Da Ffwebmagazine del 07/09/10
Stavolta c’è da ridere. Non che fino a ieri il “fu Pdl” abbia stimolato lacrime di commozione o reazioni improntate a una triste compostezza. Come dimenticare il ministro lampo Brancher, i corsi di preparazione politica a veline taccododici in odor di lista, o gli indici di gradimento al 70% sventolati mensilmente fino a poco tempo fa, o gli editti bulgari e successivamente romani, o la campagna acquisti condotta, pare, per sottrarre teste alle minoranze, o le riunioni “politiche” a bordo piscina con tanto di fotografi semi ufficiali e premier stranieri in deshabillé?
Oggi, dopo le gesta giudiziarie del dottor Stranamore, - il deputato che coniò la mitica espressione di “utilizzatore finale” (perché, ve ne sarebbe anche uno intermedio?) - o quelle illusorie del Mistificatore Sallusti, c’è proprio da ridere. Perché dalle parti di via dell’Umiltà c’è chi si diverte a giocare con gli specchi. Insomma, e qui verrebbe in soccorso un vecchio detto popolare (“sulu t’ha soni, sulu t’ha canti”) assistiamo al trionfo dell’autoreferenzialità, degna di certe convention aziendali e di quelle riunioni casalinghe dove si presentano stock di aspirapolveri o macchine per fare il gelato.
E dato che nel “partito dell’amore” ci si aiuta, ci si ama, ci si sostiene, si inglobano i voltagabbana, si cacciano i cofondatori, è giusto prodursi in ringraziamenti e cordialità.
Parliamo di Daniele Capezzone, megafono nazionale del fu Pdl, quello per intenderci che pochi anni fa asseriva: «Berlusconi si paragona a Napoleone e Churchill. Mi ricorda la barzelletta dei due matti: uno dice “Io sono Mosè e Iddio mi ha dato le tavole della legge” e l’altro, offeso: “Ma guarda che io non ti ho dato niente!”. Ecco, lui potrebbe essere il secondo matto, mentre per il novello Mosè bisogna scegliere tra Bondi e Fede». Sì, proprio “quel” Capezzone, che in fondo già manifestava una certa assonanza a quello che sarebbe diventato il suo futuro datore di lavoro, in quanto a barzellette e raccontini gioviali.
Ecco, questa mattina rivolge al Giornale del fratello del premier parole dense di gratitudine: “Grazie di cuore a voi del Giornale - scrive in un appassionato editoriale di spalla - che non smettete mai di fare qualche domanda scomoda a nome di molti italiani, stanchi di essere smaccatamente, e direi quasi programmaticamente, presi in giro”. Mielosa commozione politica, solidarietà socio-politico-mediatica, libertà di espressione.
Ma ve l’immaginate il portavoce di Obama che ringrazia il giornale di proprietà dell’inquilino della Casa Bianca (circostanze ovviamente assurde da quel lato dell’Oceano) per la campagna diffamatoria condotta contro un esponente politico che osa alzare un dito e proporre un’idea che non sia militarmente e aziendalmente allineata con il capo supremo?
Nell’appassionato intervento di oggi, che dovrebbe essere oggetto di studio nelle scuole di giornalismo (per imparare cosa non fare), Capezzone ringrazia praticamente se stesso, si genuflette di fronte all’inchiostro del Giornale di proprietà della famiglia del premier. Ecco gli specchi, ecco la presa in giro, ecco il gioco delle parti. E fa di più, appoggiando la richiesta di dimissioni nei confronti del presidente della Camera, (concretizzata poi nella richiesta di un incontro con il Capo dello Stato avanzata dalla ditta B&B, Bossi e Berlusconi).
Capezzone parla, nel cappello iniziale del pezzo, dell’esigenza di “una decenza istituzionale”. Senza essere sufficientemente consapevole che, questi due passaggi, dimostrano la latitanza non solo della decenza delle idee, quanto delle nozioni minime di diritto costituzionale, che in molti hanno ampiamente dimostrato di non possedere affatto nel fu Pdl.
Diceva Victor Hugo che “la libertà comincia dall’ironia”. Quindi se valesse tale principio, il Megafonatore Capezzone ne dovrebbe possedere a tonnellate, visto il tenore di certe dichiarazioni, diciamo cangianti dopo solo mezzo lustro. Ma per l’occasione, dopo essersi asciugati le lacrime seguite alle roboanti risate post editoriale capezzoniano di questa mattina, varrebbe forse la pena di tornare seri per un secondo, il tempo necessario a scomodare Otto Von Bismarck, quando dice che “la libertà è un lusso che non tutti si possono permettere”.
Senza offesa, s’intende.
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