«Anche la visita del Papa in Turchia - continua Maddalena - sta dentro questo processo che si è messo in moto e che pone maggiore attenzione al rapporto tra cristiani e musulmani. Certamente c’è ancora moltissima strada da fare, strada dura, in salita. Credo veramente che la forza di Andrea sia stata la sua fede - sottolinea ancora Maddalena -, il suo radicamento in Cristo, nel Vangelo, nella Chiesa apostolica che Gesù ha voluto, così come il suo continuo riferimento al Crocifisso, all’Agnello, all’Eucaristia, che indica umiltà e mitezza”.Ancora nella sua ultima lettera don Santoro annotava: «Un Dio che attira con l’amore e non domina con il potere è un vantaggio da non perdere...Non è facile, come non è facile la croce di Cristo sempre tentata dal fascino della spada. Ci sarà chi voglia regalare al mondo la presenza di questo Cristo? Ci sarà chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come cristiano, sale nella minestra, lievito nella pasta, luce nella stanza, finestra tra muri innalzati, ponte tra rive opposte, offerta di riconciliazione?». «Lui l’ha voluto - conclude Maddalena - ma come ciò possa proseguire e accadere è interamente affidato a Dio, alla fede purificata e trasparente dei cristiani e agli uomini di buona volontà!».


CONCLUSIONI

Il Parlamento europeo nella risoluzione sulle relazioni UE- Turchia dello scorso 24 ottobre, rammentava al Governo di Abdullah Gul il decalogo da rispettare: sì alle annunciate riforme in Turchia, ma vengano concentrate nei settori in cui vanno realizzati ulteriori progressi. Imprescindibile il rispetto delle minoranze religiose, ferma condanna per l'uccisione di don Santoro, più controlli civili sui militari e maggior rispetto della libertà d'espressione, senza dimenticare gli impegni su Cipro, curdi e armeni. Una sorta di richiamo che l’assise europea ha rivolto alla Turchia, a maggior ragione in questi mesi di intensi combattimenti al confine con l’Iraq e soprattutto in concomitanza con il meeting ecumenico che di Napoli dell’ottobre 2007. Proprio il capoluogo campano ha visto la contemporanea presenza del Santo Padre Benedetto XVI e, tra gli altri, dell’arcivescovo di Cipro Chrysostomos II, che ha ribadito le due priorità per l’isoletta: il rispetto della libertà di culto e la salvaguardia dell’immenso patrimonio culturale-religioso presente nella parte occupata, la “Katekomena”.
A proposito di Cipro il Parlamento europeo ha ricordato che “l'inadempimento da parte della Turchia degli impegni assunti nel quadro del partenariato per l'adesione continuerà ad influenzare negativamente il processo negoziale. Rammaricandosi che non vi sia stato alcun progresso sostanziale verso una soluzione globale della questione di Cipro, esorta ambedue le parti affinché adottino un atteggiamento costruttivo per trovare, nel quadro dell'ONU, una soluzione globale basata sui principi su cui è fondata l'UE. In proposito, ricorda che il ritiro delle forze turche agevolerebbe la negoziazione di un accordo”.
Il sussulto del Parlamento europeo si presta ad una duplice lettura: se da un lato offre un chiaro spunto di apertura e di riflessione responsabile al governo del neo premier Gul, dall’altro fa chiaramente capire di non essere affatto pronta a sconti o a concessioni incongruenti, come qualcuno scriteriatamente auspicava (vedi quei deputati radicali che nel settembre 2007 avevano accolto a Roma come un eroe il presidente della parte turco-cipriota, addirittura con scorta ufficiale dei Carabinieri, senza che alcuna penna ‘nazionale’ versasse inchiostro in proposito).
Cancellare la storia serve solo a chi quella storia vorrebbe riscriverla, magari per uscirne vincitore, anziché sconfitto. Peccato (per loro) che non viviamo più nei tempi in cui era sufficiente mistificare o ingannare le genti per ottenere consensi ed applausi.

mercoledì 2 aprile 2008

L’ALCOOL CHE UCCIDE

L’ultima vittima aveva 16 anni: è stata investita a Torbole Canaglia in provincia di Brescia da un ubriaco, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali insieme a un'amica. Anche la ragazza è rimasta ferita, ma in modo non grave. L'investitore, un 40enne, aveva un tasso alcolico nel sangue 4 volte superiore a quello previsto dalla legge. Quando si chiede a queste persone perché lo hanno fatto, rispondono sovente: per “gioco”, oppure “beviamo per noia”, o “senza alcool non è sabato sera”. Malessere costante che si insinua in tutti gli strati della società. Forse è un eufemismo definirlo solo malessere, tra omicidi irrisolti in ville ed appartamenti di provincia, e sguardi di ventenni che dimostrano più dei reali anni anagrafici.
Non sono in grado di definire i dettagli di questo episodio, le indagini li chiariranno meglio, ma un dato è certo: di alcool si muore e non solo per cirrosi epatica. I reati connessi al consumo di alcool hanno subìto un’impennata incredibile che ha pochi confronti. E non si dica che è il frutto di qualche ragazzata, perché non è così.
E’imprescindibile intensificare i controlli da parte delle forze dell’ordine e attuare un regime normativo serio e credibile: negli altri Paesi europei un episodio come quello lombardo avrebbe portato come minimo al ritiro a vita della patente. In Italia invece ci stiamo abituando a pene ridotte, ad ergastolani in uscita premio, a brigatisti a piede libero. E conseguentemente anche a mamme che piangono i propri figli, a fidanzate incredule, a figli senza padri.
E’la piega che sta prendendo il sistema che non è più accettabile: la certezza della pena deve essere inderogabile. Il cittadino dovrebbe essere consapevole del fatto che se dovesse commettere un reato andrebbe incontro al carcere. Invece gli esempi che la cronaca quotidiana ci offre ridimensionano i danni commessi e favoriscono chi li ha perpetrati. Viviamo ormai in uno Stato alla mercè di malavitosi, rapinatori, maniaci, contrabbandieri (questa volta non di sigarette ma di rifiuti). Ogni giorno è a rischio l’incolumità di tutti i cittadini che non sono adeguatamente protetti. Non si dimentichi, per rimanere in zona, il molestatore al quartiere Poggiofranco di Bari di poche settimane fa, o l’istituto scolastico andato a fuoco al San Paolo, o le violenze nelle scuole cittadine, altro che bulli, questi qui sono delinquenti. Verranno puniti a sufficienza?
Non c’è bisogno di un’analisi ancor più approfondita per arrivare alla conclusione che la società odierna è malata e sfoga sul prossimo le proprie insoddisfazioni, ma la domanda è come possa guarire. Senza contare l’assenza di valori condivisi, di punti di riferimento costanti e la poca voglia della gente di aprire il proprio animo che sono le cause principali, oltre ovviamente ad un altro fattore di comprovata importanza, ovvero la demonizzazione dei cosiddetti valori positivi. Quando leggiamo che molta responsabilità dei recenti avvenimenti è attribuibile alla noia dei ragazzi di oggi, viene quasi da sorridere, perché si insiste in una giustificazione che dovrebbe invece sopraffatta dalla presa di coscienza delle oggettive responsabilità.
Al “chi sbaglia paga” non ci crede più nessuno, perché chi sbaglia (di grosso) in galera ci va poco.

domenica 30 marzo 2008

Il Piano Annan? Non garantisce pari diritti alle due comunità




Il Piano Annan? Non garantisce pari diritti alle due comunità, dal momento che appare sbilanciato a favore della parte turco-cipriota e lascia ancora aperti molti dubbi e questioni, in particolare circa l'effettiva restituzione ai proprietari greco-ciprioti delle loro case e terreni attualmente occupati da coloni turchi “forzatamente” indotti ad emigrare, per volontà del loro Governo, dalle regioni interne della Turchia verso la Cipro occupata, così da alterare il preesistente rapporto percentuale tra maggioranza greco-cipriota e minoranza turco-cipriota. Nazioni Unite e ruolo di intermediazione nella delicata vicenda di Cipro: il tema è quantomai attuale e merita riflessioni e ragionamenti approfonditi, ma questa volta la sede non è un sinedrio internazionale, non il palazzo di vetro con il nuovo inquilino Ban Ki-Moon, bensì la Libera Università Mediterranea di Casamassima (Bari), università non statale legalmente riconosciuta, dove una laureanda, Carmen Intartaglia, si è cimentata in una tesi in diritto internazionale sul ruolo dell’ONU nella delicata vicenda cipriota.
“Lo scopo è contribuire alla formazione culturale delle giovani generazioni - commenta il suo relatore, il prof. Stelio Campanale, docente di diritto internazionale-, nella consapevolezza che solo con un’ampia conoscenza e visione delle problematiche internazionali che incidono anche su vicende europee come il tema dell'ingrsso della Turchia nella UE, oltre che, nello specifico, in ambiti territoriali non lontani dalla nostra regione, sarà possibile che le classi dirigenti del domani studino e propongano le soluzioni più idonee a dare le giuste risposte alle questioni irrisolte.”
Il Piano Annan si colloca nel panorama internazionale cipriota dopo 30 anni di trattative e si basa sulle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1960 e cioè prima ancora dell’occupazione turca del 1974 della zona nord dell’isola. Il lato greco lo ha categoricamente rifiutato mentre il lato turco si è espresso favorevolmente. Nel maggio 2004 Cipro è entrata nell'UE, anche se in concreto ciò si applica soltanto alla parte del sud dell'isola.
Nel riconoscimento del sostegno della Comunità Cipriota turca alla riunificazione, tuttavia, l'UE ha indicato chiaramente che concessioni commerciali sarebbero state raggiunte per stimolare lo sviluppo economico nel nord e che rimane l'impegno a una riunificazione in termini accettabili. Secondo il piano la Repubblica Unita di Cipro avrebbe dovuto avere bandiera nazionale ed inno unificati, essere retta da un governo federale composto da due stati costituenti; un senato federale composto da 24 turco-ciprioti e 24 greco-ciprioti dovrebbe costituire l'assemblea legislativa comune. Il Presidente greco, il vice-presidente turco.
In primis il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU, perchè esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi nella veste pratica escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, come una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota.
Ma uno dei punti maggiormente contestati dai ciprioti riguarda l’acquisizione di immobili : il piano Annan si è caratterizzato per una politica alquanto restrittiva e inapplicabile a causa di alcuni vizi di forma a sfavore dei greco-ciprioti. Un esempio pratico è rappresentato dal fatto che i rifugiati più anziani potrebbero tornare alle loro case (ma non è specificato se possono acquistarle nuovamente) per i primi tre anni in percentuale del 3%. Ogni anno i rientri aumenterebbero dell’1% con un’ interruzione dopo i primi 20 anni. Questi rifugiati non potrebbero comunque superare il 24% della popolazione della parte turca. Per quanto riguarda poi la difesa dell’isola sarebbe contemplata un’azione di completa smilitarizzazione, mentre sarebbe mantenuto un consistente esercito turco-cipriota fino a data da stabilire : altro dettaglio del quale non si comprende al meglio la scelta. Garante della sicurezza dell’isola verrebbe incaricata la Turchia, che non è neanche membro dell’UE.
Per svariati anni i greco-ciprioti, in piccole percentuali, potrebbero solo visitare quotidianamente la zona turca dell’isola : qualora volessero effettuare un soggiorno dovrebbero richiedere permessi specifici alle autorità locali, che dovrebbe essere richiesto anche dai rifugiati greco-ciprioti mandati via dalle loro case dopo l’occupazione turca del 1974.
Infine il piano Annan continuerebbe a proteggere gli interessi di USA e Gran Bretagna che, con basi militari ad Akrotiri e Dhekelia, controllano strategicamente il Mediterraneo orientale e tutto il Medio Oriente.
Dopo l’esito negativo del referendum dalla parte greco-cipriota,e l’ingresso ufficiale della Repubblica di Cipro nell’UE dal 1 maggio 2004, queste basi appartengono giuridicamente all’Europa Unita.
Oggettivamente il piano Annan si pone come una lontana soluzione, magari nata da intenzioni apprezzabili di ristabilire quantomeno una gerarchia politico-sociale, in pratica però presta il fianco a critiche non occasionali ma frutto di una ponderata riflessione: esso non garantisce pari diritti alle due comunità.

martedì 11 marzo 2008

Ma Bari è in Europa?

A Liverpool è stato progettato un nuovo simbolo che rilancerà la città inglese come “architettonicamente amichevole”. Si chiamerà The Lamp, la lampada, e si tratta di un osservatorio di forma elicoidale che illuminerà le acque del fiume Mersey. A Bari invece chi osa parlare di porticciolo turistico deve scontrarsi con una realtà fatta di miopìe decisionali ed incongruenza politica.
Mentre nel resto d’Europa e del mondo si sperimenta, si innova, si migliora, in Italia e in Puglia no. Non solo nel Paese si sconta un ritardo abissale circa l’alta velocità ed il triangolo ferroviario Lione-Torino-Trieste resta sulla carta, ma si evita accuratamente di prendere in esame perfino le indicazioni della commissione europea: il riferimento è all’intersnodo portuale-ferroviario che vedrebbe coinvolte Taranto, Gioia Tauro, Trieste e Genova, e all’ormai famoso quanto irraggiungibile Corridoio 8: con tale decisivo sviluppo infrastrutturale, il nostro Paese e il capoluogo pugliese avrebbero accesso, con priorità rispetto ad altri, alle zone minerarie ed energetiche dei Balcani per la trasformazione della materia prima nelle nostre imprese. Sensibili sarebbero inoltre i benefici per appalti ed impianti. Nelle aree interessate è prevista anche la costruzione, l'ampliamento o il miglioramento di autostrade, di ferrovie ad alta velocità, di terminal per containers, di cavi ottici per le telecomunicazioni. Insomma, creare e ridare linfa al progetto arioso di Bari centro del Mediterraneo: non più vana utopia, ma traguardo più vicino del previsto, solo a patto che lo si voglia raggiungere veramente.
Ma tant’è. E’altresì pacifico agli addetti ai lavori, che al giorno d’oggi non è più sufficiente disporre di un buon prodotto (nel caso del nostro olio, il ‘buono’ va sostituito con ‘ottimo’): servono sì strategie di marketing e campagne di promozione ma soprattutto sono necessarie reti trasportistiche all’avanguardia. Immaginiamo dove potrebbe arrivare il nostro olio se su Bari fossero simultaneamente operative una serie di infrastrutture, come le autostrade del Mare (la Trieste- Catania, o la Helsinky- Cipro), il Corridoio 8 fino al Mar Nero, l’aeroporto intercontinentale, il terminal containers e lo snodo ferroviario che arriva sino in porto.
Disporre di quindici chilometri di lungomare pare non interessare alla città di Bari ed ai suoi governanti: a cosa serve progettare per tempo un molo turistico degno di questo nome? Il lungomare della vicina città greca di Patrasso, presenta molte affinità strutturali con quello barese. Entrambi si snodano perimetralmente e si prestano ad una progettazione diversificata: ma mentre quello greco è stato opportunamente sezionato in varie aree, ovvero porticciolo turistico, zona giardini per passeggiare, zona con locali e ristoranti a pelo d’acqua, porto commerciale, zona per canottaggio e zona per il rimessaggio delle imbarcazioni, quello barese invece galleggia ancora nella mediocrità architettonica e logistica in attesa di tempi migliori. O in attesa di una classe dirigente finalmente all’altezza.
Chiediamo troppo?

giovedì 6 marzo 2008

DIAMOCI UN TAGLIO



Ha poco più di un anno e mezzo di vita, nel corso del quale le istituzioni europee hanno fatto ben poco per contrastarlo. Parliamo del NVD, ("Amore del prossimo, libertà e diversità"), il primo partito dichiaratamente pedofilo. Nato in Olanda ha tra i suoi obiettivi la liberalizzazione della pornografia infantile e i rapporti sessuali fra adulti e bambini. La domanda è: come si può legittimare un movimento che si fonda su un’idea che è considerata palesemente un reato?
"Educare i bambini significa anche abituarli al sesso. Proibire rende i bambini ancora più curiosi", ha dichiarato Ad van den Berg, 62 anni, fondatore del partito. "Vogliamo trasformare la pedofilia un argomento di dibattito". Ora, il fatto che della pedofilia si discuta e si dibatta non rappresenta un elemento di difficoltà, dal momento che, essendo espressamente contemplato come reato, ad esso vengono per fortuna dedicate trasmissioni televisive ed inchieste giornalistiche. Lo scopo del signor van den Berg, forse, non è allora quello di creare dibattito, bensì di cercare legittimazione. Chiedere che venga legittimato un elemento che è considerato reato, non rappresenterebbe dunque un'altra forma di reato?

Nel programma (ammesso che possa definirsi tale) c’è anche la soppressione del Senato, la funzione di primo ministro, la legalizzazione di tutte le droghe, leggere e pesanti, e l'ergastolo per gli omicidi recidivi. E ancora, sì al sesso con gli animali, no ai maltrattamenti e la possibilità di viaggiare sempre gratis in treno per l'intera popolazione: insomma, un’iniziativa che definire deprecabile è riduttivo. Il partito, sul suo sito internet, afferma che chiunque abbia compiuto i sedici anni dovrebbe poter interpretare film porno e che la maggiore età sessuale dovrebbe essere abbassata a dodici anni. "Daremo una svegliata all'Aja!", è l'eloquente slogan che compare sul sito.

Ma ancor più sconvolgente delle suddette dichiarazioni di intenti è il silenzio delle istituzioni: non una voce si è alzata per condannare tale degrado socio-culturale, non un solo intellettuale che abbia definito “spazzatura” tale iniziativa, non un intervento delle varie componenti mondiali, Onu in testa. Forse in questo caso non vi è interesse a concludere la vita di tale partito, forse non c’è abbastanza introito a mettere la parola fine a questo scempio socio-culturale. Assistiamo purtroppo ad una ennesima dimostrazione di totale smarrimento dei valori più elementari, all’interno per giunta di un Paese membro dell’Unione europea.
La politica al servizio della società: una citazione che mai è stata così lontana da un movimento che cerca spazio in un parlamento della nostra Europa.

LEGGE ELETTORALE, CAMBIAMOLA

In questi giorni di fibrillazione per le sorti del Paese, e il riferimento non è solo alla campagna elettorale (ma alla spazzatura campana, al Santo Padre umiliato per i fatti della Sapienza, al diritto alla vita schernito, alle borse in disagio, alle famiglie ormai sul lastrico), serve confrontarsi anche su quella che è stata definita la pietra del contendere, ovvero la legge elettorale. Molti sostengono la bontà dell’attuale legge, definita a più riprese dal sen. Calderoli Porcellum, dal momento che impedirebbe l’inserimento della zizzania del malaffare, in quanto le liste sarebbero ad appannaggio delle segreterie politiche e senza lasciar spazio a richieste di contributi per la campagna elettorale.

Mi permetto di dissentire per una serie di ragioni: non ritengo una forma di democrazia partecipativa il fatto che nel chiuso delle segreterie romane un manipolo di uomini, per quanto simpatici e sicuramente di alto spessore politico, abbiano il potere di stabilire la composizione delle liste, togliendo al cittadino ormai l’unico mezzo che gli è rimasto per far sentire la propria voce, ovvero la preferenza. In base a quale principio è corretto stabilire che è lecito impedire all’elettore di scegliere autonomamente il proprio candidato preferito? Il rilievo che il sistema delle preferenze comporti per i candidati dispendiose campagne elettorali non è un dato a mio avviso consistente, dal momento che non mi pare di straordinaria importanza nell’economia globale del ragionamento, e soprattutto in considerazione del fatto che gli eletti poi non hanno comunque stipendi da fame, anzi.

All’indomani della riforma con cui siamo andati alle urne nel 2006, all’elettore non è stato consentito di scegliere per chi votare dal momento che è stata abrogata la preferenza. L’articolo 3 della carta costituzionale recita: “E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale del Paese”.

Il suddetto articolo richiama il diritto di partecipazione del quale ogni cittadino è investito. Da queste basi è necessario ricominciare quando si dice che si vuole mettere il cittadino al centro della politica. E’restituendo all’elettore il proprio potere che lo si ricrea protagonista della vita politica, perché è grazie al suo voto che si determina la composizione del Parlamento.

Per questo ritengo che il ritorno alla preferenza rappresenti nei fatti ormai l’unico baluardo di vera libertà e di puro spirito partecipativo che è rimasto a questo Paese, a meno che non si prosegua con la deleteria promessa di “fare il cittadino protagonista” per poi lasciarlo ancora una volta ai margini, relegandolo al ruolo di mero notaio che certifichi passivamente l’elezione di questo o quel candidato.

Cipro, alla prova dei fatti



To provlima, il problema. Così da 34 anni viene definita la questione di Cipro, da quando nel 1974 aerei da guerra turchi (e non solo) sorvolarono non a scopi turistici l’isoletta all’estremo est del Mediterraneo, occupandone militarmente e abusivamente la parte nord orientale e perpetrando razzìe e violenze inaudite. Da quel momento, a parte promesse elettorali ed appoggi strumentali da parte di questo o di quel Paese, nulla è cambiato, anzi, per i greco-ciprioti è iniziato un lungo calvario socio-culturale culminato con il piano Annan, che nel 2004 proponeva una soluzione per loro svantaggiosissima, ma che la comunità internazionale presentò al mondo come “la migliore che si potesse auspicare”. Il “no” al referendum, poi, ha destato l’attenzione dei governanti europei, i quali hanno purtroppo continuato a ragionare in termini economici più che in termini politici.

L’ottimismo di certi media europei di fronte alla vittoria del leader comunista Christofias merita di essere analizzato attentamente, per non incorrere in oggettive imprecisioni e sottovalutazioni di ogni dettaglio, che in questa storia si intreccia a dichiarazioni diplomatiche e scelte precise, come una rampicante fa avvinghiandosi sempre di più alla ricerca di un appiglio.
Non deve trarre in inganno il curriculum del neo presidente della Repubblica: il fatto che si sia formato a Mosca non deve necessariamente far trasparire una sua formazione comunista intesa “all’antica”. L’Europa si auspica che invece egli interpreti il ruolo di garante degli interessi greco-ciprioti da un lato, incarnando una politica di sinistra moderna come avviene nel resto del mondo civile. Detto questo è utile passare ai fatti, quelli concreti.

La situazione a Cipro è sotto gli occhi di tutti, come Mondogreco stesso testimonia con servizi e illuminanti fotografie, quelle sì che non hanno bisogno di alcun commento. Solo pochi mesi fa, in occasione della visita dell’Archipiscopo di Cipro Chrisostomos II in Vaticano dal Santo Padre e della sua partecipazione in ottobre al meeting Ecumenico di Napoli con lo stesso Benedetto XVI, molti organi di informazione italiani (tra gli altri La Stampa, Il Riformista, Il Messaggero, Ansa) hanno dedicato ampi reportages alle condizioni in cui versa la Katekomena, ovvero la parte occupata dai turco-ciprioti. Il riferimento è alle chiese di rito non musulmano che sono state oggetto, per usare un eufemismo, di una sorta di restyling stilistico che le ha tramutate in bordelli, caserme militari, residence, in totale spregio delle più elementari forme di rispetto e di civiltà. Cancellate con un tratto di penna, come quando si depenna un invitato dalla lista di un matrimonio: e così sono state rubate preziosissime icone ad appannaggio del mercato nero, ghigliottinati affreschi sacri e mosaici di inestimabile valore religioso ed artistico, nonostante l’Onu presidiasse l’isola con le sue jeep bianche targate UN, ma che paura non hanno suscitato in contrabbandieri e invasori.

Trentaquattro anni fa i greco-ciprioti dovettero abbandonare in fretta e furia le proprie (dicesi proprie, quelle di cui si ha legittima proprietà) abitazioni, lasciandovi preziosi, ricordi, oggetti, appezzamenti di terra, quella stessa terra che oggi agli usurpatori consente di continuare nella produzione di quegli agrumi famosi in tutto il mondo, dei quali l’Archipiscopo mi ha fatto amabilmente degustare il nettare nel suo studio in occasione della mia visita a Lefkosia.
Parlare con cognizione di causa del problema di Cipro presuppone che si abbia toccato con mano la tragedia che si è consumata sotto gli occhi di un occidente sempre più sordo a diritti civili e mistificazioni. Prima di lanciare campagne di informazione e di mobilitazione verso drammi che si consumano a latitudini da noi lontane e che meritano grande attenzione e sforzi, ritengo che la Commissione Europea debba confrontarsi con disastri politici interni al Mediterraneo, quegli stessi disastri che sovente vengono ignorati anche da deputati del Parlamento italiano o addirittura del Parlamento europeo. Cito fatti verificati personalmente dal sottoscritto.
Quando nel 2007, in occasione della visita in Italia del Presidente dei turco-ciprioti due deputati radicali hanno voluto accettare da lui la cittadinanza onoraria, offrendogli anche la scorta armata dei Carabinieri italiani, hanno commesso una violazione palese, dal momento che lo stato turco-cipriota non è dall’Ue riconosciuto anche in considerazione del fatto che esso stesso non ha inteso riconoscere Cipro, ammessa invece al club dell’Unione.

Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni e come avrò modo di riferire in qualità di modesto relatore alla platea di Lefkosia in occasione del Quarto Congresso Internazionale di Studi Cipriologici del prossimo aprile, il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU, perchè esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi, nella veste pratica, escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, come una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota.

L’auspicio è che i futuri riferimenti al piano Annan vengano pesati sufficientemente dalla bilancia tarata su valori fondamentali come diritto e civiltà.
Il Mediterraneo, culla della filosofia ellenica e dello « ius » romano meriterebbe pilastri morali che vadano oltre la mera tabella composta da entrate ed uscite. Cogitare sulla legittimità di un’occupazione militare senza nemmeno prendere in considerazione il dramma umano e sociale di un popolo, significa dimenticare colposamente la storia. Grave per due ragioni : in primis perchè si commette un errore oggettivo, mentendo spudoratamente al mondo. In secundis perchè proprio la culla morale e scientifica del mondo non merita un popolo di non-vedenti che ignora da dove siamo venuti e soprattutto che ignora dove andremo.
Da nessuna parte, temo, senza quella filosofia e senza quel diritto.

Tratto da http://www.mondogreco.net/ del 06/02/2008