domenica 12 settembre 2010

Raimon Panikkar,il filosofo delle tre religioni

Da Ffwebmagazine del 12/09/10

«Non mi considero mezzo spagnolo e mezzo indiano, mezzo cattolico e mezzo indù, ma totalmente occidentale e totalmente orientale». Raimon Panikkar era così imbarazzantemente globale, sostenitore della convivenza non soltanto fisica ma soprattutto spirituale tra menti e idee.

Di madre cattolica catalana e di padre indiano e induista, dei suoi genitori soleva dire che vivevano in una profonda armonia, anche se provenienti da due modelli sociali diversissimi. Filosofo, teologo, sacerdote, era detto l’uomo delle tre religioni: amava ripetere di essere andato cristiano, scoperto indiano e ritornano buddista. A testimoniare un incontro intimo di culture e credi diametralmente opposti, che lo avevano indotto a sostenere concetti come convivenza e dialogo. Insomma, un innovatore pericoloso e facinoroso, che in certi ambienti politici sarebbe stato molto probabilmente epurato. E non solo durante la guerra fredda.

Ha insegnato religione comparata ad Harvard e storia delle religioni e filosofia della religione in California, presso l’Università di Santa Barbara, dopo aver toccato altre cattedre come Montreal, Madrid, Bangalore. Ha ricevuto cinque anni fa la laurea honoris causa in antropologia ed epistemologia delle religioni dalla facoltà di sociologia dell’università di Urbino. Protagonista di un’esperienza nell’Opus Dei, dalla quale successivamente si allontanò, ha pubblicato ottanta libri, incentrati sul dialogo tra idee ed azioni, orientato verso la difesa della pace e della convivenza. Vi è anche un centro interculturale nato nel 1988 a Tavernet, sostenuto dalla volontà di rafforzare proprio ciò che lui definiva il “dialogo dialogale” tra le tradizioni, con l’attenzione puntata sulla giustizia sociale e sulle spiritualità.

Una sorta di giramondo dei pensieri, amico personale di Habermas e Kung, è stato membro dell’Unesco e del Tribunale permanente dei popoli. Ha teorizzato il viscerale legame esistente tra contemplazione ed azione, stimolando ossessivamente l’integrazione delle diverse sfere del reale, da lui incanalate all’interno del trinomio umano-divino-cosmico. Al pari del più filosofico concetto di coscienza-libertà-materia. Entusiasta frequentatore dell’Italia, due anni fa si era resto protagonista a Venezia, in occasione del suo novantesimo compleanno, di un sinedrio al quale avevano aderito studiosi provenienti da vari continenti. Mentre nel 2000 era stato nominato Chevalier des Artes e des Letres dal governo francese, prima di ricevere la Medaglia d’Oro della presidenza della Repubblica italiana.

Alla base di una così marcata vivacità mentale vi è il suo peregrinare giovanile: nasce a Barcellona dove si diploma, nel ’36 fugge in Germania a causa della guerra civile spagnola, fino al ’50 e dopo vari dottorati, insegna in Spagna ed in America Latina. Poi inizia a collaborare con diverse riviste francesi, italiane, tedesche, spagnole. Ma è l’incontro con l’India, a trentasei anni, a modificare definitivamente le sue coordinate mentali. L’occasione è una missione apostolica, che lo fa giungere sulle rive del Gange, dove si dedica allo studio, alla lettura, alla scrittura, alla meditazione. Tre monaci cristiani affascinati dall’induismo influenzano il suo progresso socio-metafisico, riuscendo nell’impresa di superare il dualismo religioso e comprendendo come si possa essere insieme cristiani e indù, altro passaggio delicatissimo verso il suo convincimento legato alla convivenza interculturale.

All’indomani dell’esperienza indiana ecco un altro stravolgimento a trecentosessanta gradi: la cattedra di religione comparata in California, dove si accosta ad una realtà completamente opposta a quella delle rive del Gange. Ricchezza, prosperità, benessere lo colpiscono, portandolo a riflettere sul fatto che l’unico punto di unione tra “due sfere della mia vita” era la sua vita interiore. Vero momento di equilibrio catartico tra due mondi agli antipodi. Ma un’altra contraddizione era in agguato, caratteristica che si rinnova ciclicamente nell’esistenza di Panikkar: prima di “chiudere il cerchio”, come scriveva, doveva tornare al luogo natìo. Di qui il rientro in Catalogna negli anni ’80, per completare il proprio percorso mentale, da dove prosegue incessantemente la sua attività filosofica e pubblicistica. Raggiungendo spesso l’Italia in occasione di seminari e dibattiti, come quello del 2004 a Venezia con Emanuele Severino.

Ma sempre nel solco di un incontro solido e fervente tra rami opposti, tra lembi lontani che, a discapito di distanze siderali o punti cardinali irraggiungibili, si riavvicinano e si parlano. E proprio in quell’istante, in quel limbo dove Oriente ed Occidente si sfiorano, si studiano, si interrogano, è lì che la mente pacifica e conciliante di Panikkar lavora intensamente. «Le parole dei grandi maestri - disse - non sono scritte su pergamena, ma sul cuore degli uomini».

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