mercoledì 9 maggio 2012

Quelli che predicano “il non dimenticare” E poi non onorano fino in fondo gli eroi


Emergenza. Pura, cruenta e ansiogena. Quella che prende lo stomaco e aggroviglia le budella, le strizza in un tifone di ansie e paure. Il 9 maggio è un giorno in cui non si compie solo lo sforzo, sanguinante, nel ricordare due morti che il paese piange ancora, Aldo Moro e Peppino Impastato, il primo ucciso dalle Brigate Rosse e il secondo dalla mafia. Ma si può e si deve tentare di toccare con mano quelle sofferenze e quelle lacrime. Ancora e poi ancora. Per avere bene in mente dove non si deve più tornare, per non smarrire l’idea di come un’emergenza, ieri democratica, (oggi chissà politica), possa tormentare un paese e i suoi cittadini. Desiderosi soltanto di modernizzarsi e di guardare avanti.
Ma il 9 maggio è anche anche la Giornata in memoria delle vittime del terrorismo, politico e mafioso, e si ricordano due grandi italiani: il leader democristiano Aldo Moro e il giovane militante della Nuova Sinistra e voce di Radio Aut Peppino Impastato. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 Peppino Impastato venne assassinato a Cinisi; mentre a Roma, in via Caetani, il 9 maggio, venne ritrovato il corpo di Aldo Moro.

Peppino Impastato attraverso Radio Aut, l’emittente da lui fondata, denunciava il potere politico mafioso e in particolare gli affari mafiosi del boss Gaetano Badalamenti. Come riportato dal presidente del Centro siciliano documentazione Giuseppe Impastato, Umberto Santino, subito venne indicato come mandante Badalamenti, ma si preferì “virare” all’italiana su altre ipotesi, come l’attentato terroristico o il suicidio. Solo dieci anni fa, nel 2002, Badalamenti ha subito una condanna all’ergastolo, come mandante dell’omicidio di Impastato. Via Caetani invece non è un luogo scelto a caso. Vicina sia a Piazza del Gesù, dove si trovava la sede nazionale della Democrazia Cristiana, sia a via delle Botteghe Oscure, dove c’era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano. A trentaquattro anni da quel ritrovamento si continua a discutere delle conseguenze che quel tragico evento ha avuto e continua ad avere sulla vita democratica del nostro paese. Come fatto da Francesco Biscione nel libro Il delitto Moro e la deriva della  democrazia. Dove l’autore sostiene che l’attuale crisi politica affonda le radici nella sconfitta della politica di solidarietà democratica che si realizzò con l’omicidio di Aldo Moro. In quanto la scomparsa dello statista pugliese produsse quel crack dell’interruzione del percorso repubblicano-costituzionale all’origine della rinascita del paese. 

Ma un altro elemento su cui imbastire una riflessione è quello della predica fariseica, che nel nostro paese attecchisce facilmente. Ovvero quelli che urlano “il non dimenticare”. E un minuto dopo offendono quella memoria storica con atteggiamenti antieroici, con condotte sbagliate. Anche solo non facendo bene il proprio mestiere: chiudendo un occhio di fronte alla politica che a volte fa lo struzzo, o non facendo domande sui troppi soldi che girano e che in molte circostanze “puzzano” di mafia, non chiedendo conto a quegli amministratori che fanno esattamente il contrario di ciò che predicava Moro nelle sue lezioni universitarie o nei suoi discorsi, “alti”, in occasione di uscite ufficiali o nelle direzioni nazionali di una Dc che semplicemente non lo ascoltava. Perché, forse, portatore di parole scomode, di domande inquietanti. A cui nessuno ha risposto.

Fonte: il futurista quotidiano del 9/5/2012
Twitter@FDepalo

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