mercoledì 24 novembre 2010

La battaglia di genere delle teologhe del Corano


Da Ffwebmagazine del 24/11/10

Kosmos, mondo, universo. Ma anche altro, altri e ancora finestre su ciò che accade a longitudini e latitudini lontane, senza preclusioni per posizioni ed opinioni. Un approfondimento costante e sotto traccia, in collaborazione con L’interprete internazionale, per slacciare quel cordone ombelicale che troppo spesso lega l’informazione alla contingenza locale, impedendole di mettere il naso fuori dalla propria visione. (Per segnalazioni e commenti inviare una mail all’indirizzo: francesco.depalo@libero.it).

Dove vanno i nuovi femminismi islamici in un Continente che sta brillando per spirito di intraprendenza e innovative vesti post-ideologiche? La domanda, lecita, è d’obbligo se si guarda con attenzione a ciò che le neo teologhe del Corano stanno facendo con determinazione e coraggio. Non più solo rivendicazione movimentista di diritti sociali e di status per la figura femminile, (ancora dequalificata e posta in secondo piano), ma anche nuova forma di impegno civile, posta in essere dal di dentro delle sacre scritture islamiche. In una sorta di cripto-avanguardia di cittadine riunite sotto l’ombrello della Gender jihad.

Si tratta della battaglia di genere che le donne musulmane stanno combattendo per rafforzare il proprio ruolo all’interno della società. In primo luogo hanno evitato di definirsi “femministe”, per non subire la censura del Patriarcato che le avrebbe considerate una protesi dell’interferenza occidentale. In questo stanno compiendo un’operazione più approfondita, tentando una lettura modernizzatrice del Corano. Per il semplice motivo che se nel VII secolo le donne non disponevano, ad esempio, di un patrimonio personale - riflette l’arabista Jolanda Guardi dai microfoni della trasmissione Settimana internazionale - e non godevano dei relativi diritti, oggi la cornice storica e culturale del continente è decisamente mutata.

Giova innanzitutto ricordare che i musulmani moderati ritengono che un movimento femminile islamico non contrasti affatto con i principi religiosi, anzi rappresenti una straordinaria opportunità per delegittimare l’estremismo ed il fanatismo religioso che ha colpito le donne, ponendole in una posizione di svantaggio oggettivo. Il riferimento è a segregazioni, velo obbligatorio, violenza fra le mura domestiche. «Una lotta globale», la definì nel 2005 in occasione di uno storico raduno a Barcellona l’iraniano Valentino Moghadam, vertice della sezione di parità di genere dell’Unesco di Parigi. Gettando le basi per un doppio obiettivo: una riforma radicale del diritto di famiglia islamico, ed una maggiore sensibilizzazione del tema sui media internazionali.
Solo in apparenza Islam e femminismo appaiono due blocchi antitetici, perché possono integrarsi. Anche grazie alla doppia veste del nuovo femminismo del terzo millennio, che poggia su due elementi. L’anima teologica, che effettua una lettura in chiave modernista dei testi sacri dell’Islam. E una movimentista, formata da ong con donne che si aggregano liberamente per sostenere l’emancipazione multilivello dei diritti. Non mancano criticità e sacche di pericoloso conservatorismo, che spesso cozzano con tale impegno.

Si prenda la Tunisia, considerata nell’immaginario collettivo come un Paese laico e progressista. In verità il fenomeno delle successioni è rimasto integro, rileva l’islamista Massimo Papa, senza dimenticare gli impedimenti di matrimonio, malgrado siano stati in apparenza depotenziati il ripudio e la poligamia, ma con eccezioni. Infatti un uomo può spostare una seconda donna, solo con il consenso della prima, stagliando una vera e propria spada di Damocle sulla testa delle donne tunisine, che ancora oggi non possono tra l’altro sposare un uomo non musulmano. E ancora, le autorità diplomatiche di questi Stati si rifiutano di rilasciare il relativo certificato di stato libero. Inoltre un giudice di un Paese islamico oggi, per via della mancata codificazione, applica tali normative con gli stessi parametri dell’età medioevale. In un sistema anacronistico che sarebbe utile ammodernare.

La soluzione è stata reperita, dunque, in una spinta sociale e culturale senza etichette riconducibili al femminismo, per non incorrere in chiusure preventive da parte degli apparati ultraconservatori. Ma proclamando che è possibile combattere per i diritti delle donne rimanendo all’interno del Corano. Il dato positivo è rappresentato da questa consapevolezza: la via attraverso l’interpretazione del testo sacro islamico è a oggi quella forse più legata al successo futuro. Perché non si pone come obiettivo quello di scardinare affrettatamente l’intero meccanismo, o fare un fronte di aspra contrapposizione con i vertici religiosi.
Per questo le donne islamiche moderne si sono organizzate in un’iniziativa autoctona di natura progressista, che pur senza targhette di riconoscimento, si batte per l’evoluzione della donna in quel Continente. Rammentando il principio del Corano, che è «voce di Dio in favore delle donne».

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