domenica 19 dicembre 2010

Elogio di un altro cinema: leggero ma non cretino


Da Ffwebmagazine del 18/12/10

Perché cambiare una formula per il gusto di inseguire il mercato dei sorrisi? Perché contaminarsi con scorciatoie illusorie, per strappare consensi e presenze ai botteghini? È il dilemma di sempre, che combatte alacremente tra genuflessione al mercatismo e inseguimento della qualità. Un compromesso efficiente però è possibile, e tra i tanti cinepanettoni o web pandori già scaduti, ecco il film di Natale di Aldo, Giovanni e Giacomo che riporta la comicità sulla terra, lontana da viaggi esotici, ma saldamente ancorata a una sana e pura ilarità.

Non c'è bisogno di vallette, di parolacce e di bungabunga. Per far ridere bastano anche un paio di battute normali e simpatiche. Lo ha sempre fatto il cinema italiano, leggero sì ma cretino no. E non si venga a dire che la narrazione sullo schermo si adegua al livello dei cittadini, perché invece servirebbe recuperare quel ruolo anche educativo o pedagogico di pellicole o fiction. E poi, chi l’ha detto che per ridere bisogna scadere? Nella maleducazione, nell’insulto, nella denigrazione, nel malcostume. Non è affatto vero, sempre che si voglia produrre un qualcosa di costruttivo. Dialoghi, sceneggiature, fotografie, location: se l’intenzione è suscitare un’emozione vera e pulsante, allora è necessario impegnarsi molto. E oltre la mera immagine della bella di turno, con décolleté compreso nel prezzo del biglietto. Senza per questo voler coattamente preferire caste mise, bacchettone o troppo prudenti, non è questo il punto. Se poi si vuol solo fare prodotti in serie, con scadenza natalizia o pasquale, beh, non è il caso de La banda dei babbi Natale, ultimo lavoro del trio siculombardo.

Un cinema normale, con risate normali, fa ridere non lo stesso, ma il doppio. Perché insegna che la normalità spesso è la marcia in più, quella cosa che collega idee e fatti, mondi ancestrali a vite di ogni giorno. Dove lo spettatore si ritrova, e ci ride su, riflette, si domanda perché. E poi, dopo un’altra risata, esce dal cinema alleggerito, ma non per questo carico di parolacce, insulti e cafonaggini assortite. È quell’assembramento di frame che coinvolgono un veterinario inaffidabile, un medico in perenne memoria della moglie scomparsa e un incallito scommettitore senza lavoro.

È un film, La banda dei Babbi natale dove, se si ride, lo si fa perché la comica immagine dei tre attori produce vivo divertimento, senza ricorrere al nudo perché, forse, non si ha poi molto da far dire. È la tragicomica avventura di tre amici, è il filone delle peripezie frutto di incomprensioni grottesche, di scambi di opinioni e valutazioni, di intenzioni fraintese. Con scelte di cast distanti anni luce dal nome del momento, buono per vendere una lavatrice, ma non per “fare” un certo tipo di film. Dettagli che, uniti come si faceva anni fa con quei puntini sui cruciverba, realizzano l’immagine finale. Dove non è necessario affannarsi tra manager e agenti, impegnati tra inaugurazioni e big event per individuare la protagonista.

Senza dubbio occorre lavorare di più e meglio, sforzarsi di produrre allegria vera e non di plastica o al silicone, costruire un filone di risate che per divertire non abbiano bisogno di scollature e allusioni. In quel caso di farina del proprio sacco non ne serve poi granché, perché c’è la maschera della quarta misura di seno, della miccia provocante, dell’occhiatina magnetica, della barzelletta da cafonacci. Da rispettare comunque, ognuno in fondo guarda al cinema ciò che gli pare. Ecco, però, lì le cose sono più semplici, perché si antepone a una storia, a una trama, a un’emozione o ricordo, un’intera sovrastruttura per così dire felicemente cafonal, tanto per usare un termine alla moda e mediaticamente presente. Quasi una maschera di carnevale indossata tutto l’anno. Che fa ridere, magari per un istante, ma che poi scompare con i titoli di coda.

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