domenica 5 settembre 2010

Rivoluzione Obama: la vera "politica del fare"


Da Ffwebmagazinje del 05/09/10

Lo avevano dato per spacciato. Troppe aspettative, troppe promesse sul presidente più abbronzato del mondo, luci e flash puntati su di lui da ogni parte del globo. “Si sta sgonfiando”, ammonivano. “Non ce la farà mai”, oppure, “prepariamoci ad un altro flop”, “ormai ha tutti contro”, “cala nei consensi”. Strana la storia, strani i suoi interpreti, strane certe dinamiche e soprattutto i soliti commenti affrettati. Che non possono basarsi su una piccola porzione di azione e provvedimenti, ma devono gioco forza assemblare una valutazione complessiva delle cose.


Barack Obama sembrava sull’orlo del baratro. Le lobbies lo contrastavano per la paventata riforma sanitaria, le grandi multinazionali e gli ambientalisti per il disastro nel golfo del Messico, i sindacati per la recessione, i pacifisti per i conflitti in Iraq, illustri politologi per la situazione in Medio Oriente. Ma lui, noncurante della pioggia di parole e sferzanti analisi, ha tirato dritto per la sua strada. Non una strada di sfavillanti premesse, o di retoriche enunciazioni. Non di giustificazioni con l’opinione pubblica per la congiuntura economica o per la concomitanza di un evento ambientale unico nella storia. Non una parola polemica su questo o quell’avversario, non una sola ricerca affannosa di giustificazioni, o una sola lamentela affidata ad un comunicato stampa o pronunciata vis-à- vis nello splendido giardino delle rose.


Ma lavoro, lavoro e solo lavoro. Quello vero, quello puro, quello fatto da staff che contribuiscono a studiare dossier, a valutarli, provvedendo a fornire un quadro analitico. Senza buchi nell’esecutivo, soprattutto in un dicastero strategico come può essere l’industria o le attività produttive. Senza perdersi dietro presunte strategie di persecuzione o di tradimenti, o dietro gli stucchevoli poteri forti che impediscono la rivoluzione immaginata. Senza concentrarsi sui fatti propri, o su quelli personali degli avversari politici. Senza erigersi a risolutore di tutto ciò che accade fuori dai confini nazionali, senza lasciare che qualche eccentrico personaggio entri nel territorio nazionale e si comporti come se fosse al circo.


Ma, almeno nelle intenzioni e anche un po’ nei fatti, un modo di fare politica seriamente. L’accordo con la Fiat: solo un mese fa l’amministratore delegato Sergio Marchionne è stato accolto da Obama in uno stabilimento della Chrysler a Detroit che, grazie ad un lavoro intenso e proficuo, continuerà la produzione (con modalità differenti) anziché chiudere. Nuovo pacchetto economico: a breve verranno presentate una serie di iniziative di stimolo all’economia, per impedire che la crisi venga combattuta con uno sterile blocco, utile all’inizio per saldare i conti, ma poi deleterio perché impedisce una ripartenza. Dinamica corroborata dagli ultimi dati sulla disoccupazione negli Usa, che cresce meno del previsto, con posti di lavoro in tenue aumento, anche nel settore privato.


Come si evince, Obama prende spunto dai primi cenni di ripresa per favorire politiche di iniziativa industriale. Senza affannarsi nella conservazione dello status quo, valido solo a riempire i giornali di meste ammissioni di responsabilità o tristi valutazioni sullo stato dei conti. Guerra in Iraq: alzi la mano chi avrebbe scommesso un dollaro sulla fine dei combattimenti in quel lembo del pianeta. Eppure la notizia c’è. Medio Oriente: altra mano tesa per innescare una stagione di dialogo, di spiegazioni, di discussioni. Aspre e dure, come è giusto che sia, ma in qualche modo un nuovo inizio dopo il tentativo di Camp David da parte di Bill Clinton.


Questi sono i fatti, i dati sui quali costruire convinzioni e pubbliche opinioni. Nessuno saprà come i problemi sul tavolo della Casa Bianca evolveranno. Se la sterzata economica sarà sufficiente a impedire l’emorragia di investimenti; se l’accordo Chrysler-Fiat aprirà scenari inimmaginabili solo sino a pochi anni fa; se l’ipotesi di dialogo tra Netanyahu e Abu Mazen potrebbe alleggerire l’atmosfera tra israeliani e palestinesi; se la riforma sanitaria riuscirà nell’impresa di dare dignità alle fasce deboli.

Quel che è certo è che, nonostante flussi di gradimenti e sondaggi dietro l’angolo, si denota la politica del fare. La si tocca, la si immagina per poi un minuto dopo scorgerla oggettivamente. La si valuta perché è reale, concreta. E non miseramente annunciata, o rimandata di una settimana o in attesa di giorni migliori, o fatta dipendere dagli umori di altri interlocutori. Sempre con quella noiosa cantilena dell’ “io non c’entro”, o del “vorrei ma non posso, perché non me lo fanno fare”. Questi ritornelli, dall’altro lato dell’oceano, non li canta proprio nessuno.

1 commento:

Polìscor ha detto...

Quanta fuffa. A novembre Obama si schianterà sulle mid termini, Berlusconi invece trionferà per l'ennesima volta. Grazie a voialtri dilettanti della politica.