domenica 21 giugno 2009

Il terzo mondo è fallito

da Ffwebmagazine del 19/06/09

Signora, cosa c'è di autenticamente padano che lei fa al mattino appena sveglia? E quella: rifaccio il letto, sa mi piace il lino e poi preparo il caffè. E lui: ma in Padania non ci sono né piantagioni di lino, né di caffé, come la mettiamo? Il dialogo del giornalista guineiano Filomeno Lopes con una cittadina autoproclamatasi della Padania, sta tutto in queste due battute e soprattutto sull'espressione che la nostra ha assunto solo dopo aver compreso il senso di quelle domande. Ovvero, quale distanza c'è tra il mio assoluto e il tuo assoluto? Perché è utile parafrasare il discorso di Barack Obama al Cairo sull'imprescindibilità della dignità umana? Dove ci conduce un modo di pensare basato sull'esistenza di qualcosa di autenticamente puro nel mondo? E soprattutto, che cos'è oggi il terzo mondo?

Alcune risposte, ma soprattuto molti spunti di riflessione sull'essenza del continente africano e su ciò che ne rimane oggi, a seguito dello sfruttamento commerciale da parte delle superpotenze mondiali, si trovano nelle quasi cinquecento pagine del libro Storia del terzo mondo di Vijay Prashad, utile non solo per ingrassare la bibliografia d'autore e di qualità su un mondo denso di accadimenti e smottamenti, ma per includere allinterno degli sviluppi sociali italiani, un modo di pensare che faccia tesoro di vere e proprie scosse sismiche registrate nel globo negli ultimi dodici mesi, e che hanno come epicentro un simpatico quarantenne, nero e non abbronzato, che si è messo in testa di riportare al centro del dibattito mondiale la persona e i suoi diritti fondamentali, a partire della vita e dal rispetto per l'individuo.

Che Africa ritroviamo oggi? Completamente diversa rispetto a quella di un ventennio fa, sostiene il sociologo Mauro Valeri. Il terzo mondo è un progetto e non un luogo fisico, nato intorno agli anni '20, sviluppatosi negli anni '40, collegato alle lotte di liberazione e di indipendenza degli stati africani, per poi finire in un percorso critico e positivo (fatto anche di grandi fallimenti) nel 1983 a Nuova Delhi con la riunione del movimento dei non allineati. Oggi il terzo mondo di fatto non esiste più, non essendoci una vera e propria divisione tra primo e secondo così come era stato all'inizio del secolo scorso, dove avevamo il primo mondo rappresentato dall'Occidente, il secondo legato all'entità sovietica. «Facciamo fatica ad ammettere che sia cambiato qualcosa rispetto a ieri - sostiene Valeri - infatti l'autore ribadisce che il terzo mondo è fallito. Il livello di indipendenza politica, sommato a quello culturale ed economico, ha prodotto squilibri. Al momento non vi sono modelli alternativi proponibili».

Se fino a ieri i colonialisti che sfruttavano il continente nero per i propri interessi erano direttamente riconducibili ai due grandi blocchi socio-politici protagonisti della guerra fredda, oggi sono solo cambiati i protagonisti, ma la trama è la stessa. La Cina in questi anni si è fatta presenza fissa e indiscreta in Africa, da dove ottiene un materiale indispensabile alla fabbricazione delle batterie al litio, senza delle quali i nostri telefoni cellulari non funzionerebbero. E allora, verrebbe da chiedersi, a cosa sono servite le lotte di indipendenza, le battaglie combattute in nome della libertà e dell'equiparazione sociale della persona, dei diritti primordiali come la vita e la sopravvivenza? Valeri ritiene che bisognerebbe capire dove si annida l'assassino dell'Africa, se al suo interno, vedi quei dittatori che proseguono nell'opera di svendita del continente, o al suo esterno, con i nuovi colonialisti, ma ci permettiamo di sostenere che non è tanto importante definire l'assassino, che invero è palesemente definibile, basta sfogliare i giornali di qualche mese fa per vedere in che modo hollywoodiano ha festeggiato il proprio compleanno il dittatore Mugabe, (con container pieni di aragoste e champagne) o con quale intensità le società cinesi razziano ancora una volta paesi poverissimi.

No, non avrebbe senso individuare chi commette il fatto semplicemente perché è sotto gli occhi di tutti: sarebbe più utile cicostanziare l'arma del delitto e sperare nell'intervento di un giudice severo. E se mancasse proprio questa figura? Siamo in accordo con il giovane Filomeno Lopes quando ammonisce che serve dire basta, fermarsi e mettere un punto. E poi ripartire, perché oggi all'Africa manca un sogno. Sino a ieri c'erano leader che perseguivano l'ideale di libertà dall'oppressore. Poi quell'ideale è stato falsamente veicolato come un traguardo, mentre non ci si è accorti che sarebbe dovuto essere ribaltato in meta da cui ripartire e negli ultimi anni quei leader hanno lasciato il campo a semplici capi che amministravano in nome e per conto degli stessi colonialisti di sempre, visti solo con occhi diversi e legittimati da una veste più ufficiale, ma che non hanno offerto di fatto ricadute positive al continente. Era razziato ieri nelle sue miniere e nei suoi sottosuoli, e lo è ancora oggi. L'emigrazione si è decuplicata, anche a causa di guerre senza voce, alle quali dirigenti di circostanza fanno finta di spegnere provvisoriamente i fuochi della quotidiana insofferenza civile, ma senza certezze sul futuro. Come uscire da questa empasse allora?

Una soluzione ci sarebbe, alla quale ci auguriamo Prashad lavori come filo conduttore per il suo prossimo libro, ed è quella di impedire l'occidentalizzazione dell'Africa, almeno l'occidentalizzazione malvagia, quella senza scrupoli, potendo contare sulle parole che un simpatico quarantenne, nero, (lo stesso che si è messo in testa di riportare al centro del dibattito mondiale la persona e i suoi diritti fondamentali, a partire dalla vita e dal rispetto per l'individuo) ha pronunciato in Egitto poco tempo fa a una folla impaziente (come impaziente era anche il mondo intero), in attesa di abbeverarsi a una nuova fonte, una sorgente nuova della quale si era persa traccia.

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