"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
venerdì 18 febbraio 2011
Quei battaglioni (camuffati da politici) che assediano la Carta
Da Ffwebmagazine del 18/02/11
Nell’inverno del 1947 in Italia «l’unità prevalse sulla divisione». E Pietro Calamadrei ebbe a scrivere che la Carta Costituzionale appena nata, scaturì dal confronto «tra i partiti a un libertino di mezza età, cui un amante giovane abbia strappato via tutti i capelli bianchi per ringiovanirlo, mentre l’anziana moglie gli abbia tolto quelli neri per renderlo più vecchio». Mentre Croce la epitetò come un «concedere ed ottenere». Ecco la misura che oggi manca al Paese, la ricerca affannosa della condivisione di esigenze e necessità, consapevoli che la posta in palio non è la rendita di posizione per questa o quella fazione, ma la sopravvivenza di un intero sistema.
Un sistema che non sarebbe saggio appiattire, uniformare alla volontà mentale di un solo neurone, anche perché nemmeno i costituenti «suonavano tutti il medesimo spartito, se è per questo non cantava all’unisono nemmeno il popolo italiano». Ma ciò che il costituzionalista Michele Ainis nel suo L’Assedio - la Costituzione ed i suoi nemici intende rilevare, è che oggi quel tentativo così storicamente pregnante e determinante, è al centro di un vero e proprio attacco concentrico. Portato avanti da chi ne dovrebbe garantire l’osservanza e la custodia. L’illegalità attecchisce e si riproduce in virtù di quel “rapporto truffaldino” che esiste tra la politica italiana e la Carta Costituzionale. Ainis si chiede, dunque, come si possa prendere sul serio le leggi in vigore, «quando la legge più alta viene costantemente vilipesa?». E ancora, «dove ritrovare le energie per contrastare questo andazzo, se il cattivo esempio viene dalle nostre classi dirigenti»? Da coloro che, per missione, dovrebbero avanzare un giusto modello da inseguire e da far osservare.
Un gioco al ribasso lo inquadra Ainis, con un campo di battaglia surreale che vede la Costituzione accerchiata da vari soggetti che la pressano, la stressano, ne sviliscono dolosamente la rilevanza socio-infrastrutturale per il Paese. «Truppe ben armate - le definisce l’autore - e senza alcuna vergogna di sé e delle proprie proposte». Proposte istituzionalmente indecenti come l’attuale legge elettorale, che causano quel corto circuito socio-culturale con il tessuto della Nazione. Dove accade che, essendo il potere concentrato nelle segreterie dei partiti e solo lì, si inneschi un perverso sistema di genuflessione «dinanzi ai mandarini», anelandone favori, auspicandone cenni con la testa che rappresentino un pollice non verso.
O dove accade che a essere circondato sia lo stesso Parlamento (abitato da nominati, che schiacciano meccanicamente un pulsante; con un uso della fiducia straripante; con produzione legislativa dei deputati ridotta ai minimi termini), o la magistratura (insultata e perseguitata a seconda di chi indaga; privata delle risorse essenziali, finanche per il carburante o la cancelleria), o i valori stessi scritti in quella Costituzione, o diritti costituzionali forse troppo deboli, e altri magicamente rafforzati da pratiche ormai abituali. Ma che continuano ad essere incongruenti, come il concetto stesso di concorrenza, o di egualità dinanzi alla legge, o di concentrazione smisurata di poteri nelle mani di chi quei poteri può disporre anche - e soprattutto - nei confronti dello Stato che rappresenta.
Ecco che il volgere lo sguardo indietro al dicembre del 1947 non è esercizio stucchevole o ingannevole, come qualche penna superficiale si ostina a vergare, ma è utile per ripercorrere momenti in cui «una generazione attraversò un tornante della storia, uno di quei frangenti eccezionali nella vita di popoli da cui dipende la loro libertà». Ainis si chiede a questo punto se sia il caso di augurare al Paese un’altra guerra, al fine di recuperare “la nostra identità perduta”. Ovviamente no, ma ricorda un momento di quel 22 dicembre, quando Meuccio Ruini, a capo della Commissione dei 75, consegnò la Carta nella mani di Umberto Terracini, e in quell’istante si alzò l’inno di Mameli dalle tribune occupate dai reduci garibaldini. Quell’unione, tra morti e vivi, vincitori e vinti, presenti e pensanti, rappresentò un esempio di alta condivisione nazionale e risorgimentale.
È quello il dialogo che oggi latita, di cui si sente drammaticamente la mancanza. Quella predisposizione ad ascoltare le ragioni dell’altro, «senza sopraffarle gonfiando tendini e bicipiti», consapevoli che si tratta di valutazioni che richiedono la ricerca di un compromesso, un punto in comune, per poi ricominciare a marciare. Ovvero decisioni che attengono il Paese di tutti, e non di una sola parte. Che rischierebbe di stravincere questa guerra assurda e controproducente, e rimanere unica forza sul campo. Ma un campo di macerie.
Michele Ainis
L’assedio, la Costituzione e i suoi nemici
Longanesi
pp. 263, euro 15
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