mercoledì 17 novembre 2010

Cari ragazzi, non (s)vendetevi l'anima...


Da Ffwebmagazine del 17/11/10

Che ne sarebbe del substrato sociale se non fosse così avviluppato attorno a quel mostro a sei teste che si chiama consenso? Come vivrebbero individui, soprattutto i più giovani, se slacciassero finalmente quel cappio che stringe (forte) gole ed esistenze sull’altare di modelli costruiti ad personam? A cui in molti fanno a gara per aderire, assomigliare, emulare. O anche solo scimmiottare, quasi che alla fine fossero premiati con un attestato di “copia” perfettamente conforme. O con una tessera punti, come quelle che, dopo dieci pieni di carburante, danno poi diritto a un regalo a scelta, che nessuno poi userà.

E allora: su quali binari viaggiano le sudditanze mentali della società moderna? Tra pervasività dei media, tra ossessione dell’apparire, tra voglia di immaginifico ma che non incarna una proiezione vera verso sogni o obiettivi. Bensì solo derive “accumula punti”, dove ogni credito avvicina alla meta. Ma se quella meta si chiama fama di plastica, successo di un minuto, ecco che l’intero impianto è destinato a crollare miseramente sotto i colpi di vento della realtà.

Ha detto lo scrittore Camilleri al Festival di Roma: «Un consiglio ai ragazzi? Eccolo: farsi condizionare il meno possibile da una società che finge di darci il massimo della libertà, e invece ci dà il massimo del condizionamento. Io, sotto il fascismo, ero più libero di quanto voi siete adesso...». Finzione, influenze opprimenti, pseudo libertà, eroi, falsi eroi. Ma anche nemici, e soprattutto falsi amici. Ce n’è abbastanza per riflettere sui condizionamenti di oggi in tutti i campi, dall’estetica ad ideali preconfezionati, dalle strategie per farsi accettare alle conseguenze di un apparire che sovrasta l’essere.

Si prenda il caso di Avetrana: ciò che deve far pensare non è il susseguirsi di colpi di scena, di ritrattazioni, di indagini, di consulenti o di mediatori non troppo onesti. Tutto ciò fa purtroppo parte del contorno giudiziario del caso, quindi del merito di una tragedia sociale e umana, le cui vittime andrebbero rispettate di più. Quello che deve far indignare (anche se il termine è un po’ in disuso negli ultimi anni in Italia) è il modo con cui l’intera vicenda è andata trascinandosi sino a oggi. Troppo facile puntare l’indice su fiotte di opinionisti (che tutto sono tranne che criminologi o psicologi) tra giornalisti, soubrette, ex veline, vallette o scrittori, che affollano quella scatola chiamata tivvù. Intenti a pontificare, a recuperare motivazioni di un gesto, a spaccare in quattro un battito di ciglia, indizi senza dubbio preziosissimi per ricostruzioni mediatiche.

Il punto di maggiore criticità è l’eco di un alito di vento, la giostra permanente del mercato delle immagini, della tratta di quel minuto di notorietà che, una volta suonato il gong, offre sì il riconoscimento fisico quando poi l’individuo in questione si reca al parrucchiere o in piazza per sorseggiare un caffè. Ma che proprio in quell’istante smonta l’anima di quella persona, perché l’effimero ha invaso un corpo ed una mente.
È chiaro che, come sostenuto da un sociologo (vero), Paul Goodman, «non possiamo attenderci da un ragazzo che sbagli con moderazione». Ma nemmeno applaudirlo se il suo viso si accoppia in modo innaturale con un mondo che semplicemente non c’è, perché artefatto, costruito dagli architetti della contraffazione. Dove le misure e i rilievi sono fatti con gli strumenti della menzogna, e promettono l’albero della cuccagna. Ecco, le vittime di questo pericoloso gioco di specchi sono tanti Pinocchio della modernità.
Che un bel giorno si svegliano dal torpore, aprono gli occhi e stramazzano giù dal letto perché si rendono conto che la vita quotidiana, quella che i puristi del "tutto pronto e subito" fanno a gara a sminuire come noiosa, di routine e vaga, è invece non solo drammaticamente tangibile, ma anche perché no, bella e interessante. Perché ognuno di quei Pinocchio, poi, dovrà essere bravo ad arricchirla, a costruirla su propri modelli, a venderla non al miglior offerente come si fa con la batteria di pentole o come gli aspirapolvere. Ma a se stessi.

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