mercoledì 8 dicembre 2010

L'ambasciatore iracheno: «Così costruiremo la democrazia»


Da Ffwebmagazine del 08/12/10

Kosmos, mondo, universo. Ma anche altro, altri e ancora finestre su ciò che accade a longitudini e latitudini lontane, senza preclusioni per posizioni ed opinioni. Un approfondimento costante e sotto traccia, in collaborazione con L’interprete internazionale, per slacciare quel cordone ombelicale che troppo spesso lega l’informazione alla contingenza locale, impedendole di mettere il naso fuori dalla propria visione. (Per segnalazioni e commenti inviare una mail all’indirizzo: francesco.depalo@libero.it).

«Le violenze in Iraq? Non sono concentrate contro i cristiani, ma prendono il nome di terrorismo. Un modo per stare al centro dell’attenzione sui media europei». Non ha dubbi Saywan Bazani, ambasciatore iracheno in Italia dai microfoni de Settimana Internazionale, nell’allontanare le ipotesi di razzismo religioso, in occasione dei recenti attacchi contro alcuni cristiani nel Paese. Un territorio che tra l’altro sta per registrare un vistoso incremento di produzione petrolifera, passando dagli attuali 2,5 milioni di barili al giorno ad un dato che potrà essere a breve quadruplicato. Numeri che contribuiscono a fare chiarezza sulla situazione generale dell’Iraq, dove il ministero dell’elettricità metterà presto a gara 22 bandi per la progettazione di turbine a gas, che sicuramente andranno ad incrementare la capacità di produzione di energia del 30% circa nel prossimo quinquennio.

È un binomio, quello tra aspetti sociali ed energia, che viaggia saldamente unito, e non potrebbe essere diversamente a queste latitudini. Dove il processo di ricostruzione epidermico di un Paese e dei propri individui, passa inevitabilmente però anche da altri versanti. Non solo economico, ma sociale, culturale, umano. È da salutare senza dubbio come un dato incoraggiante il fatto che per le strade della capitale circolino nuovamente cittadini sino a tarda ora, con negozi ancora aperti e una vita che lentamente tenta di ritornare a ritmi normali. Dove i docenti universitari, che sino a ieri guadagnavano quattro dollari al mese, oggi ne prendono mille volte di più. Mentre i poliziotti hanno un salario da ottocento dollari. Testimoniando un’oggettiva mutazione degli standard qualitativi di vita. Accanto alla quale non mancano pulsioni nervose, come il risentimento che ancora esiste nella popolazione sunnita, o come il fatto che ancora oggi la gran parte dei cittadini (anche gli indigenti) sia costretta a pagare mensilmente cinquanta dollari per l’attacco ad un generatore energetico privato, in quanto l’elettricità pubblica in Iraq non funziona. Non si spiega, inoltre, come mai dopo l’occupazione americana settennale molte centrali elettriche non siano ancora state ripristinate: elementi niente affatto marginali che hanno un forte impatto sulla popolazione.

Dallo scorso 11 novembre in Iraq esiste un premier, un presidente, un capo del Parlamento: impegnati proprio in questi giorni nella formazione dell’esecutivo. Impresa non semplice, anche in considerazione delle contingenze che lo attendono: l’approvazione della legge sugli idrocarburi, la costruzione di nuove infrastrutture in un Paese provato da guerre ed embarghi, il referendum sull’annessione di una nuova provincia ricchissima di petrolio, il pericolo di nuovi conflitti interconfessionali. Oggi questo Paese da sempre solcato da presenze multietniche e multireligiose è chiamato a recuperare una sorta di bilanciamento tra le varie componenti. Bazani fa riferimento alla nuova Costituzione irachena, che affida ai cittadini la propria quota di rappresentanza all’interno del nuovo Parlamento. Ma occorre ancora del tempo, per assicurare il corretto bilanciamento tra le varie singolarità, compiendo uno sforzo corposo in direzione dei diritti umani, dell’armonizzazione di esistenze. Le differenze che vi sono tra i partiti iracheni, sostiene Bazani, si riferiscono a quelle delle due maggiori comunità etniche presenti nel Paese, arabi e curdi, tra liberali e islamisti. Con background ideologici certamente diversi, ma che nella complessità incarnano tutto lo spettro della globalità irachena. Non vi è quindi uno Stato (come accade in occidente) nazionale, unitario e monolingua, ma con alla base una precisa varietà etnico-culturale, dove i singoli partiti incarnano le tendenze etniche del proprio elettorato di riferimento. Quattro etnie, catalizzate dalla lingua: curda, araba (maggioranza), assiro-caldea e turkmena.

Ecco lo sforzo della Costituzione irachena, dunque, di realizzare una sporta di bilanciamento giuridico e sociale tra le suddette comunità, con le singole peculiarità, esigenze, direttive. Una scommessa senza dubbio complessa, rischiosa e che per essere vinta necessita del concorso di molteplici fattori, anche e soprattutto esterni al Paese. Il riferimento è alle influenze iraniane, secondo alcuni decisamente marcate nell’ultimo periodo, con le inevitabili ripercussioni sullo scenario internazionale. Che però l’ambasciatore ritiene solo «ipotesi naïf, dal momento che sarà proprio costruendo un Iraq democratico e indipendente che si potrà esportare quella democrazia e quell’indipendenza agli Stati limitrofi».

Nessun commento: