venerdì 25 maggio 2012

“Merkozy”? No, “MontHollande” Dalla crisi si esce con gli eurobond

 Ogni stato strutturi un piano in caso di uscita dall’eurozona di Atene. Ma cosa significa? Il richiamo (o il consiglio) di Bruxelles agli stati membri è già una contraddizione nei fatti e nella sostanza. Perché se di piano di emergenza bisogna parlare, allora esso dovrebbe essere di matrice europea, comunitaria, non ad appannaggio dei singoli stati: altrimenti che unione è? Difronte alle eventualità di un’eurozona senza Grecia, che hanno prodotto una miriade di indiscrezioni sul “Piano B” per salvare gli altri stati Pigs, l’unica certezza al momento sembra essere il nuovo asse Roma-Parigi che sembra cementificarsi, con l’obiettivo (questo sì comune) di una politica che coniughi un rigore non dogmatico ma di buon senso a politiche di crescita mirate. Anche con il sostegno di quegli strumenti fino ad oggi sottovalutati o copiosamente messi da parte. Il riferimento, e non potrebbe essere diversamente, è agli eurobond. Che registrano l’apertura della nuova coppia europea “MontHollande”, di contro all’ostracismo testardo della cancelliera Merkel che, rimasta “orfana” del compagno Sarkozy, deve fare i noti anche con l’opposizione interna al suo partito, che la invita a fare un passo indietro. Non potrebbe che leggersi in questa direzione anche il nervosismo a palazzo del Reichstag. Il viceministro delle finanze Steffen Kampeter ha infatti rilevato che gli eurobond sono la ricetta sbagliata, riducendo una questione delicatissima ad una battuta “pro frau Ange¬la” e senza entrare nel merito. 

Quando invece l’emissione co¬mune di titoli europei potrebbe avere l’effetto di impedire la cosiddetta desertificazione economica, un primo rilevante risultato in un momento in cui non si può andare molto per il sottile, con bizantinismi e proiezione dei solini dell’eco¬nomia che non hanno previsto il disastro attuale. L’Unione si trova a dover affrontare un panorama diversificato, con valute nei fatti differenziate ma accomunate dal conio dell’euro. Una contingenza disomogenea come dimostra l’esempio semplificativo dell’acquisto di un litro di latte: diverso a Monaco, a Napoli e ad Atene per quantità acquistata e per singolo potere di acquisto.
Quando il risultato del vertice dei 27 è lo slogan “la Grecia resti nell’euro”, ma nei fatti si ostacola un accordo sugli eurobond, si commette un doppio errore: si tenta da un lato di tranquillizzare i mercati sempre più nervosi per scenari inimmaginabili sino a qualche anno fa (solo l’ex ministro Padoa Schioppa l’aveva preventivato nel pamphlet La veduta corta) ma dall’altro si sceglie di non fare squadra per affrontare un’emergenza di tutti e non solo di un singolo paese, seppure con deficienze strutturali interne macroscopiche. Lo rileva Oscar Giannino su Panorama che se l’Ellade deciderà di uscite dall’eurozona, Francia e Italia dovranno essere pronte a tutto. Anche a lasciare la Germania sola nella sua testardaggine.
Intanto il Financial Times pubblica un’indiscrezione secondo cui la Bce aiuterebbe segretamente le banche greche. Non c’è stato alcun annuncio ufficiale, si legge sulla versione online dell’organo di informazione economica, «nessun termine o condizione sono stati divulgati, ma il sistema bancario della Grecia è stato sostenuto da circa 100 miliardi di euro con liquidità di emergenza fornito alla banca centrale del paese, segretamente approvato dalla Bce a Francoforte. Se la Grecia dovesse lasciare la zona euro, la causa immediata potrebbe essere una decisione della Bce di staccare la spina». Rivelazioni scioccanti, che terrorizzano i cittadini: un dato che, se corrispondesse al vero, dimostrerebbe che non vi è nessun rischio di espulsione della Grecia dall’eurozona. Il Financial Times sostiene che il sistema bancario sta esponendo cittadini greci ed europei a uno gioco sporco con una volgare disinformazione e intimidazione.

Fonte: il futurista quotidiano del 25/5/2012
Twitter@FDepalo

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