Da Ffwebmagazine del 17/12/10
«L’insegnamento - diceva Pietro Scoppola - è ascolto del nuovo, il nuovo delle nuove generazioni». Ciò che spesso non si riesce a fare, non solo con i giovani, ma anche con quelli meno giovani, in una sorta di isolamento acustico che ovatta l’interlocutore, azzerandone idee, convinzioni, proposte. È la logica del non approfondimento, a causa della quale lo sbriciolamento socio-politico-culturale che è sotto gli occhi di tutti si insinua pericolosamente anche in quei pertugi del Paese che resistono coraggiosamente.
L’occasione per ricordare l’apporto di Pietro Scoppola è un delizioso volumetto, Lezione sul '900, curato da Umberto Gentiloni, di quelli che scaldano il cuore perché ritornano su pagine non poi così lontane, stimolano all’analisi e a una riflessione lontana anni luce dagli umori del momento. Ma frutto di intensi e analitici studi, senza i quali risulta complesso valutare la quotidiana evoluzione della cronaca. Pietro Scoppola proprio qualche giorno fa avrebbe compiuto 84 anni. Il libro è frutto dei suoi appunti per il corso monografico di storia, nelle sue lezioni tenute alla facoltà di Scienze politiche. Arriva quasi 40enne alla docenza universitaria e per generazione non era legato a una concezione ex cathedra, riflette Camillo Brezzi, ma all’esercizio del giudizio come un itinerario selezionato, con inquietudini contingenti da un lato, e riflessioni sul passato dall’altro.
Non troncava mai le sue lezioni al suono di una campanella o del gong di un orologio dopo il sessantesimo minuto, ma le proseguiva nei corridoi e soprattutto quelle analisi si depositavano nelle menti di chi lo ascoltava. Peculiare era l’eloquio pacato del suo costrutto, del suo ragionamento, senza supponenza o astio, ma con “altri” ferri del mestiere abbastanza rari in certe interlocuzioni di oggi: dati, analisi, teoremi, approfondimenti logico storici. Fu protagonista di approfonditi studi nei rapporti fra liberalismo e Chiesa, tra fascismo e Chiesa. La storia, dunque, come risposta alla domanda circa gli intrecci tra la Chiesa e la democrazia. Storia e revisioni le sue passioni, da cui spicca una forte intensità nel suo magistero universitario. Non una conoscenza fine a se stessa, ma una sorta di amichevole cenacolo, che affrontava anche i temi dell’attualità solo con il conforto delle nozioni storiche. Scoppola era uno storico a modo suo, parafrasandone una riflessione che egli scrisse nel volume Un cattolico a modo suo, uscito postumo. A modo suo perché non ebbe particolari maestri (o padroni, come si usa fare spesso oggi), ma solo i testi, gli amici e i familiari.
Divenne presto punto di riferimento di una generazione di nuovi ricercatori, ma non volle essere primus inter pares, bensì preferì un approccio collegiale, laico, libero, senza la rigidità di appartenenza a una scuola uguale per tutti. Scegliendo la libera libertà di insegnamento e di apprendimento. Né volle intitolarsi riviste o correnti di pensiero. Trent’anni fa i commissari universitari avevano i nomi di Pasquale Villani, Pietro Scoppola, Renzo De Felice, «forse sta tutta qui la differenza», riflette Brezzi. Nel 2002 scrisse: «In questo momento di crisi dell’università, la crisi sta tutta nel rapporto fra docenti e studenti.
Ecco il nodo dal quale dipende il futuro». Offrendo poi la chiave di lettura risolutiva, in quanto «l’insegnamento sia libero, lo prevede la Costituzione. Non servono leggi e circolari, per chiarire la validità costituzionale dell’insegnamento». È un testo di otto anni fa, ma sembra vergato solo ieri.
E allora, dove ritrovare la strategicità delle lezioni sul Novecento? Sono importanti perché frutto dello sforzo di uno studioso della crisi del modernismo, ricerche svolte in funzione dei suoi approcci universitari, come quel lavoro del 1971 intitolato Laicismo e anticlericalismo. O cinque anni dopo La proposta politica di De Gasperi, testo di un ricercatore incallito che voleva andare a fondo nelle analisi, scavando, rimettendo in discussione, provando a valutare cause ed effetti, in una modalità di cui oggi si sente una drammatica mancanza. Un consolidato atteggiamento storiografico che uno storico non può non adottare: tracciare nuove vie, sperimentarle, arricchire il percorso intellettuale con una maggiore comprensione di fatti e di opinioni, senza lasciarsi distrarre dalle sirene delle appartenenze.
Come quando analizzò quel referendum che per De Gasperi fu «vera occasione di pacificazione», il tramite per «collegare popolo e Stato». O quando all’indomani degli anni di Tangentopoli, studiò l’evoluzione e la crisi di un sistema politico, scrivendo che «il Paese è in bilico tra compimento della democrazia e nuovo punto di rottura», con una mentalità da «annozero della politica». Ma è in 25 aprile liberazione uscito nel 1995 che Scoppola, con il consueto rigore intellettuale, narra il rapporto della politica con i drammi umani all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ribadendo in una lezione quanto mai attuale, come il passato vissuto dagli italiani, serva per costruire un innovativo tessuto di solidarietà.
Una nuova ottica storiografica, non più legata a una singola elite ma aperta a tutti. Giungendo all’assunto che «la Resistenza fu movimento sociale che si sviluppò nelle parti più interne del Paese», in quanto non corrisponde al vero il fatto che l’Italia tra l’8 settembre e il 25 aprile - scrisse - si perse «in un grigiore». Ma fece «Resistenza armata e civile, costruendo un tessuto molecolare nazionale e di responsabilità».
E ancora, altro suo cruccio fu la difesa della democrazia e della Costituzione, che gli fece dire «la storia ci aiuta a capire cosa siamo e ad essere liberi». Diagnosticando la vera soluzione al carcinoma socio-culturale del fine secolo italiano, ovvero «recuperando una cittadinanza come quella che non si può non ritrovare nel patriottismo della Costituzione, che tutti dovrebbero condividere, anche provenendo da autonome singole declinazioni».
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