martedì 15 maggio 2012

Populisti al bivio: maggioranza o insignificanza?


M’ama o non m’ama? O meglio, maggioranza o insignificanza? Si gioca tutta lì, in quel sottile pertugio, la differenza abissale tra le due direttrici che la politica intende imboccare. E a nulla servono i bizantinismi che sanno di “vecchio Caf” o le arzigogolate architetture dei soloni de’noaltri. Le cose in verità appaiono (e sono) più semplici di quanto si immagina. Il paese che sbatte il muso su borse in picchiata e su mercati che borbottano per via di una cronica instabilità continentale, non può perdere tempo dietro ai “dilemmi da populisti” che non avranno mai una vocazione maggioritaria e costruttiva. 

Antonio Di Pietro dopo aver condannato Grillo, ora lo cerca per un’alleanza o per un cartello meramente elettorale. E il programma? E le strategie a lungo respiro? E il progetto unitario di un paese moderno, di cui andare fieri, diligente ed europeo sino in fondo? Ecco l’incongruenza in chiave minoritaria e distruttiva che fa male al sistema Italia e alle sue infrastrutture, sociali e politiche. Perché incapace di guardare al di là del proprio baricentro elettorale, preda dei propri calcoli (convulsivi) su quanto racimolato nel comune di Tizio o per la provincia di Caio (vizio, in verità, comune anche ad altri politici italiani). 

Serve capire attentamente in questo momento cosa sia più utile: se un caos ingeneroso da parte degli urlatori di professione destinati a non avere mai una vocazione avvolgente (perché preda di isterismi e istinti primordiali). O se concentrare risorse ed energie mentali (e fisiche) in una spinta maggioritaria realmente avvolgente, per attirare le forze nuove e fresche di un paese che fatica a scacciare vecchie facce o eroi di ieri, si vedano le lacrime di grandi campioni di Milan e Juve che, nei fatti, non accettano il passare del tempo. E ritardano l’uscita di scena.

Quando il capo dello stato a proposito dell’annus horribilis che stiamo vivendo replica con un «ne usciremo» non vuole essere solo di buon auspicio, come un padre di famiglia ha il dovere di fare, ma intende indicare proprio la soluzione. Che non risiede in un ottimismo sterile e puerile, che riporta alla mente le uscite strampalate del barzellettiere di Arcore. Ma nell’unità vera e forte, da immaginare e concretizzare in chiave propositiva. Perché a rompere non ci vuole proprio nulla. Il difficile semmai è costruire.

Fonte: il futurista quotidiano del 15/5/2012
Twitter@FDepalo

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