giovedì 11 giugno 2009

QUANDO IL MURO CROLLO`PER FAR SGORGARE LA LIBERTA`

Da FFwebmagazine dell` 11/06/09

Muri di cemento, iconografia dei blocchi socio-culturali, impedimenti al libero scambio e alla condivisione, non solo a causa del filo spinato in sé , ma in virtù di quell’atmosfera di infertilità umana che ne scaturisce. Tra qualche mese si celebreranno i vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, e L’Europeo ha dato il via a un viaggio itinerante su quelle colonne di cemento armato, attraverso vite spezzate, unioni ritrovate e quotidiana convivenza con un universo contrapposto.

No, non si tratta del solito stucchevole revival di ciò che fu, intriso di quella inutile nostalgia dietrologica che spesso produce più danni che benefici. Ma attraverso reportage di illustri firme (Montanelli, Fallaci, Stille, Cancogni, Bocca, Vertone, Valentino, Monicelli, Pannunzio, Benedetti) corredati da memorabili servizi fotografici di Capa, Garrubba, Toscani, Fusar, si è inteso descrivere il muro e il mondo che determinò dal suo anno zero, da quando venne aperto il primo pertugio, a ritroso sino alle cause della guerra fredda, sotto il comune denominatore del concetto di libertà. “Il” concetto, l'elefteria, liberté, Freiheit, freedom, libertad, quell’affascinante e spericolata sensazione che fa vibrare le menti, volare i pensieri, spaziare le idee e gli animi in completa assenza di gravità.

Anche grazie a chi in quei frangenti ha respirato l’aria del muro, le sue polveri, le prime percezioni di gioia miste a incredulità e a voglia di ripartire. Ma cosa è stato il muro? Franco Venturini, firma del Corsera, intervenuto alla presentazione del numero speciale de L’Europeo al Goethe Institut assieme a Daniele Protti, lo ha scansionato in tre rappresentazioni. Ovvero un monumento alla prigione dei popoli («perche`impedisce il confronto e lo scambio tra le genti, di muri ce n’erano in tutto l’est»); all’isolamento economico («l’unica cosa che lo scavalcava erano le onde televisive, impossibile erigere un muro nell’aria. Fu un monumento all’autarchia sovietica che lo indebolì dal suo interno»); all’irriformabilità del sistema («impediva ai cittadini di vedere cosa ci fosse al di là del cemento, quali abiti indossassero, quali auto guidassero, quali e quante industrie meno inquinanti funzionassero»).

Tre elementi caratterizzanti che trovano la sintesi in un aspetto niente affatto secondario: gli studenti della Germania est scesero in piazza manifestando, evento che a Berlino est non si verificava dal '53 rammenta Venturini, in quei giorni e per i successivi tre mesi, inviato nella capitale. Fu uno choc per le istituzioni, che chiesero a Mosca di far muovere i trentamila uomini di stanza in Germania. Ma Berlino est non ebbe mai risposta, Gorbaciov si oppose a una prova di forza. «Proviamo a immaginare che cosa sarebbe accaduto - riflette Venturini - se l’uomo della Perestrojka avesse risposto da anziché niet, una guerra certa avrebbe avuto inizio».

È da quel niet che bisogna ripartire per comprendere l'essenza per nulla scontata del muro. Non solo storia, ideologie, culture che da quel momento subirono un incrocio e una fusione improvvisa e per tanto auspicata, ma vera e propria commistione umana, incontro salvifico, o ricongiungimento di un popolo in fondo sì diviso ma pur sempre in contatto metafisico. In un articolo del 1989 firmato da Saverio Vertone che vale la pena di riprendere, si percepisce il senso dell`apertura di quelle paratie: «e così dai buchi iniziali - si legge nel reportage apparso sul n.47 de L’Europeo - in principio cinque, poi sette, presto innumerevoli come le strade che univano e torneranno a unire i quartieri dell’antica capitale, insomma prima delle falle aperte, anzi delle chiuse alzate, e poi colabrodo del Muro, la Germania orientale ha cominciato a sprizzare, a sgorgare, a scorrere, a scrosciare nella Germania occidentale, vale a dire nell’unica Germania, nella vera Germania, nella Germania del passato e del futuro. E l’ha allagata. Ora le acque sono mescolate, la povertà sudamericana portata con dignità degli orientali e la ricchezza supereuropea, che nasconde una potenza tecnologica per il momento non ancora arrogante, degli occidentali si sono abbracciate e incastrate nell’immobilità dei motori. Non sarà facile separarle. Anzi, sarà impossibile».

Sprizzare, sgorgare, scorrere, scrosciare, tutti termini che concretizzano oltremodo il flusso di spostamento inclusivo non solo delle genti ma dei loro pensieri, delle paure, delle proposizioni future che quelle falle aperte hanno plasticamente incentivato e spronato alla concretizzazione. Sino ad allagare, con questo flusso imponente, il solo paese che ne rimaneva, l’unico alveo per le genti tedesche, la sola Germania unita. Il luogo del passato ma soprattutto del futuro, luogo di quella libertà che, diceva don Chisciotte della Mancia, «è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini».

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