giovedì 4 novembre 2010

Pannella: la libertà di dissentire, sempre


Da Ffwebmagazine del 04/11/10

Un altro sciopero. Della fame, della sete. Ma non delle idee. Per i suoi ottant’anni Marco Pannella si regala un’altra sfida, nel bel mezzo del nono congresso dei Radicali italiani. Ma non prima di essere stato festeggiato da un pezzo di Italia civile che, invocando Pannunzio, Rossi, Vittorini, Tortora e Pasolini, lo ha elevato a tutore della democrazia intesa come integrità fisica e mentale di cittadini e cittadine. Nell’anno del centenario della nascita di Mario Pannunzio e del bicentenario di Cavour, Marco Pannella taglia un altro traguardo.
Dopo aver inseguito per più di tre quarti della sua vita il rispetto di una comune civiltà, di valori minoritari ma non inferiori. Facendo venire alla mente quella lettera di Benedetto Croce con l’intestazione “laici o non laici che siano”, rimarcando il suo voler parlare a tutti, indipendentemente dai punti di partenza e senza preclusioni. Nella scia di quel principio dove grandi ideali e grandi passioni generano il rispetto per le idee degli altri. Quelle idee che il fautore della campagna per il divorzio, tanto per citarne una, non smette di concimare.
Come definirlo? Più che ricorrere agli aggettivi, o alle espressioni di adulazione, terribilmente tediose e falsamente celebrative in questi casi, è bello parlare di Pannella con riguardo alle sue provocazioni. Perché dice cose che i più non vorrebbero ascoltare, o non avrebbero il coraggio di dire. Perché sono cose che danno fastidio, che si insinuano nei pensieri di tutti come quotidiane rivendicazioni (scomode) rivolte alla coscienza dei singoli. Nelle sue battaglie si ritrova la natura del liberalismo laico, scevro da ipocrisie, lontano anni luce da calcoli politici o da imprimatur di capicorrente o di capi e basta. Pannella è un attore della commedia umana, una sorta di sacerdote prostrato ai liberi pensieri, senza padrini e senza padroni. Un avvocato che patrocinia gratuitamente le idee vere, reali, pure, non pre-confezionate, né imballate con carta natalizia per sembrare più allettanti.
Che mostra lo stesso entusiasmo di dieci lustri fa quando rivendica con orgoglio la presenza a Chianciano (in occasione del congresso dei Radicali) di quattrocento delegati giunti a proprie spese per partecipare a quattro giorni di dibattiti, analisi, esercitazioni (ormai rare) di pensieri, in un contesto che si sta rivelando sempre più “specie protetta” nel panorama partitico italiano. Dove gruppi dirigenti, simpatizzanti e cittadini si incontrano, distanti da flash e protocolli, per snocciolare questioni, per avanzare proposte anche irrituali, per chiedere il rispetto della vita umana contro la pena di morte, la libertà del singolo nelle scelte sociali, il principio della autodeterminazione, l’esigenza di vivere in uno Stato che non sia etico ma di diritto.

Un individuo che vede i limiti e gli errori della Chiesa cattolica (copyright di Pier Franco Quaglieni), che rileva le invasioni di campo, costanti e ripetute nella storia italiana, andando contro il principio della separazione fra Stato e Chiesa che fu del conte Cavour.
Un personaggio che, in barba al passare delle stagioni, regge l’urto delle diaspore che si consumano con i suoi antagonisti, che fanno finta di non comprendere l’importanza delle sue posizioni, spesso prescindendo dal merito delle stesse. «Mario Pannunzio - ha ricordato la scrittrice Isabella Colonna Preti - teneva in grande considerazione questo giovane colto e tenace».
Lo hanno epitetato in svariati modi: «Pastore che disperde il gregge, secondino che apre i cancelli» (Roberto Saviano); «un rivoluzionario non violento e incrollabile» (Marco Bellocchio); uno le cui provocazioni «rendono molto meno discutibile la politica italiana che è molto discutibile» (Giorgio Albertazzi); «il solo politico italiano che dimostra di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia» (Leonardo Sciascia in un pezzo pubblicato da El Pais).
Un uomo, insomma, libero di dissentire. Sempre.

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