venerdì 5 giugno 2009

Contro gli amarcord, provvediamo alla “fame futura”




Da Ffwebmagazine del 05/06/09

«L’uomo - diceva Hobbes - a differenza dell’animale provvede anche per la fame futura», testimoniando una sua propensione naturale al nuovo e all’innovativo. Sembra però che negli ultimi tempi si sia imboccata una certa inclinazione al conservatorismo in taluni ambiti, che non può che suscitare perplessità e punti interrogativi mentali, se rapportato alle esigenze cangianti e moderne. C’è forse chi ha paura del domani e di quello che le scelte di oggi potrebbero determinare? Magari fosse così, almeno vorrebbe significare l’esistenza di un minimo di programmazione e di lungimiranza, che al momento latita.
Sembra invece che da più parti si inneschi il messaggio del voler vivere alla giornata, concedendosi il lusso estremo di riprendere di tanto in tanto spunti e costumi del passato.Colpa delle paure dettate da un’inclinazione all’incertezza e da una congiuntura di eventi che tolgono il senso dell’orientamento? Può darsi, ma forse c’è da chiedersi come mai in un frangente di difficoltà si preferisca ripiegare nelle retrovie, o per usare una metafora calcistica difendere lo zero a due in casa, così da evitare una debâcle.
È questa la strada da seguire? È in queste insenature decisionali che si scopre l’uovo di Colombo che consente di attaccare il domani, magari cercando anche di vincerlo? No, non sarà la difesa a oltranza del recinto che indurrà all’ottimismo, non sarà per merito di qualche conquista passata che si otterrà un’iniezione di energia utile per progredire.Tutt’intorno si registra un pullulare di rivisitazioni, ricordi, frammenti, manifestazioni legate a ieri e non a dopodomani. Ad esempio, è sufficiente scorrere i programmi estivi di alcuni Comuni italiani che riservano, giustamente, grande attenzione a eventi lontani nel tempo, senza però manifestare eguale sforzo (in termini di iniziative) per pensare a come sarà quella stessa comunità fra cinquant’anni.
Medesimo scenario in alcuni accadimenti legati ai costumi della società, che rischia di ergersi a paladina del falso amarcord, così come annotato sul Corriere Magazine da Isabella Bossi Fedrigotti, ovvero il buontempo andato che sembra oggi più in auge: la messa in latino proposta dalla Chiesa, il dialetto tanto caro alla Lega che la compagine padana vorrebbe prepotentemente inserire come materia di studio, la moda che rispolvera gli anni Quaranta, addirittura la cucina che si impantana nella rievocazione stucchevole dei metodi che furono. E si potrebbero aggiungere le rivisitazioni metodologiche dell’insegnamento e tanto altro. Sì, ma poi? E le proposte? Le iniziative? Le scoperte? Le nuove immaginazioni?
Tutte testimonianze care di un’Italia passata, della società di ieri, di un mondo che non c’è e che non ritornerà, che ci piaccia o no. Il punto è focalizzare attentamente quella sottile linea tracciata dalla storia e dai modi di essere. Le conquiste, i diritti acquisiti, le peculiarità dei singoli appartengono al bagaglio socio culturale e come tale devono essere giustamente metabolizzati, ma non quotidianamente richiamati alla mente per declinare le scelte future.
Perché si rischierebbe di perdere di vista i parametri di attuazione reale di quelle scelte. Oggi è irrinunciabile interrogarsi sulla mancanza di una declinazione futura, che invece sarebbe auspicabile semplicemente perché senza di essa si rimarrebbe fuori da tutto.La spinta al domani, scavalcando gli steccati, gettando ponti anziché erigere barriere, sarà inoltre tanto più utile se sarà concepita in una fase difficile come questa, in quanto è proprio nei momenti bui che si accende quella fiamma propulsiva che si rileva utile per guardare avanti.

Diceva il Generale De Gaulle «lasciate che gli eventi si rivelino difficili, il danno incombente, che la salvezza generale richieda improvvisamente una iniziativa. Una sorta di onda di marea spingerà in primo piano l’uomo di carattere». Quante volte abbiamo riflettuto su cause ed effetti della crisi economica, su una società che vede sempre allontanarsi la meritocrazia, su una classe dirigente sovente distratta e propensa all’autocelebrazione? Senza però fare uno sforzo vero per andare oltre quegli stessi stereotipi di cui non ci fidiamo e che vorremmo cambiare. È questo il momento buono per compiere una maturazione globale, e non solo all’interno delle classi dirigenti e degli addetti ai lavori, ma anche all’interno del sentire comune dei cittadini. Che ogni giorno si trovano prigionieri in una sorta di limbo surreale, in sospeso tra un passato sterile e un presente spesso fasullo.
Il sociologo francese Maffesoli solo pochi giorni fa ammoniva che «la nostra specie animale dovrebbe reperire parole pertinenti per dire ciò che pensa». Chiaro il riferimento a uno stato umano sprovvisto della modalità di esprimere correttamente emozioni, sensazioni, paure, sogni, sempre più distratti o forse colpevolmente rifugiati in quella modernità apparente che produce un universo fasullo, come i reality, la tv spazzatura, certi falsi miti, dopo quali gli uomini si ritrovano a fare i conti con se stessi e con i propri errori.
Per questo bisognerebbe riempire di contenuti innovativi i contenitori di oggi, preparandoli a contenere i contenuti di domani.E vale la pena di citare una frase di Bob Dylan: «Essere giovani significa tenere aperto l’oblò della speranza anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro».
Menti e animi giovani servono a questo paese, per guardare oltre, per liberarsi non del proprio bagaglio storico e culturale che ormai appartiene al dna di ognuno di noi, ma per staccarsi da concezioni vecchie e stantìe che, avvitandosi pericolosamente su se stesse, evitano accuratamente di lasciare che i pensieri corrano al domani, che le idee si riproducano in una libertà feconda e funzionale, che le professionalità si concentrino sulle nuove scoperte, insomma che gli uomini provvedano «alla fame futura».

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