Da Ffwebmagazine del 16/02/11
Ha scritto Roger Scruton che le «ideologie totalitarie sgorgano da una sola fonte: il rancore». Quel vento del male sul quale spirano i cigni neri della storia, che sovente si affaccia nelle vite e nelle anime dei cittadini, con folate aspre e danni perpetrati a popoli e civiltà.
C’è un popolo, nell’Europa unita e ultramoderna, che ha rischiato di scomparire dalla cartina geosociale del continente. Circa trecentocinquantamila elleni del Ponto sono stati massacrati tra il 1916 ed il 1923: per lo più donne e bambini trucidati dal kemalismo, scrivendo una delle pagine più tristi di quel libro leggero e quasi trasparente che non si trova su scaffali color indaco in librerie o sui siti specializzati. Perché è come se non fosse mai stato scritto. E’il libro delle minoranze, di cui in pochi si appassionano, di cui pochi si occupano, approfondiscono, travolti dal moto globalizzante di un’Unione che spesso lo è meramente solo sulla carta.
Che non si sforza a sufficienza di essere unita nelle diversità, di abbracciare le peculiari anime che hanno convissuto pacificamente, sino a quando la barbarie della violenza ha deciso di agire. Nemico senza colore e con l’unica bandiera del sangue, che tutto abbatte come una furia cieca.Dettagli scandagliati nel volume La questione pontiaca come questione europea ed internazionale, da Michalis Charalambidis, intellettuale greco, tra i fondatori a soli ventitre anni del partito socialista Pasok, diventandone tra l’altro una delle coscienze più critiche, in quanto libero pensatore fuori dagli schemi. Dove ripercorre la battaglia per il riconoscimento di quell’aggressione, partendo da un articolo scritto nel 1986 per un quotidiano ateniese all’indomani di un viaggio in Russia, che lo condusse a verificare i diritti del popolo Tuva, dell’Asia centrale. Charalambidis affresca due scenari: un piano culturale e pedagogico, e uno istituzionale. All’interno del primo gravitano le nozioni storiche, con la vicende del Ponto che si intrecciano con quelle dei padri spirituali dell’Europa, come il geografo Strabone, o Diogene di Sinopi, che coniò il termine “cosmopolita”. Passando per Bessarione, tra l’altro oggetto di un volume edito dall’International League for the Right and Liberation of Peoples di Ginevra. Si tratta di alcune tessere di stampo culturale che dovrebbero essere rimesse nella giusta collocazione della storia, al fine di armonizzare quella fase di allargamento a est dell’Europa che da qualche anno si sta con lungimiranza attuando. Ma prima che aprire frontiere materiali e spostare dogane sulle mappe, sarà utile pacificare le ferite del passato, le anime di chi quell’Unione ha secoli prima contribuito ad impostare. Ed ecco quindi l’impulso istituzionale, con l’Ue chiamata a dare continuità ai singoli slanci pro minoranze, con risoluzioni a favore di Armeni, Curdi, Grecociprioti che meritano sostegno anche in chiave extracontinentale. Gli studi di Chalambidis risultano preziosi per comprendere quante pagine di storia siano negli anni state dimenticate. Per questo nel 1983 fondò la sezione ellenica della Lega Internazionale per “I Diritti e La Liberazione dei Popoli (Lidlip)”, organizzazione non governativa di grande prestigio, riconosciuta dall’Onu e fondata dall’intellettuale e politico italiano Lelio Basso. La Lidlip rappresentò una delle componenti del cosiddetto «sistema Basso» assieme al "Tribunale Permanente Internazionale dei Popoli" e alla "Fondazione Basso", raccogliendo nel corso degli anni la parte più vivace della compagine intellettuale ed accademica mondiale. Ma lo sforzo di Charalambidis è stato anche quello di cercare sponde istituzionali, come quando in qualità di membro del comitato esecutivo del Consiglio internazionale della Lidlip, ha presentato e difeso dinanzi alla Commissione per i Diritti Umani di Ginevra, le rivendicazioni e le giuste motivazioni avanzate da molte minoranze etniche di tutti i continenti.Più recentemente la Libera Università di Berlino, Studi Orientali, ha pubblicato gli atti di una conferenza sui genocidi dei cristiani nell’Impero ottomano che ha avuto come uno dei relatori principali Michalis Charalambidis; atti che hanno visto la luce con il titoloVerfolgung, Vertreibung und Vernichtung der Christen im Osmanischen Reich 1912 – 1922, Tessa Hofmann (Hg), Studien zur orientalischen Kirchen – geschichte – LIT.
Nel marzo 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, i Comuni della Provincia di Trento hanno pubblicato in italiano il libro Aspetti della Nuova Questione Orientale, già edito dall’intellettuale greco (che si è laureato alla Sapienza di Roma), in lingua inglese nel 1998 con il titolo Aspects of the New Eastern Question, frutto, tra l’altro, dell’ammirazione dell’autore per il cardinale Bessarione e la comune provenienza dalla città di Trebisonda nel Ponto.Uno spunto, quello letterario offerto da Charalambidis, (impegnato in un ciclo di conferenze in alcune città italiane), che potrebbe essere utile per stimolare i vertici europei a valutare con attenzione e con il rispetto che meritano, le minoranze armene, curde, cipriote e pontiache che nell’ultimo secolo hanno sofferto persecuzioni e violenze ingiustificate. In un’ottica di serietà con cui valutare fatti e accadimenti, sui quali finalmente chiudere i conti. E da cui ricominciare per dare intimamente riscontro al grande continente che circonda quel mega lago salato che è il Mediterraneo.
Magari ricordando quel sogno che Pablo Neruda affidò a poche righe nella summa «Confesso che ho vissuto», quando si lasciò andare ad un vero e proprio testamento socio-culturale: «Io voglio vivere in un mondo senza scomunicati. Voglio che si possa entrare in tutte le Chiese e in tutte le tipografie».
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