"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
mercoledì 25 marzo 2009
LA CARICA DEI 101
La lettera con la quale 101 deputati chiedono al premier di non porre la fiducia sul ddl sicurezza, all’interno del quale figurano le due note dolenti (la possibilità per i medici di denunciare gli immigrati irregolari, e il rischio di non poter iscrivere i figli degli immigrati all’anagrafe), rappresenta l’esigenza forte di dialogo su questioni che investono anche la maturazione di un partito che aspira a rappresentare la maggioranza del Paese. Il fatto che qualcuno consideri quella lettera “figlia di manovre interne in vista del congresso del Pdl” evidenzia una mancata consapevolezza delle aspettative di una classe dirigente che punta non alla delegittimazione o alla confusione normativa dettata da questa o quell’altra esigenza, ma alla condivisione dei percorsi attraverso i quali si giunge ad un risultato. Non si tratta tanto di ammorbidire il testo o di fare passi indietro, il punto è di riflettere attentamente sulle reali portate di quel provvedimento, tenendo conto dei malumori fino ad oggi provocati e prevedendo le conseguenze sociali e politiche di una sua eventuale approvazione anche alla Camera.
Certo, un Governo è chiamato a votare e a fare leggi, ma senza perdere di vista la contingenza quotidiana, senza farsi avvolgere da retroscena assurdi, senza necessariamente vederci chissà quale disegno dietro la semplice volontà di analizzare il terreno prima e legiferare, con lungimiranza ed efficacia, poi. Sarebbe il caso di valutare che lo strumento legislativo, originariamente strutturato per definire una mappatura dell’immigrazione clandestina, al contrario rischia di perdere di vista gli obiettivi prefigurati. I medici curano, non segnalano. E voler invertire l’ordine delle cose, beh non promuove certo la crescita del senso delle istituzioni che ogni cittadino ( ed anche ogni suo rappresentante in Parlamento) dovrebbe avere. Analizzare con cognizione di causa il problema dell’immigrazione clandestina prevede che lo si faccia con attenzione ed intelligenza, snocciolando scrupolosamente cause ed effetti, producendo norme che impongano sì il rispetto della legge ma anche della persona e della dignità umana. Non rendendosi promotori di azioni che hanno il rischio concreto di innescare caotiche reazioni e quindi ulteriori danni alla collettività.
Deve essere chiaro che i medici curano, non segnalano. E voler invertire l’ordine delle cose non promuove certo la crescita del senso delle istituzioni che ogni cittadino, oltre che ogni suo rappresentante in Parlamento, dovrebbe avere e custodire gelosamente.
martedì 24 marzo 2009
La salute degli immigrati, interesse collettivo
Aveva timore di essere segnalata alle forze dell’ordine? Il passo successivo sarebbe stata l’espulsione dal territorio italiano. Joy Johnson, 24enne prostituta nigeriana, è morta a Bari per tubercolosi. Il suo arrivo nel Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo) di Palese, da Lampedusa, risale al novembre scorso: era risultata positiva durante un controllo poche settimane prima del decesso, ma la sua fuga ha impedito di approfondire la diagnosi e quindi di procedere alle cure. Il medico legale ha parlato di morte per tubercolosi bilaterale cavernosa, una forma molto avanzata della malattia con altissime percentuali di contagio.
È questa al momento la maggiore preoccupazione: nello specifico, il caso barese porta con sé strascichi non indifferenti, dal momento che una funzionaria della Prefettura di Bari che in passato era entrata in contatto con la prostituta, sarebbe risultata positiva ai primi test di tbc. Da un vertice in Prefettura sono emersi alcuni numeri: in città vi sono 144 immigrati che “sfuggono” ai test per la tbc, in quanto di giorno si muovono liberamente per le strade del capoluogo pugliese, di sera fanno rientro nel Cara. Al suo interno vi sono quasi mille immigrati, circa l’80% è stato monitorato e la metà è risultato non negativo all’esame “mantoux”. Per loro si profila un approfondimento di analisi ma già due sarebbero stati ricoverati e posti in quarantena. Lecito chiedersi: e quelli sfuggiti? Quali rischi corrono gli operatori sanitari e le forze dell’ordine?
Le perplessità sono state espresse anche dal segretario provinciale del Siulp di Bari, Innocente Carbone, in una missiva indirizzata all’Osservatorio nazionale per la sicurezza dei luoghi di lavoro, oltre che al ministro dell’Interno Maroni, nella quale si chiede quali misure igieniche siano state approntate per prevenire e ridurre l’eventuale propagazione dell’agente biologico, e quali direttive di sicurezza siano state impartite a quei lavoratori impegnati in aree a rischio contagio. Dai medici è stato inoltre lanciato un appello ai clienti della giovane nigeriana: chi fosse entrato in contatto direttamente o indirettamente con lei dovrebbe rivolgersi ad un presidio sanitario e sottoporsi al test.
«Tutelare la salute degli immigrati significa tutelare anche quella della collettività, dei cittadini e delle forze dell’ordine, - riflette l’esponente del Siulp- senza dimenticare un altro fattore di rischio. All’interno del centro polifunzionale di Bari-San Paolo vi è un presidio della commissione che rilascia i visti, adibito all’interno di un locale dove stazionano immigrati dei quali non si conosce ancora nulla, che utilizzano i medesimi servizi igienici. Forse sarebbe il caso di evitare la moltiplicazione del rischio di contagio». E ancora, le prostitute che, una volta accompagnate in Questura per le verifiche del caso, stazionano negli stessi ambienti (stanze e toilette) degli agenti possono essere fonte di contagio? Un’altra soluzione potrebbe essere quella di prevedere uno screening medico prima di un qualsiasi contatto degli immigrati con altre realtà fuori dal centro accoglienza.
Ristrutturare ragionevolmente e a mente lucida la tematica dell’immigrazione clandestina deve essere una priorità, con l’auspicio che la si affronti oltre che con responsabilità ed efficacia, anche alla luce dei numeri: secondo l’Istat (dati del gennaio 2008) i cittadini stranieri residenti nel nostro paese sono quasi tre milioni e mezzo, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente, un risultato mai registrato in Italia.
«Posso anche iniziare a pensare – aggiunge Carbone- che la nigeriana morta a Bari avesse sentore che il ddl sicurezza, all’interno del quale un emendamento prevedeva la possibilità per i medici di segnalare gli immigrati clandestini, fosse già legge. Se così fosse, i casi come quello della giovane nigeriana potrebbero ripetersi, se non si pensasse ad una campagna informativa che tranquillizzi gli immigrati».
Ma indipendentemente dalle vicende burocratiche c’è un fatto che va riportato: gli immigrati hanno paura. Paura di una deriva xenofoba, paura di curarsi, paura di convivere con leggi che innescano caos ed una situazione di oggettiva confusione.
Come ha ricordato il presidente Fini nel suo discorso alla Fiera di Roma, il Pdl deve essere un partito che mette in cima alle sue priorità la dignità della persona: ne consegue che anche la cura degli immigrati deve essere un compito dello Stato. E lo Stato lo deve fare con politiche mirate alla salvaguardia del diritto e della sicurezza di tutti i cittadini. Proprio tutti.
mercoledì 18 marzo 2009
MEDICI E SICUREZZA: ASCOLTIAMONE LE RAGIONI
Si dicono pronti a ricorrere alla Corte di giustizia europea, nella consapevolezza che il ddl in questione è contrario alle più elementari forme di diritto e tradisce il giuramento di Ippocrate. Loro sono alcune delle sigle sindacali dei medici italiani (Anaoo Assomed, Cimo Asmd, Aaroi, Fp Cgil medici, Fvm, Federazione Cisl medici, Fassid, Fesmed e Federazione medici Uil Fpl) e il vulnus riguarda la norma che prevede la possibilità per un medico di denunciare un malato immigrato clandestino. Possiamo permetterci il lusso di non ascoltare queste argomentazioni? Può il Parlamento procedere su una materia specifica tralasciando le istanze di coloro che con quel tema si confrontano quotidianamente?
Il ddl sulla sicurezza, e per la precisione un emendamento avanzato dalla Lega Nord, cassa l’art. 5 del decreto 25 luglio 1998 secondo cui «l'accesso alle strutture sanitarie da parte di uno straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità», introducendo la possibilità di denuncia alle autorità di pubblica sicurezza. È utile ricordare che il suddetto decreto, nella versione antecedente alla proposta di riforma, aveva consentito a molti immigrati affetti da varie patologie di potersi avvicinare con fiducia ai medici, ottenendo cure e benefici secondo i principi contenuti nel codice deontologico. Senza contare le reali azioni di controllo sul territorio di numerose patologie infettive, attraverso un’azione di prevenzione.
Tutto questo potrebbe essere messo in forse da una norma che avrebbe, come conseguenza immediata, il blocco psicologico dei pazienti immigrati, che per timore di essere denunciati non si rivolgerebbero più alle strutture sanitarie, con grande danno alla propria salute e anche a quella della comunità, con un alto rischio di contagio. Inoltre, i singoli medici non sarebbero più solo incaricati a fare diagnosi, ma si trasformerebbero in vere e proprie spie al servizio delle autorità di pubblica sicurezza perché interpreti di un’attività non prevista né dal contratto di lavoro con il Ssn, né da norme contenute nel codice deontologico.
Il decreto, approvato dal Senato, è ora in attesa di essere vagliato dalla Camera dove i medici contano di far sentire le proprie ragioni. Ascoltare le posizioni specifiche e in seguito concertare una soluzione, potrebbe essere una forma di intelligente convivenza tra istanze concrete e pericolosi scenari che potrebbero aprirsi (anzi, che si sono già semi aperti) se il ddl vedesse la luce anche a Montecitorio.
QUEL CIMITERO PUO’AIUTARE L’INTEGRAZIONE
Un cimitero islamico in territorio italiano, edificato da un sindaco di An, per dare un segno preciso alla comunità (locale e nazionale): piccoli grandi interventi che hanno l’effetto di allietare rapporti e interscambi, semplicemente favorendo la vita comune, in tutti i sensi.
In provincia di Bari, a Gioia del Colle, il sindaco di An Piero Longo ha da pochi mesi fatto realizzare un cimitero islamico, rispettando i dettami della religione musulmana, con la proiezione della testa del defunto verso sud-est, guardando idealmente verso la Mecca. Un gesto di distensione, che si somma a due altri provvedimenti del Comune: la creazione di uno sportello informativo destinato all’alfabetizzazione e al rinforzo scolastico per immigrati e l’istituzione di una mensa scolastica che tenga conto dei differenti credi religiosi.
“Quando l’imam Jakil mi invitò alla cerimonia di inizio del Ramadan- racconta il sindaco Piero Longo- gli proposi subito di riservare un’area del cimitero cristiano cittadino ad ospitare questa iniziativa, dal momento che integrarsi è più facile di quanto si possa immaginare. In quell’occasione si è attivata un’intensa fase progettuale con la collaborazione dell’assessorato regionale al Mediterraneo, con visite guidate alla moschea ed al cimitero da parte di scolaresche provenienti anche da altre regioni d’Italia”.
Basta poco per strappare un sorriso e un “grazie di cuore” ad una comunità che già da venti anni dispone qui di una moschea, è sufficiente un’azione ragionata e spontanea per dimostrare all’imam di Gioia del Colle, Sacini Abdel Jakil, che la volontà di armonizzare esigenze e attitudini rappresenta la reale intenzione di porre le basi affinché diverse anime trovino un punto di incontro.
“Dal momento che li accogliamo da vivi, non vedo perché non dovremmo farlo una volta passati a miglior vita- scandisce don Nicola Bux, teologo, liturgista e consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede- si tratta di un’occasione, per chi se ne fa promotore, di pensare ad un multiculturalismo che finalmente non sia fine a se stesso, ma figlio di una logica di tolleranza e di rispetto. Se oltre al cimitero per i musulmani iniziassimo anche a prevedere per loro alcune abitazioni, faremmo un altro grande passo in avanti”.
Dare la possibilità ad altri credi religiosi di poter seppellire i defunti secondo i propri canoni è quindi un atto di rispetto verso il prossimo e di intelligenza verso un dato oggettivo: in Italia il numero dei musulmani è in costante crescita, quindi parallelamente sono in aumento anche le rispettive esigenze specifiche. E a nulla serve trincerarsi dietro presunte valutazioni ideologiche strumentali, che non servono ad altro se non ad alimentare polemiche sterili e inutili dietrologie.
“Credo rappresenti una vera innovazione- aggiunge l’eurodeputato pugliese Salvatore Tatarella- perché risolve il problema reale di una comunità, e a farlo è proprio il Comune che deve amministrare per l’intera popolazione”.
La vita in condivisione e le differenti percezioni possono paradossalmente diventare un veicolo di comunione, al pari della cultura, altra occasione per apprendere tradizioni lontane nel tempo, ma nelle quali ritrovare gesti ed origini familiari.
Si pensi al Festival del cous cous di San Vito Lo Capo (Trapani), o a quello interetnico musicale Soul Makossa di Bari, a base di suoni africani (rumba congolese, ziglibiti ivoriano, bikoutsi camerunese, canti betè e canti pigmei), passando per il Festival interculturale di Legnago (Vr) e per quello di musica etnica di Monte Porzio Catone.
Nella Puglia terra di frontiera, in quel molo naturale messo lì nel Mediterraneo, la parola integrazione è parte della storia. Greci, romani, saraceni, svevi, aragonesi, turchi sono transitati da queste coste e su queste terre, lasciando pezzi di culture, integrate fra loro per arrivare ai giorni nostri. Come la tour Eiffel nel 1889 divenne il simbolo del positivismo e del progresso di un Paese, così questo cimitero vuole essere l’inizio di una nuova frontiera nei rapporti con i flussi migratori.
Una goccia in un mare nel quale la navigazione in comune è possibile.
lunedì 2 marzo 2009
Il bipolarismo che non c'è
Manca meno di un mese alla nascita ufficiale del Pdl, dove tutto sembra pronto tra statuti e mozioni di scioglimento. Dall’altro versante il Pd, tra mille peripezie, ha già sede e gruppi unici, ma il dato nazionale che vede il bipolarismo come funzionale e innovativa strada politica da percorrere, fa fatica ad essere metabolizzato in alcune realtà locali, dove addirittura vi sono gruppi con partiti che non esistono più e dove la galassia di partiti del centrosinistra risulta ancor più frammentata.
Nel Consiglio Regionale della Puglia accade questo e altro, con Ds e Margherita ancora vivi e vegeti, con ben venti gruppi consiliari all’attivo, ma che potrebbero diventare ventuno se il governatore Niki Vendola decidesse di fondare il gruppo del movimento che ha da poco creato. Alla faccia della modernizzazione e dello snellimento partitico. Ma non finisce qui, perché andando a spulciare tra i dati ufficiali non mancano gli spunti veramente originali. Nonostante tra dodici mesi si svolgeranno le elezioni regionali, i cambi di capogruppo e i rimpastini sono all’ordine del giorno.
Per dirne una, Alberto Tedesco, ex assessore democratico alla Sanità pugliese dimessosi da poco perché iscritto nel registro degli indagati, è diventato capogruppo dei Socialisti autonomisti, anche se proprio il Pd non compare ufficialmente all'interno del portale internet del Consiglio e non è una boutade. Al momento nel centrosinistra permangono i gruppi che esistevano al tempo delle elezioni, con Ds e Margherita su tutti. L’attuale capogruppo dei Ds è candidato dall’Udc alla Provincia di Lecce; Rifondazione ha tre consiglieri ma uno forse è in procinto di passare con il Movimento per la sinistra di Vendola; l’Adc di Pionati non ha un solo rappresentante ed è già in cerca di apparentamenti, ma è il partito dei singoli consiglieri a destare interesse o scalpore. E sì, perché vi sono ben sette gruppi composti da un solo membro (Verdi, Nuovo Psi, Psdi, Idv, Gruppo per le autonomie, Indipendenti Mpa e Sinistra democratica) e cinque gruppi composti da due consiglieri (Udc, Udeur, Socialisti autonomisti, Comunisti italiani, Primavera pugliese). Senza dimenticare i tre componenti di Gruppo misto e Sdi Unità Socialisti Puglia.
Insomma non ci si fa mancare proprio nulla ed il riferimento, come è ovvio, non può essere soltanto a uffici, pc, autisti e quant’altro del genere verrebbe in mente ad un qualsiasi cittadino ma anche, a questo punto, al valzer di alleanze e strategie che di volta in volta si presentano in occasione di leggi, iniziative, delibere.
Certo, non bisogna dimenticare che ad oggi il governatore pugliese è espressione di un partito che non lo ha voluto, nel senso che Rifondazione è guidata da Ferrero il quale ha sottratto la segreteria proprio a Vendola, e quest’ultimo qualche settimana fa ha dato vita al Movimento per la sinistra, altra formazione all’interno di quei partiti che non hanno un seggio in Parlamento.
Ma peggio della Puglia hanno fatto, udite udite il Veneto, con dieci gruppi formati da un solo consigliere regionale, la Lombardia, la Basilicata ed il Molise con otto. Anche in quest’ultima regione permangono Ds e Margherita, nonostante il discorso del Lingotto, le elezioni del 2008 ed il cambio della guardia Veltroni- Franceschini. Una situazione un tantino anacronistica. La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta, con nessun gruppo composto da un solo consigliere, al pari di Campania, Sardegna e Sicilia. Ma purtroppo la terra di Sciascia rappresenta un caso a sé, con l’Ars (Assemblea regionale siciliana) che in pratica, per spese ed organizzazione, assomiglia più ad un’assise internazionale che ad altro con sedi a Roma, Bruxelles e Catania. Il quadro d’insieme risulta un po’ complesso agli occhi degli osservatori stranieri che sovente ci guardano con sarcasmo e anche con sdegno. Passi la rappresentanza delle identità, ma allorquando la sintesi diventa un trend nazionale all’avanguardia, in seguito nelle periferie locali i meccanismi organizzativi dovrebbero essere maggiormente sincronizzati.
E qui entrano in gioco i regolamenti che a questo punto meriterebbero di essere più restrittivi, al fine di dotare le assemblee regionali di funzionamenti più snelli ed efficienti, con un cospicuo risparmio di danari pubblici. Insomma, le lancette dell’orologio politico sembrano essersi fermate in alcune realtà locali dove capita, soprattutto a sinistra, che la sovraesposizione sia un vero deterrente alla modernizzazione della partitocrazia in senso bipolare.
lunedì 23 febbraio 2009
MA NOI RISPETTEREMO IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE
Medici spie? No, grazie. Alla base di Alleanza Nazionale non convince l’emendamento proposto dalla Lega al decreto sicurezza approvato dal Senato lo scorso 5 febbraio, ed in attesa di essere calendarizzato dalla Camera. Sopprimendo il comma 5 dell’art. 35 del decreto legislativo 25/07/1998 n.286, l’emendamento in questione prevede la possibilità per un medico di denunciare l’immigrato irregolare presentatosi per essere curato, contravvenendo in questo modo al giuramento di Ippocrate e rischiando di diffondere un allarmismo del quale, di questi tempi, una politica sull’immigrazione lungimirante e ragionata farebbe volentieri a meno.
Abbiamo presentato il quesito ad alcuni medici di An di varie regioni italiane che ricoprono anche ruoli attivi all’interno delle amministrazioni locali, e le sorprese non sono mancate. Non solo alcuni degli intervistati hanno manifestato perplessità circa il merito e il metodo del decreto, ma hanno avanzato anche interessanti correttivi che potrebbero in futuro concorrere a migliorare il provvedimento.
“Perché non segnalare solo quei casi che possano derivare dal compimento di un reato? Penso a ferite da taglio o da arma da fuoco che farebbero pensare ad un tentato omicidio”. Lo propone la dott.ssa Teresa Baione, responsabile sanità della Federazione provinciale di Salerno, secondo la quale “si consentirebbe in questo modo alle forze dell’ordine di contare su un valido contributo. Senza dimenticare che il decreto in questione demanda all’atto medico non considerando il rispetto del giuramento di Ippocrate. Il rischio vero è che sulle politiche socio-sanitarie si smarrisca il vero obiettivo, ovvero lo screening di una serie di patologie nuove o più forti rispetto agli standard italiani, mi riferisco alla tubercolosi che nei casi di provenienza extraeuropea manifestano alcuni ceppi maggiormente resistenti alle cure classiche. Circa la prevenzione, che spesso al sud manca, credo vada fatta all’interno delle strutture territoriali come gli ambulatori che potrebbero addirittura ospitare gli extracomunitari senza intaccare gli ospedali già oberati di lavoro”.
Dal punto di vista deontologico l’emendamento della Lega è una “bestialità”, sostiene il dott. Antonio Angelo Liori, cardiologo e consigliere regionale della Sardegna, in quanto “avrei preferito che lo Stato avesse deciso di non curare affatto gli immigrati clandestini e non che prevedesse questa opzione che produrrà solo confusione. Quanti non si sottoporranno a cure per il timore di essere denunciati? Bisogna chiederselo, dal momento che vi sono già malattie che hanno l’obbligo di denuncia, obbligo che però non investe la persona”.
Sull’inopportunità del decreto non ha dubbi il prof. Fernando Aiuti, immunologo e presidente della commissione sanità del Comune di Roma, quando sostiene di condividere “in toto la tesi del Presidente della Camera Gianfranco Fini circa il rischio di spaventare i clandestini inducendoli a non curarsi. Penso che il Governo non ne beneficerà dal punto di vista dell’immagine, dal momento che scientificamente il decreto è sbagliato, in quanto comporterebbe una vera e propria fuga dagli ospedali di immigrati che potrebbero diffondere gravi patologie. Piuttosto, oltre a provvedere alla cancellazione dell’emendamento in questione dal decreto sicurezza, proporrei di rafforzare il monitoraggio da parte delle forze dell’ordine non negli ospedali, ma all’interno dei campi rom e in altri ambiti dove l’illegalità è diffusa”. Inoltre, come ha avuto modo di scrivere in una mozione firmata trasversalmente anche da altri consiglieri comunali, il prof. Aiuti sostiene che “i medici assumerebbero il ruolo non di persone che devono fare diagnosi e curare gli ammalati ma di spie al servizio delle autorità di Pubblica Sicurezza facendosi carico di una attività non prevista dal loro contratto di lavoro con il SSN, né da norme contenute nel codice deontologico degli ordini professionali, né da alcuna normativa internazionale vigente nei Paesi democratici configurandosi quindi il provvedimento contro la deontologia medica e l’interesse della collettività.”
Andrea Paolo Floris, sindaco di Cagliari e medico di base, da 5 anni fa parte della commissione speciale della Asl territoriale: “In questo lustro non mi sono ancora imbattuto in un solo caso di immigrato irregolare che si fosse presentato in una struttura pubblica”. Come dire che il decreto non risolverà il problema, anzi.
Si richiama invece alle regole esistenti il dott. Luigi Fera, medico di base e consigliere provinciale a Bari quando rileva che “siamo già tenuti a denunciare all’ufficio di igiene tutto ciò che di straordinario accade, come le malattie infettive. A maggior ragione se vi è una qualche forma di illegalità, ma è chiaro che qui in coscienza il medico può scegliere di tutelare la privacy del paziente, come impone il giuramento di Ippocrate, e mi riferisco in special modo al medico che ricopre un ruolo pubblico e che per questo ha una massiccia dose di responsabilità sulle proprie spalle”.
Perplesso il dott. Antonio Dambrosio, consigliere regionale del Piemonte, medico di base specializzato in odontostomatologia, che “non se la sentirebbe” di denunciare l’immigrato clandestino bisognoso di cure, e che predica prudenza nel legiferare quando le tematiche risultano così delicate, come il caso Englaro insegna.
giovedì 19 febbraio 2009
TURCHIA IN EUROPA, LE REGOLE DA RISPETTARE
Il dibattito sollevato in merito all’ingresso della Turchia in Europa, merita approfondimenti e precisazioni. La concezione dell’allargamento ideologico e sociale dell’Unione Europea è un’iniziativa intelligente e proficua, che gioverà al complesso della comunità sotto molti aspetti. La preoccupazione italiana di elaborare una politica di inclusione anche nei confronti di Ankara è giustificata dai progressi che il Paese ha compiuto in questi anni, come le numerose collaborazioni ed iniziative di partenariato testimoniano. Detto questo è imprescindibile comprendere come una qualsiasi teoria abbia esigenza di un riscontro vivo nella pratica, in questo caso il diritto.
Sbaglia chi ritiene che esista una divisione a priori tra pro Turchi e oppositori al loro ingresso nell’Ue, semmai esistono delle leggi che vanno rispettate da chi ha piacere ad entrare nella grande famiglia europea. Un esempio ci aiuterà in una serena valutazione nel merito. Se l’Italia da domani decidesse di non riconoscere la Francia come stato membro, cosa succederebbe? Se il nostro Paese negasse lo spazio aereo a velivoli francesi o vieterebbe il transito di navi transalpine nei nostri mari, che conseguenze susciterebbe? Legittimo chiederselo dal momento che queste eventualità sopra citate accadono realmente nei rapporti tra la Turchia e la Repubblica di Cipro, stato membro dell’Ue a tutti gli effetti. Il punto è questo e verte sul semplice e niente affatto polemico rispetto delle leggi.
Il Trattato di Amsterdam, all’articolo 49, prevede la libera circolazione dei popoli all’interno dell’Ue. E’una disposizione ufficiale, non una presa di posizione soggettiva suscettibile di interpretazioni o sconvolgimenti.
Il 24 giugno del 2008 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso due sentenze storiche, ritenendo la Turchia colpevole di aver violato fondamentali diritti dell’uomo. La prima riguarda i delitti Solomou e Isaak: Solomos Solomou, greco-cipriota di Famagosta, ha perso la vita nel 1996 freddato dal fuoco di cecchini turchi. La sua unica colpa è stata quella di essersi arrampicato su un palo per rimuovere una bandiera turca. Pochi giorni prima suo cugino Tassos Isaac era stato ucciso dai Lupi Grigi mentre partecipava ad una manifestazione contro l’uccisione di due suoi amici. Per l’omicidio, ripreso in diretta da alcune televisioni, vennero fermati Kenan Akin e Erdal Baciali Emanet, quest’ultimo capo delle forze speciali turche, inchiodati da prove fotografiche. Akin nell’ottobre del 2004 ha ammesso di aver fatto fuoco, ma ha accusato l’ex comandante militare turco Halil Sadrazam di averglielo ordinato. Quest’ultimo ovviamente ha negato l’accusa. In seguito Akin, scarcerato, è stato arrestato ad Istanbul non per l’omicidio di Solomou ma per contrabbando. Pur essendo ricercato dall’Interpol è stato a sua volta rilasciato dalle autorità turche suscitando una crisi diplomatica, oltre che l’orrore dell’opinione pubblica. Il video dell’uccisione di Solomou si trova su You Tube.
La Corte ha ritenuto la Turchia responsabile per aver violato l’art.2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per non aver rispettato la vita dei due cittadini ciprioti e per non aver dato seguito a inchieste credibili sugli assassini. La Turchia è stata in questo caso chiamata in causa dal momento che le “autorità dello stato fantoccio istituito dalla Turchia stessa nella parte occupata dell’isola, sono ritenute dalla Corte amministrazione subalterna al governo turco”.
La seconda sentenza ha ritenuto la Turchia colpevole di aver violato l’art.10 che salvaguarda la libertà di espressione. L’insegnante Eleni Fokà nel gennaio 1995, mentre rientrava a scuola nel villaggio occupato di Agia Triada, venne arrestata e maltrattata da ufficiali turchi che le sequestrarono libri ed appunti. Secondo il tribunale di Strasburgo le autorità di Ankara dovranno risarcire la donna per le violazioni subite.
Il Parlamento europeo nella risoluzione sulle relazioni UE- Turchia del 24 ottobre 2007, rammentava al Governo di Abdullah Gul il decalogo da rispettare, ovvero: sì alle annunciate riforme in Turchia, purchè vengano concentrate nei settori in cui vi è estrema esigenza di ulteriori progressi, considerati vitali dal punto di vista democratico.
Irrinunciabile il rispetto per le minoranze religiose, ferma condanna per l'uccisione di don Santoro, più controlli civili sui militari e maggior autonomia per la libertà d'espressione, senza dimenticare gli impegni su Cipro, curdi e armeni. In quell’occasione il Parlamento europeo rammentò che “l'inadempimento da parte della Turchia degli impegni assunti nel quadro del partenariato per l'adesione continuerà ad influenzare negativamente il processo negoziale. Rammaricandosi che non vi sia stato alcun progresso sostanziale verso una soluzione globale della questione di Cipro, esorta ambedue le parti affinché adottino un atteggiamento costruttivo per trovare, nel quadro dell'ONU, una soluzione globale basata sui principi su cui è fondata l'UE. In proposito, ricorda che il ritiro delle forze turche agevolerebbe la negoziazione di un accordo”.
La presa di posizione oggettiva e non faziosa del Parlamento europeo presta il fianco a due considerazioni: in primis concede una chiara apertura e invita il governo turco ad una riflessione responsabile manifestando piena disponibilità al processo di adesione, dall’altro fa chiaramente capire di non essere affatto pronta a sconti o a concessioni incongruenti, come qualcuno auspicava, vedi quei deputati radicali che nel settembre 2007 avevano accolto a Roma come un eroe il presidente della repubblica turco-cipriota autoproclamata e riconosciuta solo da Ankara (e né dall’Ue né dall’Onu), addirittura con scorta ufficiale dei Carabinieri, senza che alcuna penna ‘nazionale’ versasse inchiostro in proposito.
sabato 7 febbraio 2009
GRECIA, TUTTE LE SFIDE DEL GOVERNO

da "Fare Futuro web magazine" del 06/02/09
Da patria della filosofia a potenziale laboratorio economico e culturale, passando per alleanze strategiche e nuovi slanci strutturali: la Grecia si specchia con i venti di crisi ad un mese dagli scontri anarchici di Atene e nel pieno delle proteste degli agricoltori, a seguito dei quali tenta di ripartire con un nuovo esecutivo, nella consapevolezza che non è sufficiente un batter di ciglia per rimediare a strumentalizzazioni pretestuose e a problemi reali, ma potendo contare su una nuova fase progettuale.
Il premier di centrodestra Kostas Karamanlis, esponente di punta del partito Nea Demokratia, ha rivoluzionato la sua squadra, confermando tre ministri, tra i quali spicca la tenace Dora Bakoyannis agli Esteri e sostituendone otto, tra cui quello economico, fuori Alogoskoufis per Papathanassiou.
La crisi economica ha colpito l’Ellade in maniera diretta e profonda e le ripercussioni appaiono oggi ancor più insormontabili anche a causa di un tenore di vita che i Greci hanno negli anni conquistato e che oggi difficilmente riescono a modificare. Ma in fondo al tunnel si intravede più di un barlume di luce, dal momento che una serie di fattori potrebbero essere determinanti in positivo.
In primis il gasdotto Edison Italia-Grecia, per il quale la Commissione Europea ha stanziato cento milioni di euro, per consentire al gas turcmeno di giungere nel nostro Paese, anche attraverso una sinergia logistica proprio tra la Grecia e la Turchia. Numerosi sono stati negli ultimi anni i passi in avanti compiuti dai due Paesi che, a seguito di controversie storiche, tentano di riavviare il dialogo attraverso iniziative e progetti. Uno di essi porterà alla costruzione di un’autostrada che collegherà Salonicco a Istanbul.
Dal primo gennaio di quest’anno, inoltre, la Grecia è presidente di turno dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per la quale ha già avanzato due interessanti proposte: la prima rivolta ad una strategia ad hoc per la regione del Caucaso all’indomani della crisi del gas in Georgia, dove costruire un nuovo sistema di sicurezza geopolitica anche in funzione europea, l’altra giuridica intendendo regolare proprio il quadro legale dell’Osce, nato nel 1994 ma ad oggi ancora privo di personalità giuridica, ovvero dotandolo di un bilancio maggiormente consistente per conferirgli tutti gli strumenti (logistici ed economici) necessari per operare con efficienza nelle aree più a rischio.
Infine la volontà di ripercorrere i passi dell’antica agorà, dove il ragionamento ed il confronto erano punti cardine di una società culturalmente avanzatissima, grazie allo sforzo della fondazione “Istituto di democrazia K. Karamanlis” che, nell’undicesimo anniversario della sua nascita (era il gennaio 1998), intende dare un segnale preciso alla società internazionale, ritenendo che l’appartenenza alla comune famiglia europea non debba tradursi esclusivamente in un semplicistico rispetto di paradigmi e indici di comportamento, ma debba necessariamente connotarsi come una visione elastica e risolutiva verso le problematiche attuali, avendo come bussola il bipolarismo e la strutturazione di uno Stato liberale.
Ma al fine di comprendere analiticamente il quadro dello stato greco è utile fare un passo indietro e ripercorrere i fatti di quaranta giorni fa. Gli indicatori economici concordano nel sostenere che la Grecia oggi sia vicina al collasso, e gli episodi di terrore conseguenti alla morte del giovanissimo studente Alexis Grigoropoulos e al ferimento di un agente di polizia pochi giorni dopo (il 21enne Diamantis Mantzounis), sono solo la punta, sbagliata e cruenta, di un iceberg sul quale è urgente confrontarsi e capire. Senza contare lo stato di agitazione di questi giorni degli agricoltori, in modo particolare di quelli cretesi, i quali giudicano non adeguato il pacchetto di aiuti da 500 milioni di euro approntato dal ministero dell’Agricoltura, e che sono addirittura giunti ad uno scontro fisico con le forze dell’ordine nel porto di Pireo.
I sentori di crisi in Grecia non risalgono solo agli ultimi anni, perché sarebbe il caso, (e qui bisognerebbe chiamare in causa economisti e dirigenti) di fare un salto a ritroso di dieci anni, quando tutto ebbe inizio con un vero e proprio fulmine a ciel sereno: il crollo della Borsa. E’a quel meccanismo illusorio e non protetto adeguatamente che bisogna far risalire l’inizio della fine, è da quegli errori che bisogna ripartire.
Il popolo ha sì diritto a manifestare il proprio disappunto verso decisioni che investono la collettività, ma non ha diritto di generare tale vandalismo come è accaduto in occasione delle distruzioni perpetrate dai gruppi di anarchici, che sono ammontate a duecento milioni di dollari di danni. Si dice che nelle università ateniesi per la modica cifra di tre euro era in vendita una pietra appuntita, utile allo scontro con le forze dell’ordine. Semplicemente assurdo.
Le conseguenze sono ancor più gravi e i dati dell’Associazione degli albergatori dell’Attica parlano di un drastico calo di presenze turistiche nel periodo natalizio, meno 26%, con forti timori per le prenotazioni pasquali e primaverili.
Ma il Governo Karamanlis ha dimostrato di tenere, investendo ancor di più in alleanze internazionali (è di queste ore l’annuncio dell’apertura di un ufficio per gli affari economico/commerciali in Iraq), impegnandosi a far fronte alla crisi con politiche mirate nei confronti delle fasce sociali maggiormente deboli e con riforme strutturali, risultando più forte di pretestuose strumentalizzazioni e prese di posizione indifendibili.
mercoledì 4 febbraio 2009
CIPRO UNA FERITA ANCORA APERTA
Nella settimana che ci conduce alla commemorazione del dramma delle foibe, una rivelazione sconvolge l’Europa. L’attore turco Attila Olgac ha confessato di aver freddato dieci greco-ciprioti nel 1974, almeno uno dei quali era prigioniero di guerra. L’ammissione, poi smentita con la giustificazione di voler solo sondare le reazioni, si inserisce in un momento molto delicato per le sorti dell’isola all’estremo lembo orientale del Mediterraneo.
Da trentacinque anni è occupata militarmente dalla Turchia, che nel 1974 ne invase il 2% all’indomani di un tentativo di annessione da parte dei Colonnelli greci, salvo poi “ampliarsi” con la presenza in loco di 50mila militari su ben il 38% della superficie dell’isola. Mentre la parte greca di Cipro è a tutti gli effetti uno Stato membro dell’Unione europea, la zona turca si è autoproclamata Repubblica turco-cipriota del nord ma non è riconosciuta né dall’Onu né dall’Ue, solo da Ankara.
La scia di sangue iniziata con l’occupazione militare turca è stata lunga e dolorosa. Ben 200 mila greco-ciprioti di fede cristiana sono stati costretti ad emigrare verso sud, mentre la zona settentrionale dell'isola è stata sottoposta ad un vero e proprio trattamento di islamizzazione forzata. Il riferimento non è solo ad uno sconvolgimento culturale e religioso ma anche morale e materiale: tutto ciò che non era musulmano è stato degradato o raso al suolo (come il cimitero di Termìa); al contrario, è stato dato ampio risalto all’anima nazionalista dei discendenti dell'Impero ottomano, che hanno provveduto anche a scolpire mezzelune sul paesaggio naturale, precisamente sul fianco dei monti Pentadattilos.
Il Parlamento europeo faceva il punto sui danni subiti dall’isola all’estremo est del Mediterraneo in questi termini: «Sconsacrate oltre 133 chiese, cappelle e monasteri situati nella parte settentrionale di Cipro, finita sotto il controllo dell'esercito turco dal 1974; convertite in moschee 78 chiese; 28 sono usate come depositi militari e ospedali e 13 sono usate come magazzini, mentre rimane sconosciuto il luogo in cui sono conservati oggi i rispettivi oggetti religiosi, incluse oltre 15.000 icone, che sono state trafugate». Tra i monumenti distrutti dai turchi figurano non solo chiese cristiane cattoliche ed ortodosse, ma anche protestanti, maronite, armene e un cimitero ebraico. La loro unica colpa era di essere di fede diversa da quella musulmana.
Tra razzìe e ogni sorta di dequalificazione civile e morale, vale la pena di citare qualche esempio concreto, che tra l’altro è stato al centro del libro del professor Charalampos G. Chotzakoglu, docente di storia bizantina all’Open Hellenic University di Atene, dal titolo “Religious monuments in Turkish- Occupied Cyprus”, con la prefazione di Nikephoros, Metropolita Arcivescovo di Kykkos e Tillyria. Il volume consiste in una sorta di viaggio itinerante attraverso luoghi che in passato erano destinati al culto e che oggi, tra macerie e animali al pascolo, sono stati degradati quasi fossero contaminati da chissà quale piaga. L’opera è legata a doppia mandata ad una mostra itinerante organizzata dal professor Charalambos Chotzazoglou con quaranta pannelli raffiguranti le chiese come erano in origine e come appaiono oggi e che ha fatto tappa in Italia nell’agosto del 2008 in occasione del meeting di Comunione e Liberazione a Rimini.
L’Onu aveva proposto come extrema ratio una soluzione al problema di Cipro con il cosiddetto “piano Annan”, bocciato in seguito con un referendum dai greco-ciprioti perché manifestamente a vantaggio dei turchi.
Come ho avuto modo riferire in qualità di modesto relatore alla platea di Nicosia in occasione del Quarto Congresso Internazionale di Studi Cipriologici nell’aprile 2008, il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti umani e risoluzioni Onu perchè esso fonda la sua base attuativa sull’articolo 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi, nella veste pratica, escluderne la concreta applicazione, dal momento che i greco-ciprioti non possono far ritorno nelle proprie abitazioni situate nella zona occupata, la Katekomena.
È utile rammentare che ad oggi la Turchia, che non riconosce nemmeno Cipro come Stato membro dell’Ue, mantiene anche l'embargo contro le imbarcazioni battenti bandiera cipriota e quelle provenienti da porti situati nella Repubblica di Cipro, negando loro l'accesso ai porti turchi, nonchè contro gli aerei ciprioti, negando loro la possibilità di sorvolare gli aeroporti turchi o di atterrarvi. Inoltre negli ultimi mesi, complice il rapporto di amicizia esistente tra il presidente della Repubblica di Cipro Christiofas e quello dello Stato turco-cipriota autoproclamato, Talat, si sono intensificati i negoziati e gli incontri bilaterali, visti con ottimismo e speranza dalla comunità internazionale.
La soluzione finale alla problematica cipriota, che in molti considerano lunga e difficile, ma che altri invece ritengono praticabile, potrebbe rappresentare il vessillo di una pace da estendere all’intero Medio Oriente: come sarebbe utile e saggia una vera e propria bandiera di pace e di convivenza civile e fraterna, sventolata proprio in direzione di quei territori distanti poche centinaia di chilometri che purtroppo in questi anni hanno visto solo sangue e morte.
Nessuno dice che sia facile dare seguito a queste speranzose righe, ma il dovere di tutti è di provarci.
giovedì 8 gennaio 2009
CHI CI RISARCISCE DALLA MIOPIA POLITICA?
L`affare Punta Perotti e`stato liquidato dalla stampa e dalla classe dirigente in modo forse troppo avventato. L`abusivimo edilizio e`un fatto grave, da condannare e da combattere cosi`come la legge impone. La miopia politica altrettanto, se non fosse che la legge non prevede purtroppo pene alcune. Chiudiamo gli occhi e pensiamo a cosa sarebbe stato del lungomare a sud di Bari se al posto di misere case per prostitute e di rifugi per clandestini (che ad oggi continuano a persistere senza che alcun assessore intervenga) fossero sorti complessi residenziali, porticcioli turistici e impianti sportivi, cosi`come altre citta` hanno fatto (Valencia su tutte) senza per questo essere tacciate di abusivismo.
Domanda ai nostri amministratori locali : preferite vedere scempio e degrado o pulizia e verde magari sullo sfondo di un`edilizia ecocompatibile e che finalmente sfrutti la vicinanza dal mare ?
Secondo esempio : la vicenda dell`ansa di Marisabella, con la realizzazione di un`area per containers sarebbe potuta essere risolta da anni se non fossero stati persi i finanziamenti nel 2004. Oggi disporremmo gia`di un polo avanzato per la gestione dei milioni di containers che dal continente asiatico giungono in Europa, ma ahime` siamo stati battuti sul tempo da altri porti piu` lungimiranti.
Al netto di valutazioni ed analisi le considerazioni da fare sono le seguenti : alcune scelte strategiche per il destino di una citta` metropoliana devono essere compiute serenamente e con ampie vedute e soprattutto devono essere orchesrate da menti aperte, che hanno appreso tecniche e modalita` di attuazione da esempi migliori, di modo da creare sistema e progresso futuro. Non da chi ci vede solo finalita` elettorali, a discapito della funzionalita` della citta`.
A cosa serve il Parco Perotti li`, mi chiedo ? Ma il prato inglese,cari amministratori, sapete che non gradisce la vicinanza al mare ?
Una citta` alta snella, predicava l`ex Presidente della Provincia Franco Sorrentino che, dalla sua, aveva quattri peripli del mondo.
sabato 13 dicembre 2008
LUNGOMARE, CAMBIARE SI DEVE

Dal “Corriere del Mezzogiorno” del 13/12/2008
BARI- Leggo con stupore e, perché no, anche con fondata preoccupazione, gli incitamenti e i consigli rivolti all’amministrazione comunale di non modificare l’attuale lungomare di Bari, in nome di una non meglio precisata logica ambientalista e conservatrice. Mi chiedo: ho letto bene? Rileggo quel pezzo, firmato da un dirigente politico cittadino. Non mi ero sbagliato. Si chiede al Comune di non modificare alcunché sul lungomare barese, accantonando progetti di ristrutturazione e parcheggi sotterranei. Ovviamente non posso concordare con la proposta, per due ragioni: una di opportunità ed una logica.
Qualora amministratori, politici, dirigenti e giornalisti vari provassero a mettere la testa fuori dai confini cittadini e nazionali e dessero un’occhiata a come altre città del mondo ben più progredite della nostra si stanno riorganizzando, beh, francamente non so quanto sarebbero dell’idea di preservare (ma poi preservare cosa?) senza aver voglia di migliorare servizi e territorio.
Lisbona in pochi anni è diventata un punto di riferimento non soltanto dell’arte moderna ma anche della più elementare voglia di un turista di trascorrervi piacevolmente un fine settimana, con ben tre linee di metropolitana dove prende finanche il telefono cellulare, un aeroporto all’altezza, un centro cittadino fruibile e dotato di tutti i servizi (funzionanti).
Atene, l’ex caotica capitale della filosofia, (martoriata purtroppo in questi giorni da sangue e violenza) nel centro cittadino di fronte al Parlamento, complice il meraviglioso restyling fatto in occasione delle Olimpiadi, ha chiuso una via centrale lunga qualche chilometro, odòs Ermou, che dalla Camera dei Deputati porta il turista fin sotto l’Acropoli, tra artisti di strada che conducono alle porte del nuovo avveniristico Museo dell’Acropoli. Addio traffico impazzito anche grazie alla metropolitana supermoderna e precisa come un orologio svizzero e in virtù del nuovo servizio tram. Una delizia.
Nicosia, nella afosa Cipro, grazie ad un sindaco che ha scavalcato steccati ideologici e cogitato esclusivamente sulle esigenze reali della cittadinanza, ha pensato bene di potenziare oltremodo i taxi, organizzando meeting internazionali di cultura e letteratura, con uffici pubblici aperti dalle 7,30 del mattino, con strutture ricettive che attirano clienti da tutto il mondo grazie al clima mediterraneo (ce lo abbiamo anche noi), a immensi campi da golf, e grazie ad una civiltà che dalle nostre parti sovente latita, (esempio, i distributori automatici e gratuiti di sacchetti per gli escrementi dei cani in tutte le piazze cittadine- vedi foto).
Basta poco per fare di un agglomerato di case e negozi un luogo vivibile, non solo per chi ci abita, ma anche per chi ci viene volentieri a trascorrere qualche giorno, ma per favore, smettiamola con ragionamenti e dissertazioni figlie di campanilismi e posizioni preassunte e, vivaddio, ragioniamo da europei. Se ne siamo capaci.
giovedì 11 dicembre 2008
ECCO PERCHE’ LA TURCHIA NON E’ANCORA PRONTA PER L’UE
Mi permetto qualche riflessione a margine dell’articolo pubblicato sull’Avanti lo scorso 10 dicembre a firma di M. Repetti sull’ingresso turco nell’Ue. Non è sufficiente che
A Cipro ancora oggi, nella zona occupata da trent’anni dai turchi, vi sono 50mila militari che non consentono ai greco-ciprioti, cittadini dell’Ue a tutti gli effetti, di far ritorno nelle proprie abitazioni. Inoltre hanno provveduto a far sì che le 500 chiese di rito diverso dal musulmano, venissero rase al suolo o trasformate in bordelli, resort a 5 stelle, garage, caserme militari, così come ho avuto modo di verificare di persona lo scorso maggio a Nicosia, intervenendo come relatore al IV sinedrio di studi cipriologici.
Capitolo armeni. L’auspicio è che
La questione è chiara e limpida: se
Cancellare la storia serve solo a chi quella storia vorrebbe riscriverla, magari per uscirne vincitore, anziché sconfitto. Peccato (per loro) che non viviamo più nei tempi in cui era sufficiente mistificare o ingannare le genti per ottenere consensi ed applausi.
martedì 9 dicembre 2008
PERCHE’BRUCIA ATENE?
Da "Mondo Greco" del 09/12/2008
Brucia il centro di Atene, le vetrine sono infrante, la violenza inaudita ha fatto irruzione nella splendida odòs Ermou, sfogandosi contro incolpevoli mura e viuzze. A ruota anche Salonicco, Patrasso, Ioannina, Corfù, Iraklio, Trikala, Komotini: quasi come fossimo in presenza di focolai fino ad oggi assopiti che come d’incanto si risvegliano e danno cenni di vita. Anzi, di morte. Un giovane ragazzo ha perso la vita e non sarebbe dovuto accadere. Di chi sono le responsabilità? Quale avventatezza ha generato tale putiferio?
Odio chiama odio, violenza genera violenza? Chiediamoci se era proprio il caso di arrivare a tanto. Le scelte del governo Karamanlis possono essere condivisibili o meno e qui sarebbe il caso di aprire un dibattito interno. Si parli, si discuta, ma non si combatta. L’agorà dell’antica Ellade era il luogo in cui ci si confrontava, si discuteva, si imparava, si smontavano le proprie ipotesi e poi le si rimontavano in un clima di dialogo. Vedere le immagini di piazza Syntagma martoriata da frames degni di una guerriglia urbana fa male ai cuori di greci e di filoellenici, ma fa ancor più male perché tali sciagurate azioni si verificano in “quella” terra, patria della filosofia e delle menti eccelse dalle quali proviene la nostra civiltà.
Scandali, fakellakia, decisioni sospette: le cronache greche degli ultimi anni ne sono piene, è il cancro della democrazia. C’è chi dice che i Greci non sono come gli Italiani, perché quando si arrabbiano lo fanno sentire, come quando scioperano e bloccano con i trattori tutta Atene o l’autostrada che arriva sino a Salonicco. Proprio come fanno i Francesi che quando sono in disaccordo con le decisioni dell’esecutivo disattivano la metropolitana anche per giorni interi. Bene, diciamo noi, il popolo ha diritto a manifestare il proprio disappunto verso decisioni che investono la collettività, ma non ha diritto a generare tale vandalismo, come chi governa non ha diritto a occuparsi solo del proprio tornaconto.
Si dice che i gruppi anarchici ellenici siano i più feroci d’Europa. Non sbaglia lo scrittore Vassilis Vassilikos, intervistato da Antonio Ferrari sul Corsera quando sostiene “nessun paragone con il passato. E’il presente che dobbiamo studiare e dal quale dobbiamo imparare a capire”. Proprio questo presente che, in Grecia come in molti altri Paesi del mondo, non offre immagini confortanti. La crisi c’è, diffusa, le famiglie non arrivano alla terza settimana del mese, la meritocrazia è ancora un’utopia, spesso i posti di comando sono occupati da chi non ne avrebbe diritto per tante ragioni che tutti ben conosciamo. Ma a cosa serve distruggere? Mi si potrebbe rispondere che in Grecia tali mali sono esasperati oltremodo.
Per certi versi è vero, come ho verificato di persona. Un povero disgraziato viene martoriato da costi e tasse, senza ricevere in cambio un adeguato welfare che lo protegga, così come ad esempio accade in Svezia. A fronte di pensioni anche da 300 euro un quotidiano non può arrivare a costare due euro. Su questo non devono esserci dubbi. Se per due cappuccini si spende quanto una pizza al tavolo, beh, c’è qualcosa che non va nella concertazione tra paniere di costi e reali possibilità.
Ma i sentori di crisi in Grecia non risalgono solo agli ultimi anni, perché sarebbe il caso, e qui chiamo in causa economisti, ministri, vescovi, dirigenti, di fare un salto a dieci anni fa, quando tutto ebbe inizio con un vero e proprio fulmine a ciel sereno: il crollo della Borsa. E’lì che bisogna far risalire l’inizio della fine, è da quegli errori che bisogna ripartire per impedire che questo lembo di sogno che si chiama Ellade non cada nella stessa trappola in cui è rimasta invischiata l’Argentina.
venerdì 5 dicembre 2008
CHIESA RUSSA, IL TRIBUTO A CHI L’HA CONSERVATA

Da "IL Legno storto" del 07/12/08
Il fatto che la città di Bari abbia in programma di consegnare la C
Alla caduta dell’impero zarista il mondo, come è noto, si era diviso in due fazioni ben distinte e contrapposte. Negli anni del dopoguerra, dal momento che tutti i Paesi oltre la cortina di ferro erano sotto il regime comunista, le funzioni religiose ortodosse nella Chiesa Russa di Bari venivano officiate esclusivamente per i cittadini greci, (gli unici a potersi spostare con maggior libertà), presenti in misura copiosa in città, che dal 1945 al 1982 hanno provveduto con offerte personali ad assicurarle una corretta manutenzione, come potrebbero testimoniare gli stessi cittadini greci di Villaggio Trieste.
Quindi gli unici che vi si riunivano per le meravigliose funzioni pasquali dell’Epitaffio e per quelle natalizie della natività erano i Greci, semplicemente perché gli altri non potevano venire qui. Dal 1982, poi, con l’avvento della comunità romena e grazie allo sforzo condiviso di tutti, è stata fruita anche da altri, per poi arrivare ai giorni nostri e all’evento epocale che ha fatto di Bari la città più russa d’Europa.
Ma perché questo evento si sia potuto verificare con successo e gradimento, un piccolo grazie va speso a favore di quelle persone che, in anni difficili caratterizzati da ristrettezze economiche non indifferenti, si autotassavano per non far mancare nulla alla Chiesa ortodossa, dai piccoli interveti strutturali alle riparazioni più onerose, proprio come una nutrice fa con il bambino che le è stato affidato.
mercoledì 3 dicembre 2008
AD ALDO LOIODICE IL PREMIO SARNELLI
Da "Nel Mese" 10/2008
“La nostra Costituzione è viva, soprattutto nella prima parte e lo dimostra il riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa, promotrice dei diritti umani che perseguono giustizia e pace. Ma attenzione, il diritto sia uno strumento di democrazia e non di prevaricazione egoistica”. Non ha dubbi il prof. Aldo Loiodice, ricevendo dalle mani del sindaco di Bisceglie Francesco Spina
Nominato Vescovo di Bisceglie da Papa Innocenzo XII verso la fine del 1691, si rivelò uno dei vescovi più operosi che la città abbia mai avuto e, nella sua attività di scrittore poligrafo, diede alle stampe, così come aveva fatto a Benevento e a Manfredonia, la prima storia locale della città; in seguito restaurò
Originale la formula della premiazione: dopo la consegna della statuetta e del riconoscimento ogni premiato ha subìto una sorta di intervista informale, quasi una chiacchierata per scambiare opinioni ed evocare ricordi. Interrogato sul valore e sul significato della Costituente il prof. Loiodice ha rammentato l’assoluto spessore morale di chi quella Carta l’ha concepita esattamente sessant’anni fa: “Uomini di altri tempi, dotati di spina dorsale e sulla cui integrità non vi erano dubbi alcuni”.
Spazio poi ad una delle esperienze più incisive dal punto di vista scientifico, come il volume di 1200 pagine intitolato “Giovanni Paolo II- le vie della giustizia” editato per festeggiare il XXV anniversario di Pontificato del Santo Padre, nel quale il costituzionalista nel
La serata, condotta dal presentatore Mauro Pulpito e intervallata dal Coro Polifonico “Diapason” diretto da prof.ssa Emanuela Minichello con la collaborazione del maestro Giovanni Cassanelli, ha visto alternarsi sul palco nomi rilevanti, come mons. Cosimo Damiano Fonseca, Accademico dei Lincei premiato nel campo della cultura e il Prefetto di Bari, Carlo Schilardi nel campo Politico-Istituzionale.
L’importanza del premio dedicato al Presule umanista è in crescita costante, è sufficiente dare uno sguardo ai premiati dello scorso anno, tra i quali spicca il Santo Padre Benedetto XVI ed il prof. Donato Marra Segretario Generale della Presidenza della Repubblica e Consigliere di Stato.
“Lo scopo- ha evidenziato l’attento sindaco di Bisceglie, l’avv. Francesco Spina- è quello di offrire ai giovani validi esempi con i quali confrontarsi e dai quali apprendere metodi e valori, al fine di costruirsi la propria strada nella consapevolezza che solo con impegno e dedizione si può aspirare a traguardi prestigiosi”.
Il prof. Fonseca, premiato per il suo amore verso la ricerca svolto non solo nel paese natìo, Massafra, ma in tutti i luoghi della sua formazione, da Napoli a Milano passando per Poitiers e Parigi, si è soffermato sull’apporto che mons. Sarnelli offrì a quell’epoca, dal momento che interpretò il passaggio dalla vecchia storiografia accademica al nuovo illuminismo. Fu accanto a Papa Benedetto XIII e punto di riferimento della cultura pugliese tra il XVII ed il XVIII secolo. Interpretò inoltre la peregrinazione accademica, ovvero “la sete di conoscenza con l’Abate Battista Pacichelli che, utilizzando una metodologia inquisitoria, attraversò il territorio del Regno di Napoli e fece riprodurre le nostre città”.
Per l’eccelsa opera in una terra bisognosa di attenzioni è stato premiato il Prefetto di Bari, Carlo Schilardi, leccese di origine, intento a tessere le lodi del capoluogo pugliese, “punto di riferimento dell’intero meridione e patria di un tessuto imprenditoriale di valore mondiale”.
Lo scorso anno i premiati furono: il Cardinal Salvatore De Giorgi (Arcivescovo Emerito di Palermo), Mons. Michele Seccia (Vescovo di Teramo-Atri), Ugo Bergamo (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura), Gen. Giovanni Nisti (Comandante del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale), Elisabetta Pugliese (P.M. della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari), Vincenzo Lorenzelli (Rettore dell’Università Campus Bio-Medico di Roma), Fernando Prete ( Docente di Patologia Chirurgica Università degli Studi di Bari), Angelo Bovino (Sindaco della Città di Polignano a Mare per aver dato i natali al Vescovo Sarnelli).
Altri premiati per l’edizione 2008 sono stati nel campo ecclesiastico, Mons. Giovanni Ricchiuti, Arcivescovo di Acerenza e Mons. Domenico Padovano Vescovo di Conversano-Monopoli; nel campo politico il Prefetto Antonio Manganelli Capo della Polizia di Stato, il Gen. Pasquale Preziosa, Capo del III Rep. dello Stato Maggiore della Difesa; nel campo della Giustizia Salvatore Paracampo, presidente della commissione Tributaria Regionale della Puglia; nel campo della comunicazione Lino Patruno, Direttore Editoriale della “Gazzetta del Mezzogiorno” e l’ing. Luca Montrone, Editore del Gruppo Telenorba.
“Siamo stati piacevolmente impressionati dal fatto che le eccellenze nazionali in molti campi parlano pugliese, segno di una particolare attitudine di questa terra a produrre cervelli ed eccellenze”, ha concluso il sindaco Spina, prima di lasciare il pubblico alle note del Nabucco di Verdi, che con “Va Pensiero” ha decretato la fine della serata.
QUALI AVVOCATI PER IL DIRITTO DI DOMANI?
Da "Nel Mese" 11/2008
“Il mito del giurista completo è ormai al tramonto, dal momento che occorrono nuove figure di specialisti capaci di incarnare le esigenze sempre più diversificate ed approfondite”: così il prof. Roberto Martino, Preside della Facoltà di Giurisprudenza all’Università Lum “Jean Monnet” di Casamassima nel dare avvio ai lavori del seminario “Formazione del giurista: modelli di avvocatura e deontologia professionale”, organizzato dalla stessa Lum assieme all’Ordine degli avvocati di Bari ed alla Camera Civile del Foro di Bari. Un focus puntato sulle prospettive professionali ed umane dei giuristi di domani, con un occhio rivolto alla legislatura corrente non esente da sovrapposizioni con i recenti decreti.
L’evento ha registrato la presenza di illustri relatori, tra cui Vincenzo Carbone primo Presidente della Corte di Cassazione, Franco Cipriani ordinario di diritto processuale all’Università degli Studi di Bari, Giovanni Schiavoni consigliere segretario dell’Ordine degli Avvocati di Bari, Gaetano Di Muro (direttivo della Camera civile di Bari), Nicola Picardi ordinario di diritto processuale civile all’Università
L’Italia è al centosettantesimo posto al mondo per efficienza della giustizia, inoltre il testo normativo della professione forense è fermo al 1933: due elementi che secondo il Presidente Carbone devono far correre ai ripari quanto prima. Si pensi che in Francia il numero degli avvocati cassazionisti è poco superiore al centinaio, mentre nel nostro Paese sono ben 60mila. “Chiediamoci il senso e l’utilità di questa disparità- ha riflettuto Carbone- senza dimenticare che già nel 1923 il Calamandrei riteneva elevatissimo il numero degli avvocati”.
Il ragionamento, ha ammonito l’avv. Di Muro, va portato avanti tenendo ben presente anche il numero degli avvocati che a seguito della pratica, vengono inseriti in un mercato già saturo. Dati che secondo il presidente dell’Ordine, Virgintino, debbono far riflettere, per giungere ad una rivisitazione di procedure e modus operandi.
Secondo il prof. Scarselli sono due i modelli sociali all’interno dei quali l’avvocato svolge la propria opera: nel primo l’avvocato risulta molto libero nello svolgimento della propria prestazione e tende addirittura a diventare imprenditore, di conseguenza dovrebbe operare sul mercato secondo le leggi imprenditoriali; nel secondo il giurista è sì libero ma si discosta sensibilmente dalla pratica imprenditoriale, rimanendo ancorato alla visione tradizionale. La differenziazione è utile per introdurre una delle riflessioni più sentite dall’intera categoria, ovvero quella relativa al decreto Bersani sulle liberalizzazioni delle professioni, che aveva tra le sue proposte l’eliminazione dei minimi tariffari e la possibilità per il singolo professionista di pubblicizzare i propri servizi. Infatti l’Antitrust aveva manifestato l’esigenza che il codice deontologico forense eliminasse alcuni limiti, come quello di riconoscere una percentuale a chi portava “in dote” un cliente, o a chi effettuava pubblicità comparativa nell’ambito di quella che è stata definita “pratica per l’accaparramento della clientela”.
Ma il Consiglio Nazionale Forense, con delibera del 12/07/2008, ha detto ‘no’ all’Antitrust, aprendo formalmente il dibattito intorno alla questione.
Il perno centrale su cui confrontarsi, ha poi precisato il Presidente Carbone, è proprio il limite tra professionista ed imprenditore, all’interno del quale sarebbero necessarie regole chiare, etica ed interpretazioni comuni. Da qui il punto di domanda del prof. Scarselli, “ma vi è un interesse dell’intera cittadinanza o solo quello del singolo professionista da considerare e caldeggiare?”.
Innanzitutto è utile partire da quelli che sono considerati i punti fissi normativi. Dopo l’introduzione del decreto Bersani, le condotte che prima erano perseguibili dal codice deontologico forense sono di fatto e, in parte, ammesse. “Ben vengano norme innovative- ha sentenziato l’avv. Schiavone- ma non appare condivisibile il fatto che esse in seguito non vengano applicate, dal momento che proprio il decreto Bersani contrasta con l’ordine professionale”.
Un richiamo ad una maggiore praticità di regole e competenze è venuto dal prof. Picardi, secondo il quale le conoscenze hanno senso se sono indirizzate verso una finalità tangibile. “Siamo in presenza di molti elementi spesso in conflitto tra loro. Il nuovo ordinamento è ancora da pianificare e la colpa credo sia di noi tecnici che forse non abbiamo utilizzato gli strumenti più adatti per questa modifica”. Come uscire dunque da questa empasse, anche al fine di consegnare alle future generazioni una professione snella e moderna? Il prof. Cipriani non ha dubbi, quando sostiene che “a nulla servirebbero ulteriori modifiche, come ad esempio al codice di procedura civile, credo invece che un notevole passo in avanti potrebbe essere fatto aumentando il numero dei giudici di pace e dei magistrati”.
Nell’occasione sono anche stati presentati i volumi “Codice di procedura civile della Federazione Russa
martedì 2 dicembre 2008
UN SABATO (BARESE) DESERTO
Da "Il Quotidiano di Bari" del 06/12/08
La crisi economica, lo sanno pure le mura abbattute di Punta Perotti, ha sparigliato le carte. Le famiglie non arrivano nemmeno alla seconda settimana del mese e le grandi aziende licenziano. Non parliamo poi dei consumi ridotti ai minimi storici. In questo quadro non proprio confortante apriamo la porta di casa e facciamo capolino nel centro di Bari in un sabato pomeriggio che ci avvicina al Natale. Sono le ore 17.30, le strade sono deserte, come i parcheggi, purtroppo anche i negozi. In una tabaccheria di via Roberto da Bari, è stato affisso un cartello che recita: “Grattini a 2 euro, grazie sindaco ce ne ricorderemo”.
Ora, potremmo discutere giorni interi sull’utilità di una regolamentazione della sosta nel centro cittadino, così come avviene in tutte le città del mondo che si dicano civili, e nessuno obietterebbe nulla, ma arrivare al paradosso di far pagare un’ora di parcheggio nel centro di Bari quanto costano due ore sul lungotevere di Roma mi sembra quantomeno esagerato per due ragioni. Una di opportunità: la gran parte dei cittadini, così come è tendenza mondiale, ha tagliato i consumi. E non solo appartenenti al ceto medio o al ceto basso. Tutti cercano, e a ragione, di risparmiare ed è una pratica condivisibile visti i tempi difficili e la mancanza di certezza per il futuro. Quindi due euro sono troppi per sessanta minuti di sosta, da qualsiasi angolatura la si voglia vedere.
La seconda ragione appartiene alla sfera della ragionevolezza: ma Bari, con tutto il rispetto, cosa offre per vedersi riconoscere una tariffa così esosa? Siamo così in alto nelle classifiche di vivibilità per poterci permettere una mossa di questo genere? Disponiamo di un centro storico all’avanguardia così come ha mirabilmente fatto Liverpool con l’arte contemporanea o come ha sapientemente fatto Lisbona con una tripla linea di metropolitana dove prende anche il cellulare? Evidentemente no, perché nessuno si è mai sognato di impreziosire la città (rendendola in questo modo unica) puntando sulle qualità che essa ha nel suo Dna, come un lungomare pedonale, un porticciolo turistico all’avanguardia, una miscellanea di sapori e culture come potrebbe essere un festival enogastronomico, anziché assistere allo “struscio” dinanzi a centinaia di bancarelle che in fondo non molto hanno a che fare con la festa del nostro Patrono.
Certo, da barese, dico che abbiamo le nostre peculiarità e le innegabili bellezze che molti turisti, quando riescono a scendere da una nave crociera senza essere scippati prima, ci invidiano. E allora perché non concertare un piano tariffario assieme ai commercianti? Perché non intervenire a favore di negozianti e piccoli imprenditori, già strozzati dagli effetti devastanti della grande distribuzione?
Non è una battaglia ideologica, è solo la voglia di aggiungere un pizzico di buon senso alle ricette delle nostra quotidianità, senza perdersi dietro steccati di appartenenza ma facendo qualcosa di concreto per le reali emergenze cittadine.
Ma a patto di volerlo fare.
martedì 18 novembre 2008
TORNELLI? NO, GRAZIE CI PENSA L'ASSESSORE
Da "Il Legno Storto" del 18/11/08
Tornelli? No, grazie. Al Comune di Trani in Puglia c’è chi riesce a mettere in riga i fannulloni senza bisogno dei fantomatici strumenti elettronici. L’assessore all’innovazione tecnologica Roberto Visibelli è un mastino peggio di Gattuso, che ha deciso di dare seguito alle continue lamentele dei cittadini stanchi di vedere alcuni impiegati comunali intenti a giocare sul pc dell’ufficio. E allora l’assessore ha tagliato i giochini dai computer degli impiegati: ben 200 i dipendenti del Comune di Trani che non potranno più trastullarsi con i pc negli orari di lavoro, mentre altri 38 sono già finiti sotto inchiesta per aver fatto la spesa durante il proprio turno.
Un giro di vite, non solo utile ma decisivo per riprendere le fila di quel rapporto cittadini/istituzioni spesso dimenticato e logorato. Quante volte abbiamo scritto di ingiustizie a danno dei disabili, di file chilometriche per ottenere il rinnovo della carta di identità, senza che una virgola cambiasse?
L’iniziativa in questione, oltre al fatto di essere lodevole e lungimirante, pone però un altro notevole interrogativo. Se non ci fosse stato l’assessore pignolo la situazione sarebbe cambiata? Il nodo non è di semplice risoluzione, perché apre il dibattito sull’organo di controllo della pubblica amministrazione che deve fare meglio la sua parte. Non tutti sono fannulloni, anzi.
I furbetti si annidano in tutti i settori, ma devono essere stanati con precisione chirurgica senza fare di tutta l’erba un fascio, per non mortificare le categorie che lavorano veramente. Penso agli agenti di Polizia con le volanti rimaste a secco, penso ai magistrati antimafia impegnati in città calde come quelle del Sud spesso a corto anche della semplice carta per le fotocopie, penso ai giornalisti senza rimborsi spese che indagano sui traffici illeciti nei porti campani.
Per questo Visibelli ha mirato a “quei” pc, incaricando il centro elaborazioni dati perché i giochi venissero eliminati e gli accessi ai siti non concernenti l’attività lavorativa bloccati. Ottimo spunto, ottimo (si spera) risultato. Ma giriamo una pagina ed apriamone un’altra. Cosa fare per far rinascere nelle coscienze dei singoli quell’etica e quella dedizione che i nostri nonni ci riportavano una volta in occasione dei loro racconti? Come far germogliare l’appartenenza allo Stato, la consapevolezza che il bene pubblico in quanto tale è di tutti, quindi valorizzarlo acquista un senso per la collettività?
Il tanto criticato ministro Brunetta ha in questo squarciato più di un velo e le sue iniziative credo vadano incentivate intelligentemente, senza contaminazione partitica, ma partendo da un assioma oggettivo, ovvero che più funzionano le cose più i cittadini vivono meglio. Un esempio, al contrario, è dato dalle nuove disposizioni sui parcheggi nel centro di Bari, dove un’ora di sosta costa due euro, ovvero il doppio di quanto costa la medesima ora sul lungo Tevere romano.
Se la matematica non è un’opinione, e non lo è, in questo caso più di qualcuno ha sbagliato i conti. E, di questi tempi, non è poco.
domenica 16 novembre 2008
Sanzionare sfruttatori e clienti: così si batte la prostituzione
Da Il legno Storto del 15/11/08
Bari si risveglia incredula dopo un caldo weekend, (si spera l’ultimo) conscia che ormai è diventata un territorio dove si muore molto più facilmente di quanto si creda. La vicenda della prostituta che ha perso la vita poche sere fa sulla tangenziale sud va al di là di semplici gesti di solidarietà e di mazzi di fiori. Non è sufficiente provvedere ai funerali (così come la giunta comunale di centrosinistra intende fare) quando esiste un disagio grave e pesante che le istituzioni hanno il dovere di analizzare e di alleviare. Il problema non è soltanto stazionario, ovvero relativo ai gruppetti di prostitute che da anni fanno tappa fissa sulla statale 16 o sulla statale 100 o sulla 98, esso è solo la punta di un iceberg che si chiama sfruttamento ed emarginazione. Si dovrebbe iniziare a ragionare non sul fenomeno “sesso per strada” in sé, ma soprattutto sul complesso sistema di potere e malavita che c’è dietro e combatterlo intensamente.
Il riferimento è ad azioni mirate che affianchino le classiche retate notturne contro queste indifese (perché tali sono in quanto costrette con la forza a prostituirsi). Il recente disegno di legge messo a punto dal Governo vuole colpire il fenomeno, con pene che vanno dall’arresto (da
La misura opportunamente adottata dall’esecutivo, al fine di risultare efficace e risolutiva, dovrebbe essere altresì integrata con veri e propri interventi nei confronti di chi gestisce il sesso a pagamento, con formule di prevenzione e, perché no, con veri e propri programmi di protezione ad appannaggio di chi intende collaborare e cambiare vita così come insegnava don Oreste Benzi.
Non è sufficiente multare la disgraziata di turno se poi sulle coste italiane ne sbarcano altre cento costrette a diventare “parte” del sistema.
Certo, un primo passo incoraggiante è stato fatto, ovvero quello di far sentire la presenza dello Stato per le strade, ma è imprescindibile colpire chi le sfrutta, e soprattutto evitare che esse vengano reintrodotte nel circuito dello sfruttamento. Si tratta di un’azione che per risultare concreta ed utile dovrebbe essere concertata a più livelli e ragionata a più cervelli, coinvolgendo il mondo dell’associazionismo e del volontariato, che molto ha offerto e offre alla causa in termini di impegno e dedizione. E ciò risulterebbe ancora più efficace se fatto su tavoli locali, ovvero raccordando i singoli attori su base regionale, così da ottenere una mappa aggiornata.
Coniugare forza (retate) e ragione (prevenzione) rappresenta la chiave di volta per venire a capo di una problematica che, non solo a Bari, ma qui in maniera più pressante, è sentita e vissuta. E’ sufficiente farsi una passeggiata, anche diurna, sul lungomare che da Punta Perotti va verso S. Giorgio, o sulla statale verso Capurso e Triggiano, o ancora all’altezza di Bitonto e Ruvo, non solo per assistere al suddetto fenomeno, ma anche per scorgere le ombre di chi “organizza” turni di guardia e protegge questo triste commercio.
domenica 2 novembre 2008
TURISMO CONGRESSUALE, ASSE PUGLIA BALCANI
Dal “Corriere del Mezzogiorno” dell’1/11/08
Se è vero come è vero che
La nostra regione è stata collocata come un molo naturale nel mare nostrum, sede designata per un vero e proprio faro sull’area balcanica e su quella dei Paesi che, oltre ad affacciarsi sul Mediterraneo, hanno dimostrato nell’ultimo decennio di aspirare a recitare un ruolo non secondario nei rapporti con l’Unione Europea, come Libia, Tunisia, Marocco, Egitto, Cipro, Israele, Turchia.
All’interno di questo quadro d’insieme non va sottovalutato l’elemento di apertura ad est, ovvero il dato che
Nelle aree interessate è prevista anche la costruzione, l'ampliamento o il miglioramento di autostrade, di ferrovie ad alta velocità, di terminal per containers, di cavi ottici per le telecomunicazioni. Insomma, creare e ridare linfa al progetto arioso di Bari centro del Mediterraneo.
Alla luce di tali premesse è ipotizzabile una concezione del tutto nuova della Puglia, non più solo meta gettonatissima del turismo estivo, non più solo scelta sempre più frequente per fine settimana e manifestazioni specifiche nell’ambito di una destagionalizzazione ormai acclarata; si prospetta invece anche una Puglia che aspira a rappresentare un ruolo di attrice protagonista per eventi congressuali di ampia rilevanza, che vertano sulle tematiche inerenti ai Balcani ed all’area mediterranea, per due ragioni.
La prima di carattere logistico: il porto di Bari rappresenta ormai un’entità viva ed evoluta dell’intero panorama adriatico, il che consente il quotidiano arrivo di navi dal Montenegro e dall’Albania, oltre che di tre traghetti moderni dalla Grecia. A ciò si aggiunga il doppio collegamento aereo settimanale con Atene, il che garantisce il raggiungimento della nostra regione in maniera diversificata a seconda delle singole esigenze.
La seconda di carattere geopolitico: all’interno della Fiera del Levante è operativo il Segretariato del Corridoio 8, l’organismo di raccordo con i porti italiani ed europei, senza dimenticare che da sempre la terra di Puglia è stata crocevia di tradizioni e culture, vessillo delle quali è proprio il santo protettore di Bari, quel San Nicola venerato non solo dalla religione cattolica, ma anche da quella ortodossa.
Ed è in virtù di tali ragionamenti che si potrebbe ipotizzare uno scenario del tutto nuovo, moderno e innovativo per il tessuto regionale, ovvero una sorta di Svizzera del Mediterraneo, uno scenario dove dibattere di nuove frontiere commerciali e sociali, un punto di riferimento per le istanze dell’est (penso ad un tavolo di pace per la risoluzione del problema di Cipro) e di quel laboratorio di culture ed aspirazioni che è il Medio Oriente: insomma, una scena vera per una terra ansiosa di ritagliarsi un proprio spazio internazionale.