Da Ffwebmagazine del 15/11/10
Come uscire dalla crisi che attanaglia il pianeta e che aggrava l’immobilità italiana? Iniziando da una politica che «ritrovi senso della dignità, della responsabilità e del dovere che dovrebbero essere proprie di chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche». Così Gianfranco Fini introducendo il Rapporto 2010 di Italiadecide, intitolato L’Italia che c’è: le reti territoriali per l’unità e per la crescita, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Il rapporto si inserisce nel quadro delle iniziative per il 150esimo dell’Unità d’Italia e ha voluto intrecciare il sistema delle reti territoriali che interessano il Paese, con quei settori particolarmente sensibili dal punto di vista strettamente strategico: logistica e infrastrutture, istituzioni decentrate, sanità, scuola, università e istituti culturali, città, economia e finanza.
Lo scopo è creare le condizioni per una conoscenza attenta e approfondita delle grandi questioni che attengono lo sviluppo del futuro, senza prescindere da quel collante sociale che prende il nome di unità nazionale. Analizzato dal peculiare punto di vista dell’oggettivo svolgimento delle politiche pubbliche sul territorio.
Secondo il presidente della Camera i cittadini che svolgono pubbliche funzioni hanno il dovere di adempierle con «disciplina e onore, come prevede un articolo della Costituzione che è tra i meno citati e conosciuti». E, ha aggiunto Luciano Violante, che vivano il proprio status di amministratori come una responsabilità e non come un privilegio. La credibilità, quindi, come requisito basilare per guardare con spirito risolutivo alle nuove sfide poste dalla collettività. Si tratta, ed è la traccia identitaria del ragionamento della Terza carica dello Stato, di un presupposto «etico prima ancora che politico». Per questo è utile domandarsi come si possa ricostruire una strategia «che ridia speranza e futuro all’Italia».
Certamente non siamo all’anno zero, ha ammesso Fini, ma dovremmo ripartire, con piglio propositivo, «dall’Italia che c’è». Da quel Paese incubatore di piccole eccellenze, come la forza cinetica dei distretti produttivi, o gli impulsi socioculturali dei singoli territori, la vivacità di neuroni del tessuto civile e sociale dell’Italia. E accanto a ciò, si rende ancora più determinante un’azione dell’esecutivo che risolva definitivamente le deficienze del Paese, come una stagione di riforme condivise ed efficaci dovrebbe fare. Che passi da un Senato delle Autonomie, per assicurare agli enti locali la più ampia partecipazione alle grandi scelte. E dal federalismo fiscale.
Secondo Fini si dovrebbe evitare il rischio che risulti un dato di scomposizione, ma dovrebbe essere accompagnato da uno Stato forte, da un sistema di travi istituzionali che garantiscano stabilità. Con funzioni e principi da migliorare in senso unitario, «evitando di frammentare il Paese in tante piccole patrie». Spazio allora a una perequazione «che si configura in senso verticale», in quanto espressione concreta di un patto da declinare «in senso solidaristico. Per sanare la frattura tra nord e sud che ha portato a un Paese a due velocità, anche grazie a un federalismo che sia sì «innovazione, ma non esonero di responsabilità per la politica nazionale».
Il federalismo, quindi, venga inteso come «competitivo e solidale», attuato all’insegna di un raccordo funzionale con gli enti locali, nel rispetto di parametri e regole. Ecco il nuovo ruolo dello Stato, dunque, ha concluso Fini, «meno interventista, ma più esigente quanto a controlli e responsabilità».
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