Da Ffwebmagazine del 23/11/10
Piero Ostellino sul Corriere della Sera di ieri rifletteva sulle dinamiche che Silvio Berlusconi dovrà affrontare in un’eventuale campagna elettorale, e toccava un nervo scoperto del “fu Pdl”. Perché lucidamente faceva notare che nel 2011, o nel 2012, o quando si andrà alle urne, non potrà essere più sventolata la clava del pericolo comunista alle porte (come nel 1994) o dell’attacco concentrico di magistratura e media, o del traditore che abbandona l’alleanza. Ma sarà il caso che il premier osservi una volta per tutte ciò che ha realmente seminato in questo quindicennio di discesa in campo, senza scuse, senza bluff, senza capri espiatori, senza crisi economiche o attacchi terroristici che tengano. Perché è arrivato il momento di giocare a carte scoperte, di andare a vedere non il gioco degli altri, ma il proprio.
E il tutto per tre ragioni distinte.
Oggi di comunista è rimasto ben poco, di blocco sovietico pronto a prendere il potere non se ne vede l’ombra. L’unico carro armato non al confine friulano, ma in Piazza Colonna, è il “governo paracarro”, per carità inoffensivo, ma proprio per questo inadatto a fornire le risposte che il paese attende, perché tremendamente immobile. Tra l’altro i partiti di sinistra stanno compiendo un percorso di evoluzione legittima e modernista. E se proprio di pericolo bisogna parlare, allora varrebbe la pena di prestare maggiore attenzione al regime di Mosca, dell’amico Putin, dove si riscontra il più alto tasso mondiale di giudici e giornalisti ammazzati.
In secondo luogo tribunali e stampa non sono certamente nelle condizioni di nuocere al Cavaliere, sia perché sino ad oggi si è adoperata una o più leggi ad personam che hanno tranquillizzato l’operato del premier, sia perché gli attacchi concentrici e le campagne di fango sono partite dal Giornale di famiglia, e non certo da fogli che invece hanno deciso di puntare (per scelta etica, prima che editoriale) sull’elaborazione culturale, sulla diversificazione della proposta politica, su un’informazione, insomma, che non sia di regime, ma libera e liberamente pensante. A tutte le latitudini.
Terzo, non si capisce perché si continui con la stucchevole melina del traditore che ha abbandonato, del transfuga, in una tediosa ma a questo punto anche offensiva (per le intelligenze che ascoltano) deriva mistificatoria. Perché tutti sanno come è andata realmente quel 29 luglio scorso.
A ciò si aggiunga il dato più grave, ovvero la delusione di quel mondo liberale e moderato, dei ceti imprenditoriali, delle parti sociali, della gente comune senza tessere di partito. Che semplicemente speravano in un’Italia meno xenofoba, più unita, con maggiore stabilità, senza scandali, con più diritti civili, con meno mafie negli appalti pubblici, con meno inquisiti in Parlamento, con meno ministri che picconano allegramente pezzi delle istituzioni, con meno disoccupazione anche grazie a interventi di un governo che si proclama del fare, ma che poi non ha fatto.
Un governo che invece ha impiegato il proprio mandato, sfiancato da polemiche di bassa leva, per eliminare le voci scomode, per deliberalizzare il tessuto dei cittadini che, di questa politica urlata e con l’elmetto perennemente in testa, non ne vuole più sentir parlare. Come dimostrato dal partito dell’astensione, stabile al 35%. Lecito chiedersi allora: quando se ne occuperà, di queste cose, il “fu Pdl”?
Nessun commento:
Posta un commento