giovedì 25 novembre 2010

Il fu Pdl e quell'incapacità di vedere oltre le nebbie


Da Ffwebmagazine del 25/11/10

«Ciò che scriviamo oggi sulla lavagna, domani lo cancelleremo» ha detto Brecht. In quanto gli ammodernamenti, da qualsiasi latitudine ed epoca li si voglia analizzare, sono il pane quotidiano di ogni civiltà che si rispetti, che teme di restare indietro, inghiottita da un gap non solo infrastrutturale, ma soprattutto mentale. Perché, come rilevato da Llewellyn H. Rockwell jr, «ad ogni generazione l’idea della libertà deve essere riaffermata da coloro che sanno vedere oltre le nebbie, e riscoperta dai giovani e dai coraggiosi».

Lecito chiedersi: chi sono oggi nella politica italiana i coraggiosi e quelli che sanno vedere oltre le nebbie? Certamente non spiccano fra coloro che, come blocchi monolitici, faticano a fare un passo verso la modernità, verso quell’evoluzione di idee e strumenti senza la quale molto realisticamente si perisce, felicemente cementificati in uno status quo che non offre nulla, se non la grigia stabilità della contingenza: destinata alla sterilità.
Non comprendendo come sia proprio su quelle coordinate che si gioca la partita politica del futuro, ovvero sulla consapevolezza che «quando i ruoli cambiano - come osservato dall’ambientalista americano Stewart Brand- anche le ideologie devono cambiare». Semplicemente perchè è anacronistico applicare ad un dato nuovo un’idea datata, utilizzare strumenti obsoleti per esigenze moderne, e farlo solo per il gusto di essere caninamente fedeli ad un padrone. Entusiasti per la carezza celebrativa e momentanea che seguirà a quella assurda fedeltà. Assurda, non perché si voglia sminuire il valore di un’appartenenza o di un legittimo affetto di riconoscenza, ma perché basata sul nulla, lontana anni luce dal mondo vero e dai flussi di informazioni e di vite umane che in quel mondo si spostano alla velocità della luce e che devono, per forza di cose, essere intercettate e comprese.
Sprecando in questo modo l’occasione per costruire consapevolezze proprie, per disegnare nuovi e personali orizzonti, per gettare lo sguardo (non oltre l’ostacolo, sarebbe pretendere troppo), ma almeno più in là del proprio seminato. E non per il vezzo intellettuale della sperimentazione a tutti i costi che, oggi, improvvisati politologi puristi si affrettano a dequalificare perché “utopia e basta”. Ma perché frutto di consapevolezze ragionate, soppesate, metabolizzate grazie a neuroni liberi e pensanti. Che, per questo, sono malvisti da concezioni padronali e aziendalistiche della politica, come accade nel fu Pdl, dove quotidianamente si assiste ad un pezzo di partito che marcisce sotto il peso del non-pensiero.

Il riferimento è a quanto dichiarato a Omnibus da Nunzia De Girolamo, deputato e coordinatore del fu Pdl nella provincia di Benevento, mentre battibeccava intensamente con l’onorevole Briguglio: «Io non tradisco le ideologie». Sembrava di trovarsi di fronte a qualche componente della nomenklatura del vecchio Pcus, il giorno della caduta del Muro di Berlino. Quando, nonostante calcinacci in frantumi e separazioni di universi ormai fusi, quei dirigenti continuavano a ragionare come se nulla fosse accaduto, come se il regime fosse ancora saldo e i cittadini non si fossero ribellati.
Un mondo, insomma, tutto casa e partito, dove si decidevano strategie a trecentosessanta gradi, con un blocco monolitico (il partito) pervasivamente presente nella vita dei sovietici. Qualcuno dovrebbe suonare la sveglia a chi non si è reso conto che, nel frattempo, le cose sono cambiate. E di molto, non solo negli interpreti che hanno scelto di scendere in campo anziché salire in politica, ma soprattutto in quelle mille anime del Paese stanche di miopie decisionali e di assurde (e improduttive) fedeltà. Appunto, assurde.

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