Da Ffwebmagazine del 10/12/10
Altro che bamboccioni trentenni. Qui pare che l’epiteto stoccato qualche tempo fa da Tommaso Padoa Schioppa sia oggi da riconvertire - e senza offesa - verso chi non si impegna a sufficienza per la cultura e l’istruzione del Paese. E se è vero come è vero che l’assioma “con la cultura non si mangia” è stato sbugiardato da più parti. Chi nutrisse ancora dei dubbi potrebbe dissiparli rapidamente osservando come altre realtà del pianeta, con certamente meno opere artistiche e storiche dell’Italia, gestiscono commercialmente la cultura con ricavi interessanti.
Scrive il professor Giovanni Sabbatucci sul Messaggero che «ci sono appelli inascoltati, responsabilità di cui l’Italia è investita perché il massimo contenitore mondiale di beni artistici e siti di rilevanza culturale», come Silvio Berlusconi ama ripetere (solo) in campagna elettorale. E ancora, «investire nella cultura e nella storia italiana non è solo un obbligo, ma rappresenta uno straordinario asset economico». Per intenderci, se Pompei, in qualità di sito unico nel suo genere al mondo, richiama da tutti i continenti milioni di visitatori, è uno scempio non provvedere ad una manutenzione dal doppio significato: conservazione di un patrimonio culturale che tutti ci invidiano e incremento degli utili che quelle visite e quei turisti consentono. Ecco ciò che una politica seria e lungimirante dovrebbe fare, anziché ignorare eventi e trascurare tesori nazionali, così come il Ministro della Cultura ha inteso fare, prima disertando la Mostra del Cinema di Venezia, e poi, solo due giorni fa, la prima Alla Scala di Milano.
Sabbatucci prosegue la sua analisi rilevando come, complice la scarsità di fondi e a questo punto si aggiunga anche di mentalità europea, non sarà più sufficiente trovare i pochi centesimi che ormai il governo ha deciso di assegnare a cultura e istruzione, ma l’impresa più difficile sarà evitare di spenderli «in pratiche politiche e clientelari. Di contro servirebbe una gestione fondata sul merito di spesa per siti e opere d'arte italiane, tralasciando l’assegnazione di micro-interventi a pioggia», allo scopo di ottenere visibilità per un solo giorno.
Come il caso di alcune delegazioni straniere ospitate a kermesse cinematografiche nostrane, tanto per fare un esempio. Capovolgere queste pratiche, invita dunque Sabbatucci, anche in considerazione di un dato di fatto di cui, il non prenderne ulteriormente atto, fa semplicemente venire i brividi. L’Italia potrebbe con tre riforme dirette e massicce, dare una sterzata decisiva ai propri conti: incentivando la produzione artistica con sgravi fiscali ed investimenti su giovani idee; intervenendo legislativamente su un’editoria plurale, sia per evitare che grosse fette di media confluiscano in singole mani, sia per svecchiare l’informazione del Paese; capovolgendo il sistema universitario, facendo della ricerca e della conoscenza un’industria vera.
L’invito quindi rivolto ai ministri della Cultura e dell’Istruzione è di sforzarsi di non far apparire come tedioso e inutile l’intero comparto del sapere in questo Paese. In quanto si commetterebbe (anzi, si sta già commettendo) un doppio errore: cassare le spinte propositive delle eccellenze, mortificando un tessuto socio-culturale che non ha nulla in meno degli altri; e consegnare i cervelli italiani a una nostalgica mediocrità. Tra l’altro prendendo spunto da una lodevole iniziativa firmata in prima pagina sul Corriere della Sera di ieri da Mary Beard, docente di Storia antica all’Università di Cambridge, quindi non proprio l’ultima d’Europa: è riuscita a fare ciò che Bondi nemmeno ha provato ad abbozzare, ovvero rivolgere un appello alla comunità internazionale per non lasciare solo sulle spalle dell’Italia il fardello della conservazione di un luogo unico come Pompei. Ancora una volta, una lezione per i politici di casa nostra.
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