venerdì 11 febbraio 2011

Due leader al tramonto, una zavorra per i loro paesi


Da Ffwebmagazine dell'11/02/11

Nell’antica Grecia si diceva che «nessuna disgrazia può accadere a un Paese, più grave di quella di essere governato da un tiranno vecchio». Come dire, una zavorra dal peso insostenibile, avviluppata come un rampicante di cemento a un’istituzione, dura da estirpare perché insensibile a richiami e a sollecitazioni, incancrenita attorno all’estensione di un potere considerato eterno, un diritto a vita che nessun altro comune mortale avrebbe potuto non solo mettere in discussione, ma anche solo scalfire.

Ecco, lungo le coste di quel grande e affascinante lago salato che è il mar Mediterraneo, spira un peculiare vento di cocciutaggine, che fa dell’insistenza il suo filo rosso. Con due leader stanchi, passati e appassiti che escludono a priori la possibilità di passare la mano, di contribuire a far respirare ai propri Paesi un’aria fresca e nuova. Due leader, (paradossalmente accomunati da quella presunta nipote dell’egiziano, che nipote non è) i quali fingono di non vedere i risvolti che la loro ostinata permanenza sta consolidando nelle piazze e nelle anime dei cittadini.

Così, in una piazza afosa e dai richiami storici affascinanti, Il Cairo, la sollevazione giovanile dal web si è spinta nelle strade, con un popolo sull’orlo della disperazione dopo anni di corruzione e vulnerabile alla crisi finanziaria per mancanza di misure adeguate, con l’Islam moderato dei Fratelli Musulmani, all’interno dei quali scalpita una nuova generazione di 40enni che vorrebbero avanzare proposte e idee lontane dall’ultraconservatorismo degli anziani. Ma il capo, Hosni Mubarak, ancora insiste: «Poteri a Suleiman, resto fino alle elezioni», annunciando orgoglioso di voler rifiutare «diktat da altri Paesi» e soprattutto senza ricorrere alla parola dimissioni. Quasi che fossero un’offesa per governanti ancora rivolti a certe impostazioni medievali.

Duemila chilometri più a nord, in quell’agorà dello ius che ha dato i natali a raffigurazioni storico-artistiche-culturali di rilevanza mondiale, un altro leader stanco che ormai appare privo della necessaria bussola valoriale e mentale, si trascina, al pari del suo collega egiziano, senza prospettive costruttive, ma solo per l’inerzia di una contrapposizione perenne. Mentre nelle piazze si odono le voci inascoltate dei giovani, come dimostrano le manifestazioni studentesche di qualche tempo fa, ed è in corso una guerra tra poteri resa ancor più gravosa dalle parole e dai comportamenti incendiari del premier che, anziché ricercare una pacificazione istituzionale, fa di tutto per replicare alle accuse con attacchi e pericolose delegittimazioni.

Un premier che di sé offre esempi degradanti, come l’insulto alle istituzioni che egli stesso dovrebbe rappresentare e quindi difendere. Innescando un clima surreale, con fogli in edicola che consumano le rotative pur di non far mancare al leader il sostegno continuo per ogni virgola che posa, con doppi paraocchi indossati giorno e notte; svilendo il tessuto sociale di un Paese in affanno e le speranze di chi, per missione, guarda al cambiamento; e tormentando quotidianamente chi ancora crede nello Stato e in quella locuzione magica (sovente abusata) che prende il nome di bene comune.

Entrambi gli anziani leader, senza energie propositive, senza spunti innovativi, stanno portando i rispettivi Paesi qui alla confusione e lì alla deriva. In quanto sono essi stessi causa di ritardi, di immobilismi deleteri, di isterismi, di fazioni in eterna lotta, fino al delinearsi di scontri durissimi di cui non si intravede all’orizzonte la minima speranza di conciliazione. Nonostante il lento logorio di consensi millantati, testimoniato da percentuali che di fatto ne hanno visto in calo il gradimento, il leader di casa nostra da tempo ormai non gode più della fiducia della maggioranza degli italiani, nonostante continui a proclamarsi amato e longevo. Da tempo non riscuote considerazione dalle fasce produttive, da chi il Paese muove in virtù del proprio impegno lavorativo, dai lavoratori delle fabbriche, dai liberi professionisti, dal cosiddetto popolo delle partite Iva, dal Settentrione che produce e che gradirebbe maggiori provvedimenti fiscali per la ripresa, dal Meridione ancora menomato da infrastrutture annunciate e rimaste sulla carta.

Entrambi i leader non hanno compreso come la maggioranza dei due popoli semplicemente non sia più dalla loro parte, perché si è resa conto di un fallimento, di anni di promesse, di migliaia di parole e slogan al vento, ideali forse per ingannare cittadini ingenui e speranzosi. Ma che poi, quando è giunto il momento della traduzione in atti concreti, quelle scintillanti favelle si sono magicamente trasformate in foglie secche. Chi si aspettava illusoriamente alberi rigogliosi, fiori profumati e una flora rigenerante, ha dovuto ricredersi e assistere al dequalificante spettacolo della desertificazione sociale e culturale.

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