giovedì 27 ottobre 2011

La lezione di Sic, puro senza gobbo


Cosa lascia il giovane Marco Simoncelli, prematuramente scomparso nella “sua” pista di bolidi urlanti? Tante cose: emozioni, ricordi e affetti. Ma anche un altro rilievo, che, chissà, potrebbe essere di aiuto a un paese per vecchi e di vecchi. Sic era un puro, un puro senza gobbo. Incarnava cioè la metafora della semplicità, della realtà tangibile e non artefatta: perché non era un divo ma un ragazzo semplice, senza fronzoli, senza macchine blu o veli di protezione. Senza scudi, senza scorta, senza fard o sforzi di immagine. Ma puro così com’era e con i suoi difetti e pregi in evidenza. Con due genitori normali che si sforzano id sorridere nel dolore, con una ragazza non velina. Non è retorica volersi fermare un momento e ragionare sui modelli pedagogici. Ci si lamenta tanto della povertà di immagini, sostanze, espressioni. E poi, quando meno te lo aspetti, accade l’imprevedibile. Triste, doloroso. Ma con un germoglio di speranza che quel sacrificio ha lanciato. Simoncelli lascia una pesante scia di eredità sociale in un’Italia assetata di eroi e capibanda. E lo fa puntando su un aspetto troppo spesso sottovalutato negli ultimi tre lustri: la spontaneità, il genuino, il non artefatto, il non ri-costruito. Insomma, il reale che non inganna. Che è drammaticamente mancato a tutti i livelli. La semplicità dei rapporti umani, la sincerità di una faccia pulita che intervistato diceva ciò che pensava, col suo accento romagnolo, senza gobbo. La metafora di come si potrebbe migliorare un paese troppo spesso sordo al vero, e alla continua ricerca del perfetto e dell’istericamente costruito. Non solo la passione di chi lo ha conosciuto, dei familiari, degli amici, dei compagni di lavoro, tecnici, dei colleghi della stampa che lo stanno ricordando con vera emozione. Ma anche un lascito che un paese desideroso di migliorarsi, di abbandonare passati e derive necrofite, ha il dovere morale di capitalizzare. La spontaneità di Simoncelli, la sua voglia di straordinaria normalità sia di insegnamento per tutti. Per i più giovani, così da restare ben piantati con i piedi per terra. Avvinghiati alle proprie gambe e braccia, certamente impegnati a costruire sogni ma senza l’illusione che poi fa cadere con il muso per terra. Per i più grandi, nevroticamente impegnati nell’edificazione di un’apparenza falsa e misera, dove in primo piano ci sono solo l’immagine e null’altro. Per gli altri sportivi, troppe volte ricchi e viziati, insoddisfatti a vita. Ecco cosa ci può insegnare Sic, puro senza gobbo.

Fonte: Go-Bari del 26/10/11

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