Dal Secolo d'Italia del 03/12/10
«L’esercizio di una ledership significa indicazione di priorità e assunzione di responsabilità. Contrariamente non siamo in presenza di una leadership, ma di altro». Così il presidente della Camera Gianfranco Fini, ragionando di patriottismo e nazione con Pierferdinando Casini e Beppe Pisanu, riuniti attorno ad un tavolo per presentare l’ultimo libro di Aldo Cazzullo Viva l’Italia, e chissà anche per le prove generali del cosiddetto terzo polo.
«Non chiamatelo così», invita Casini ma, riprendendo un assunto del libro, dove si fa esplicito riferimento al Partito della Nazione, una «nuova proposta che deve nascere sulla base di quel viva l’Italia». E dove ci si stringa l’un l’altro a causa della gravità della congiuntura economica, delle sfide di politica internazionale che attendono il Paese, dell’emergenza contingente che esiste. Che per questo deve essere affrontata con maggiore spirito di responsabilità, con lungimiranza, con coesione e soprattutto con dignità.
Fini cita un passaggio del libro di Cazzullo, dove si riflette sul fatto che tutto sommato, buona parte degli italiani, «a questo Paese ci crede, ed è orgoglioso della propria storia e cultura». Certo, prosegue, non sempre vi è la percezione di questo attaccamento, perché vi è «una difficoltà nel percepire l’identità nazionale». E ciò a causa del fatto che una nazione, ricordando Renan, deve essere un plebiscito che si rinnova ogni giorno. Proprio per questo, secondo Fini, il libro di Cazzullo aiuta a non sprecare l’occasione di riflettere su cosa significhi essere italiani oggi, nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità, una circostanza che sia «meno densa di retorica e di pagine ingiallite e riempita, magari, da contenuti di condivisione», di obiettivi comuni e di senso di responsabilità.
Proprio la responsabilità è il termine maggiormente rievocato dai presenti, quasi a voler sottolineare la sottile linea comune che unisce nei frangenti critici, che annaffia quella preziosa libertà, «valore assoluto, e non un bene da mettere in cassaforte», rileva Fini. Che poi dedica un pensiero a Mario Monicelli, «uno degli artisti che hanno meglio raccontato l’Italia di ieri all’Italia di oggi».
Ma che Paese abbiamo oggi, anche in virtù di una politica che ha fatto del populismo e della contrapposizione due armi di lotta quotidiana? Se lo chiede ripetutamente il leader dell’Udc quando analizza i mali che attanagliano il quotidiano. «Una classe politica seria- ha detto- che nota certi reflussi xenofobi e sociali tenta di ammainarli. Il contrario di ciò che fa la politica con la p minuscola, che invece cavalca quei fenomeni per mero guadagno elettorale». E incentivando quei micromovimenti localistici pericolosi. «Sta tutta qui la differenza tra uno statista e un politico che pensa solo alle prossime elezioni», prosegue Casini. Con i primi che pur di apportare benefici al Paese, si rendono protagonisti di scelte decise e anche impopolari.
Dove puntare allora maggiori attenzioni per offrire al Paese risposte certe? Casini invita a riportare l’intero sistema della politica ad una comunità nazionale unitaria, lasciando alle spalle gli eccessi di propaganda che invece certa classe dirigente si è intestardita nel proporre come modello unilaterale. Dove l’avversario politico è visto sistematicamente come un nemico, ha proseguito il presidente della Camera, con un clima da quotidiana guerriglia che non porta a nulla, se non all’ulteriore frammentazione. In un Paese che deve affrontare sfide complesse, come ad esempio, quelle legate agli standard di competitività economici e dove sarebbe auspicabile un «confronto con l’opposizione per individuare proposte costruttive».
Ma non è tutto: il germe della divisione, dello spezzettamento coatto di un tessuto nazionale, secondo il senatore Pisanu deve essere controllato e debellato: «Al di là dello stato nazionale- ha detto- qui è l’unità stessa della nazione ad essere minacciata per la prima volta nella storia repubblicana». Pisanu parte dalle vicissitudini sarde del Risorgimento per arrivare ai giorni nostri, dove «non si può proporre il federalismo come dono politico al nord, e il piano per il mezzogiorno come dono politico al sud». Dal momento che così facendo ci si trova dinanzi ad un’incrinatura dell’unità nazionale, che rischia di aggravarsi senza contromisure.
È dispiaciuto l’ex ministro dell’Interno nel constatare che vi sono consistenti gruppi di italiani risentiti contro altri individui dello stesso Paese. Circostanza che una politica seria dovrebbe attenuare. E allora propone «interventi pubblici omogenei», perché «senza una politica unitaria, più alta e più rigorosa di quella a cui stiamo assistendo» non vi saranno gli effetti positivi necessari. Per una testimonianza di responsabilità e, perché no, anche per recuperare un pizzico di dignità nel centocinquantesimo dell’Unità nazionale: se non ora, quando?
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