giovedì 24 febbraio 2011

Dov'è finito il tempo del sostegno in piazza ai magistrati?


Da Ffwebmagazine del 24/02/11

Lontani i primi anni Novanta, quando alcuni esponenti della politica biancorossaeverde erano dalla parte della giustizia, dei valori che ieri si definivano a ragione, (mentre oggi si definiscono a casaccio), di destra. Il rispetto della legge, la pari condizione di imputato dinanzi al giudizio, l’accettazione di una sentenza, il silenzio dinanzi a indagini legittime da parte degli inquirenti, la voglia o semplicemente il richiamo al dovere di onorare codici e carte vergate dai legislatori. E che fanno grande un Paese, lo migliorano, lo aiutano a crescere e ad assolvere, perché no, una funzione pedagogica nei confronti dei cittadini. Disse Anatole France che «la legge, nella sua maestosa equità, proibisce ai ricchi così come ai poveri di dormire sotto i ponti, mendicare per le strade e rubare il pane». Perché le leggi sono la base della democrazia, per questo non ne devono svilire il significato più intimo.

Questa foto del 1992, scattata a Milano durante una manifestazione del Msi a favore di Mani Pulite, ritrae Gianfranco Fini, Pinuccio Tatarella, Ignazio La Russa e Filippo Berselli. Quest’ultimo è oggi presidente della Commissione Giustizia del Senato. Tifoso di provvedimenti che, con il concetto di regole valide per tutti e di ossequio ai poteri giudiziari, hanno poco a che vedere. Perché non basta pensare una legge, occorre anche che essa sia giusta.
E chi in quella foto di diciannove anni fa predicava il rispetto per i giudici che facevano osservare la legge, oggi ha deciso di tramutare quel rispetto in insulto. Il pensiero corre alla macchina dei provvedimenti ad personam per il premier, come i vari lodi, del passato e del presente. Ad esempio, in un “parere condizionato” della commissione Giustizia, vergato proprio dal suo presidente Filippo Berselli, si chiedeva che il cosiddetto ombrello anti-processi previsto dal lodo Alfano avesse maglie più larghe. Al fine di evitare sia per il premier sia per i membri dell’esecutivo i procedimenti antecedenti alla nomina. Una sorta di superscudo, all’interno del quale la commissione proponeva di estenderlo alle alte cariche dello Stato, premier e ministri compresi. Dettaglio che lo stesso Berselli si affrettò a sminuire, dal momento che secondo il suo parere non si trattava di un’estensione vera e propria, bensì della «correzione di una dimenticanza». In quanto quel salvacondotto per reati passati, era semplicemente previsto anche dal vecchio testo del Lodo Alfano. Per intenderci, quello che la Corte Costituzionale aveva bocciato. Lecito chiedersi, allora, come mai quel salvacondotto non fosse transitato anche nel nuovo testo.
Berselli ci tenne a far sapere che «ci si è dimenticati di riprodurlo». Una giustificazione che rientra ormai in quel canovaccio comunicativo sbertucciato che ha avuto il massimo apice nella paradossale affermazione che una minorenne fermata in Questura a Milano, dovesse essere rilasciata perché la nipote del premier egiziano.

Ma Berselli sull’argomento è stato prodigo di argomentazioni: come quando, circa la necessità di assicurare a chi ha incarichi governativi il sereno svolgimento delle proprie funzioni, ribadì che si trattava di un dato che prescindeva «completamente dalla circostanza che i fatti che hanno originato un processo siano antecedenti o meno all'assunzione delle funzioni». Nel senso che il medesimo scudo andava esteso anche al passato, e soprattutto suggeriva che se qualcuno avesse inteso affrontare subito il giudizio, sarebbe stato libero di farlo, con l’opzione di rinunciare all’immunità. Chissà in quanti avrebbero poi “approfittato” della possibilità di farsi giudicare, rinunciando allo scudo: i misteri del Parlamento italiano.
Ma Berselli più volte ha tentato di allontanare sospetti buonisti, solo per proteggere uno, rilevando: «Che cosa c’entra l’amnistia mascherata»? Si tratta di garantire per tutti un processo con tempi certi e ragionevoli anche se, in effetti, dal Senato è uscito un testo che prevede tempi davvero lunghissimi. La norma transitoria si è resa necessaria per impedire una irragionevole disparità di trattamento, discutibile anche dal punto di vista costituzionale”.

Disparità di trattamento è proprio il termine esatto che viene in mente quando si ragiona non solo di giustizia, ma finanche di correttezza istituzionale o di opportunità politica. Che fare dunque? Interrogarsi, andare a rivedere qualche scatto d’annata e ripensare a quei valori storici di cui oggi in molti abusano. Magari soffermandosi sul pericolo paventato da quel proverbio anonimo che ammoniva: «Dove finiscono le leggi, comincia la tirannia».

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