Dal Futurista del 20/07/11
Che succede quando cultura e politica vanno in pericolosa contiguità? Nel senso che l’una non stimola, come dovrebbe, l’altra. Non la pungola, non ne rileva le criticità. Anzi, la prima si asservisce alla seconda, ne diviene megafono deleterio, appiccicoso e molliccio. Perché storpia le proposte, cassa le punte e le idee fuori dagli schermi, così come le intellighenzie che si definiscono tali dovrebbero saggiamente fare. E come, niente altro, accade anche nel resto dei paesi democraticamente moderni e presi a modello. Invece in Italia, luogo liquido sui generis, c’è chi si duole contro la malagiustizia e la malapolitica e semplicemente vorrebbe voltare le spalle a tutto in segno di salomonico disgusto. Così come vergato da Marcello Veneziani nella sua rubrica Cucù sul Giornale di famiglia. Troppo comodo far finta di nulla, troppo facile dire oggi che il punto di non ritorno è già qui. Quel limite è stato varcato molto tempo prima, quando le penne sono state riempite di inchiostro monocolore, quando il pensiero del libro unico e della berlusconizzazione degli eventi mondiali ha preso il posto di un filone intellettuale che sarebbe dovuto restare libero. Di pensare, di controbattere, di alzare un dito per eccepire, di avere il coraggio semplicemente di dire no, come fatto da Indro Montanelli in un pomeriggio milanese.
Quando, senza pensarci due volte, si rifiutò di fare da portavoce a un’altra idea, lontana anni luce da un certo modo, alto, di intendere la comunicazione e l’indipendenza dei media. Non è difficile, basta dirlo chiaramente, senza nascondersi dietro bizantinismi o scuse puerili. Il disgusto non è di oggi come rileva Veneziani. Bensì lo hanno provocato, da anni, coloro che hanno aderito non alla causa di un padrone, scelta legittima anche se non condivisibile. Ma a una loro dipendenza camuffata da verve intellettuale. Bastava dirlo dall’inizio. Senza scomodare il salomonico disgusto.
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