mercoledì 9 febbraio 2011

Dalla Grecia all'Egitto, una pressione da sedare


kosMondo, la rubrica di politica internazionale su Ffwebmagazine

Kosmos, mondo, universo. Ma anche altro, altri e ancora finestre su ciò che accade a longitudini e latitudini lontane, senza preclusioni per posizioni ed opinioni. Un approfondimento costante e sotto traccia, in collaborazione con L’interprete internazionale, per slacciare quel cordone ombelicale che troppo spesso lega l’informazione alla contingenza locale, impedendole di mettere il naso fuori dalla propria visione. (Per segnalazioni e commenti inviare una mail all’indirizzo: francesco.depalo@libero.it).

L’Europa è “politicamente un nano”, senza consistenza, non ha compreso come i giovani egiziani scesi in piazza non sono imbevuti di ideologia e fanatismo. Ma di contro non si può condannare in toto Mubarak per il solo gusto di cambiare. Antonio Badini, ex ambasciatore italiano in Egitto e attualmente direttore generale dell’International Development Law Organization, non ha dubbi nel diagnosticare la situazione in quel lembo di Mediterraneo colpito dal vento della rivoluzione. Dopo le piazze ateniesi, tunisine, albanesi, ecco quella del Cairo, ad infiammare una latitudine particolarmente sensibile al terremoto economico del 2009 di cui, oggi, si scorgono chiari e luminosi, i danni nella specificità dei singoli Stati.

Dai microfoni de La settimana internazionale Badini offre una disamina attenta e scevra da pregiudizi e preconcetti. Perché se è certo come è certo che il regime di Mubarak (da non confondersi con le dittature di Saddam Hussein o Gheddafi) ha fatto il suo tempo, è anche vero che non è responsabile in solitario della complessità della situazione di oggi. Il premier ha effettivamente perduto il senso “dell’altezza”, analizza l’inviato del Corriere della Sera Antonio Ferrari, che qualche giorno fa, ha epitetato la situazione come un “cigno nero”. Inoltre non si comprende completamente il ruolo dei Fratelli Musulmani, divisi tra un nucleo conservatore di anziani, e un nuovo blocco di giovani 40enni in attesa di portare la freschezza delle loro proposte. Ma ciò che colpisce, in questa vicenda, è la portata sociale della piazza. Quel sottile filo umano che lega in linea d’aria Atene, Tirana, Tunisi, e il cui vigore corre sul filo del web.

Al di là delle valutazioni di stampo geopolitico che si andranno ovviamente a comporre, qui si è in presenza di una mobilitazione diversa, che poggia su sensibilità multimediali, con un popolo di giovani che intende alzare un dito ed eccepire sulla gravità assoluta del momento, sull’inconsistenza della risposta dei governi, sul caro vita che corre a velocità inimmaginabili, su prospettive future che si scorgono all’orizzonte dalle tinte fosche.

Ma un’analisi seria e approfondita sull’Egitto non può prescindere dai numeri che quel versante custodisce, con il canale di Suez da dove transita la maggior parte dei traffici commerciali, con l’immagine di Paese pivot dell’intera area mediorientale perché il più esteso, con ripercussioni economiche determinanti. E in svariati ambiti, come la sicurezza energetica e l’emigrazione. Certo, l’Europa ancora una volta è in ordine sparso, la stessa Italia ha prodotto solo un misero appello firmato dal ministro degli Esteri Frattini, rivolto ad «accompagnare l’Egitto verso la democrazia» che non può essere sufficiente. Sarebbe servito un maggiore raccordo con l’interventismo statunitense, o la mediazione con la Giordania che nei fatti potrebbe assumere un ruolo rilevante alla luce dell’eventuale uscita di scena di Mubarak. Si tratta di «una pentola a pressione senza valvole di sfogo», l’ha definita Emma Bonino, mentre Barbara Spinelli su Repubblica è stata una delle poche analiste a interrogarsi su quale sarà la strategia di Israele, costretto dai fatti a mutare atteggiamento all’indomani di questa sollevazione.

L’inquietudine israeliana dipende anche dalla nomina dell’ex direttore dei servizi segreti Suleiman a vicepresidente. Di contro non sarebbe saggio dimenticare che Mubarak ha comunque rappresentato l’immagine di un Islam non fondamentalista, quindi più propenso al dialogo e alla ricerca della mediazione. Per di più il popolo egiziano si è sempre distinto per moderazione, per assenza di spunti violenti. Per questo la mobilitazione di questi giorni assume contorni allarmanti.

Senza dimenticare l’alternativa che la stessa piazza ha paventato, l’ex vertice dell’Aiea El Baradei, di cui però molti analisti, pur riconoscendone autorevolezza e competenza negli spunti libertari, ne riconoscono i limiti dati da un’opposizione frammentata e da modalità ancora incerte di attuazione del cambiamento. I manifestanti chiedevano elezioni libere e regolari, oltre alla modifica della Costituzione. Due fatti che si dice siano già nelle corde delle cose che si verificheranno. L’errore che andrà evitato con tutte le forze, è quello di pompare isterismo in un contesto che invece avrebbe bisogno di ragionevolezza.
E per molte ragioni, non solo prettamente egiziane.

08/02/11

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