giovedì 27 ottobre 2011

L’Italia post-manovra? A brandelli

Dal Futurista del 27/08/11

Perché non lo si dice chiaramente e senza il timore di fare una magra figura internazionale? Il debito dell’Italia non è come quello degli altri paesi, dal momento che è composto essenzialmente da costi esorbitanti della cosa pubblica che si autoalimentano in modo abnorme. Come nemmeno in certe repubbliche dittatoriali africane: non è fantascienza, bensì il reale stato delle cose, anche se la casta biancarossaeverde non lo dice, o forse nemmeno lo sa. Lo si può facilmente appurare sbirciando non demagogicamente numeri e analisi sulla (de)crescita. Che, chiunque succederà a Silvio Berlusconi, si dovrà architettare nel tradurre in provvedimenti concreti, lasciando da parte le promesse da buontemponi e i penosi comizi da venditori di pentole. Debiti diversi dunque. Un esempio? La Spagna. Si è indebitata perché ha speso miliardi in grandi opere come autostrade, ferrovie, aeroporti. Una massiccia infrastrutturazione in chiave turistica che ha sì prodotto esborsi ingenti ma che, una volta passata la crisi, ritorneranno (sta già accadendo) sotto forma di presenze turistiche e (altre) commesse alle imprese. E ancora, il calcio spagnolo sta surclassando i concorrenti italiani e inglesi, le sponsorizzazioni, i grandi eventi: in parole semplici, la Spagna di domani sarà un paese con gli strumenti per far ripartire l’economia (per non parlare della Germania, un vero alieno, che punta entro il 2050 a disporre di una rete ferroviaria completamente spinta da energia pulita, altro che dibattiti sulla tav). La miopia italiana, invece, sta tutta in una manovra che sarà inizialmente un placebo con la felicità della troika Fmi, Ue e Bce. Ma poi tra 10 anni ci consegnerà un paese a brandelli, con il ceto medio divenuto povero, dunque incapace di spendere, con un ritardo ancora più marcato rispetto al continente, con treni e ferrovie ante bellum, con imprese in affanno che produrranno altri disoccupati, con emigrazione massiccia verso chissà la Cina o il Turkmenistan, con un turismo ancora provinciale (non è possibile che l’aeroporto di una capitale disti 50 minuti dal centro città, bene che vada).
Non sbaglia Jacques Delors, uno degli ultimi padri socialdemocratici dell’Europa ancora in vita, quando dice che chi dovrebbe vigilare sta facendo finta di niente. E lancia l’allarme sull’euro a un passo dal baratro, ma sul cui destino pochi si preoccupano realmente. Con la delusione rappresentata proprio da tutti i vertici politici continentali che avrebbero dovuto osservare di più, a partire dalla Grecia (anziché concederle prestiti e valanghe di euro) ma passando anche da quelle altre economie che oggi si trovano con l’acqua alla gola. Chissà cosa direbbe l’ex presidente della commissione europea dei bilanci scandalosi del belpaese e del pasticcio governativo di Tremonti e Berlusconi autori di una manovra farsa. O degli aerei di stato usati come caramelle, dei vergognosi privilegi dei deputati e consiglieri regionali italiani, delle mille e più consulenze esterne che le amministrazioni italiane usano fare, dei cantieri sulla Salerno-Reggio in un giro oscuro di appalti e subappalti (tanto paga pantalone), delle multe per le quote latte, dei mancati incassi per l’erario dalla banda larga e da sgravi fiscali a enti religiosi, di leggi salva qualcuno che è uno solo mentre il resto del paese affonda miseramente.
Va bene la crisi mondiale, si è già detto tutto del sorpasso cinese nei confronti degli Usa o dei partner di Putin con le tasche piene di petro-rubli. Ma adesso è arrivato il momento di parlare chiaro a chi ha pagato il contributo per entrare nella moneta unica, a chi ha investito sul concetto di unione, a chi ha valutato e valuta ancora come un’occasione l’Ue, a chi ogni mattina tira su la saracinesca della propria attività, a chi dopo una vita di lavoro ha diritto alla pensione e al proprio tfr. La franchezza manca drammaticamente: ma all’Italia più di tutti.

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