mercoledì 2 febbraio 2011

Le parole della bioetica, oltre l'approssimazione semantica


Da Ffwebmagazine del 02/02/11

Ha scritto Raffaele La Capria: «Ogni volta che riesco a comporre una frase ben concepita, bene calibrata e precisa in ogni sua parte, una frase salda e tranquilla nella bella lingua che abito, e che è la mia patria, mi sembra di rifare l’Italia». Perché oggi accanto alla lingua e alla favella fa purtroppo capolino l’antilingua, l’antiparola. Quel concentrato subliminale di approssimazione, con vaghezza un tanto al chilo, riprendendo il riferimento orwelliano a quello scollamento a cui spesso si assiste tra reale e controreale.

Il problema della veicolazione di notizie in maniera alterata attraverso una terminologia errata è causa di un doppio effetto: controinforma i fruitori di quei fatti e rende disomogeneo il tessuto dell’apprendimento, innescando un circolo vizioso, di parole e voci che le pronunciano, dove si perde di vista l’orizzonte tematico. Situazione che diventa ancor più ingrata e destabilizzante allorquando si discute di ambiti specifici, dalle ripercussioni determinanti ed estremamente delicate, come la bioetica. Chiedere a tutti, addetti ai lavori e non, di far meglio comprendere le parole della bioetica può essere una strada costruttiva per allentare la tensione su un tema controverso e soprattutto per far chiarezza. Quella chiarezza che troppo spesso manca, sia per manifesta inconsistenza degli strumenti comunicativi utilizzati, sia per forzature dolose da parte di chi quegli strumenti dovrebbe utilizzare con parsimonia.

Il seme delle parole va gettato nel solco tracciato, e non sparso alla rinfusa. Si prenda ad esempio il termine “bioetica”, il cui nucleo - riflette il professore Eugenio Lecaldano - è dato proprio dall’etica. E «nessun Parlamento può sentirsi autorizzato a legiferare sull’etica e sul versante della bioetica». O il termine “morte”, di cui si è fatto abuso anche e soprattutto in sede istituzionale. Passando per “politica”, che secondo Lecaldano ha come proprie prerogative quelle di amministrare, sostenere, educare, assicurare: «Questi compiti - si chiede - rientrano per caso nel testamento biologico?». Parimenti è da considerarsi la legge, con un legislatore che deve sì provvedere alla salvaguardia dei diritti dei cittadini, ma non schierarsi e affidare allo Stato la definizione di questioni che attengono la libertà dei singolo. Altrimenti lo stesso legislatore, così come intende stabilire modus del fine vita, si sentirebbe ugualmente legittimato a definire anche altri parametri, stabilendo di fatto il primato dello Stato finanche sulla sfera valoriale che appartiene all’intimo di ogni individuo. In quel caso non si parlerebbe più di “alleanza terapeutica” (altro termine usato impropriamente) in quanto tutto prevede la legge 40 tranne che un’alleanza, intesa come voler unire e non dividere.

Come osservato dal professor Carlo Flamigni «siamo in presenza di un surrogato di italiano» che si sovrappone alla terminologia medica, in un settore delicatissimo, non solo dal punto di vista meramente professionale e tecnico, ma anche sociale. E allora le definizioni siano date in quanto osservazioni attente e ponderate di analisi, valutazioni, controdeduzioni. E non in quanto portatrici sane di verità. Altro esempio la locuzione “fecondazione eterologa”, che Flamigni cita come paradigma dell’inadeguatezza, perché utilizzato a sproposito. Significa accoppiamento con specie diverse, quindi nulla a che vedere con la fecondazione assistita. Mal usato anche il termine “infertilità”, confuso esponenzialmente con sterilità. Per arrivare al termine “embrione”, di cui la legge 40 non ne chiarisce completamente l’esatto inizio.

Chi intende dimostrare certezza o erroneità di tesi o di fatti, secondo il professor Flamigni, dovrebbe almeno definire con certezza i capisaldi dell’argomento. Sembra quasi un invito alla politica urlata che disserta a volte con approssimazione, e che causa anche i primi bacilli della controinformazione. Ma è ciò che potrebbe gravitare attorno a diverse esperienze messe serenamente a confronto, che sarebbe interessante valutare, così come lo stesso componente del Comitato nazionale di bioetica invita a fare quando propone un passo indietro di tutti. Più utile una rinuncia da parte dei diversi soggetti in campo, per poi recarsi metaforicamente su di un’isola, dove ragionare a più cervelli, sì con prerogative ma che non siano immutabili. Sì con proposte, ma che non siano poi minacce. Sì con passi in avanti, ma che non siano scatti solitari. Insomma, con quella ricerca della mediazione, resa ancor più indispensabile dal fatto che l’oggetto della discussione è un qualcosa di estremamente rilevante e delicato. Che non può essere oggetto di eterna contesa o di macabra strumentalizzazione politica.

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