sabato 20 novembre 2010

Sudan, tra acqua e petrolio. A chi conviene la secessione?


Da Ffwebmagazine del 19/11/10

Kosmos, mondo, universo. Ma anche altro, altri e ancora finestre su ciò che accade a longitudini e latitudini lontane, senza preclusioni per posizioni ed opinioni. Un approfondimento costante e sotto traccia, in collaborazione con L’interprete internazionale, per slacciare quel cordone ombelicale che troppo spesso lega l’informazione alla contingenza locale, impedendole di mettere il naso fuori dalla propria visione. (Per segnalazioni e commenti inviare una mail all’indirizzo: francesco.depalo@libero.it)

Guerra per il petrolio? Non più, il business del terzo millennio nel continente nero si chiama acqua. Quel liquido trasparente prezioso quanto l'oro, che è al centro di intrecci e accordi. Con uno stato pacifico, l'Egitto, che ad oggi pare abbia gli arsenali pieni e pronti ad un eventuale conflitto. Con sullo sfondo un appuntamento decisivo per le sorti della stabilità africana: il prossimo gennaio infatti il Sudan sarà chiamato a votare un referendum per decidere sull'eventuale secessione, tra sud e nord. Politica, risorse minerarie e risorse naturali unite in un unico contenitore di intenti e di necessità.

Si prenda lo stato con capitale Khartoum, il più grande per estensione dell'Africa e del mondo arabo, con un governo di stampo militare, sul cui vertice nella persona del premier Omar Al-Bashir, spicca un mandato di cattura internazionale da parte della Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Tra l'altro negli ultimi tempi proprio dalla capitale è partita un'azione repressiva contro stampa e intellettuali non allineati al regime. «Tutto il Sudan, indipendentemente da ciò che le urne decreteranno, accetterà questo evento di democrazia», riflette fiduciosa Ahlam Abdul Jalil Abu Zeid, ministro plenipotenziario presso l'Ambasciata del Sudan in Italia dai microfoni della trasmissione Settimana Internazionale su Radioradicale, anche in ossequio alla riforma costituzionale approvata nel 2005. Inoltre il senatore John Kerry, presidente della Commissione Esteri del Senato americano, ha proposto di cancellare il Sudan dalla lista dei “Paesi canaglia” che sostengono il terrorismo, solo se rispetterà la volontà popolare post referendum. E anche, si auspsica la comunità internazionale, se impedirà che giovanissimi minori vengano arruolati in eserciti, ufficiali o menpo che siano.
La sensazione però è che a svolgere un ruolo primario sarà il corso fisico del petrolio, con i procedimenti di raffinazione che si concretizzano a nord per via degli stabilimenti e non al sud dove mancano “vie di uscita” geografiche verso l'Asia e l'Europa. Ma l'eventuale nascita di due Stati distinti e differenti presupporrebbe anche un accordo sui confini, con quelli settentrionali più ambiti, dal momento che contengono i maggiori giacimenti del Paese.

Confini fanno rima anche con flussi migratori. Che dal Sudan generalmente prediligono guardare a Stati Uniti, Canada ed Australia, ma che in Sudan transitano provenienti magari da Etiopia e Libia, per approdare in Europa. Ecco che la stabilizzazizone di un canale di dialogo politico sul tema dell`immigrazione potrebbe rappresentare un punto decisivo. Ma a patto che gli interlocutori europei si sforzino di migliorare tempi e modi di rapporti che non possono essere ritardati ulteriormente. «Spesso accade che gli stati membri dell'Ue - prosegue nell'analisi Ahlam Abdul Jalil Abu Zeid - non siano esattamente a conoscenza delle dinamiche sudanesi, mostrando gap di informazioni e di comprensione. Ciò porta loro a basarsi esclusivamente su notizie di matrice statunitense».

Sta di fatto però che, come accade di frequente, l'Unione Europea in tale scenario non riesce a parlare con una voce univoca. In quanto sono già presenti sul territorio sudanese per indagini petrolifere società turche, norvegesi e spagnole. Questa condotta in ordine sparso ha di fatto lasciato il campo a colossi come la China Petroleum, che ha già chiuso un accordo per i prossimi 25 anni. In caso di secessione, rassicura l'ambasciatore, è difficile che ci sia una separazione tra Sudan meridionale e investitori cinesi. Ma proprio quel referendum potrebbe essere una miccia per future tensioni. Con ancora una volta gli Stati europei a recitare un ruolo da non-protagonisti.

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