martedì 22 febbraio 2011

Un gong per uscire dall’arena in cui il Paese è stato confinato


Da Ffwebmagazine del 22/02/11

C’è chi lo percepisce come una marmellata appiccicosa e unta che scivola dalle mani di tutti. O una deriva qualunquista degradante e approssimativa. O quel vento che spira deciso verso animi estremamente disponibili e sensibili a richiami più beceri. Il berlusconismo, però, è altro. Non è solo il macroscopico buco nero che si erge nel Paese e che lo sta addentando voracemente, visibile a tutti i commentatori stranieri. Con i suoi conflitti, con mezzi di legittimazione del potere oggettivamente enormi, con la mancanza di riguardo verso le istituzioni, le regole del gioco e finanche per il gioco stesso. Non è solo il macigno pachidermico e ingombrante che si scaglia contro le infrastrutture dell’Italia, verso chi non aspira a intercettare le graziosità del Capo per realizzare i propri sogni, spuntando le armi degli avversari, senza rispetto per il fair play.

Ma è quel sottile fiume carsico che si è insinuato nella quotidianità, quel libro delle scorciatoie dove il percorso più breve è stato scelto anche per spiegare, con meno fatica, fatti e opinioni. È la contrapposizione degna di un’arena, come accade nei pollai televisivi, dove manca solo il toro al centro della scena con lame sanguinanti conficcate nel suo dorso.
Hanno accusato la giovane cantante Emma – che ha detto di aver partecipato alla manifestazione delle donne “Se non ora quando”? – di essere perbenista, ipocrita e simpatizzante comunista… con tanti saluti alle idee, alle percezioni del singolo, al modello a cui quella ragazza si è ispirata nel corso della sua vita. Con i centinaia di pendolini sui quali è salita per portare i provini a Milano, con i sacrifici fatti dalla sua famiglia, con il rifiuto orgoglioso di quelle famose scorciatoie che stanno emergendo, volgari e diffuse, da questi mesi di cronaca. Che saranno andati agli annali certamente come non proprio qualificanti, il modo peggiore per chi, avendo in mano il timone del Paese, dovrebbe ricordare con più dignità i centocinquant’anni dell’Unità.

Berlusconismo è non tenere conto di decine di piazze italiane, riducendole semplicemente a gente fatta arrivare appositamente con pullman, come qualcun altro in passato ha diligentemente fatto. È sminuire la voce di chi vede in grave pericolo non solo il proprio domani, ma anche lo stesso oggi. È voler sfondare la porta di casa di ciascun cittadino per spiegare un complotto ordito ai danni di chi non sa governare un Paese. È voler evitare di biasimare se stesso, alludendo agli errori degli altri. È giustificarsi per giustificare il non dover pagare pegno.

Berlusconismo è fame di ring, quel tipo di habitat che ormai imperversa dappertutto e non solo negli schermi televisivi, perché si riverbera nelle case dei cittadini (non di tutti per fortuna), nelle agorà di un tessuto sociale che si trova dinanzi a un bivio: proseguire in questa assurda contrapposizione applicata con scientifico metodo a tutti gli argomenti, persino alla dissertazione su pandoro o panettone. O maturare la consapevolezza che è arrivato il momento di invertire la tendenza, di stracciare un immaginario fasullo e controproducente, che incattivisce, che dequalifica, che illude migliaia di cittadini. Che dovrebbero essere stimolati a un risveglio brusco e perché no traumatico.

Berlusconismo non è la macchia di sugo sulla camicia bianca, ma il granello invisibile di polvere sotto le unghie, una lama sottilissima che divide tutto e tutti come un mela. Buoni di qua e cattivi di la, in una perenne divisione conseguente a un’idea: “Se dici quello, beh allora è evidente che…”. Come si percepisce in numerosi dibattiti, analisi, persino in scelte culinarie. Un incubo per il Paese della scienza, dell’arte, della letteratura. Il Paese di Leonardo, di Vico, di Galileo, di Mameli, di Giordano Bruno, arso perché orgoglioso delle sue idee. Lo ha ribadito anche Roberto Benigni su un palco dove l’atteggiamento bipartisan è venuto a noia, anche a chi ha dovuto osservarlo. “Svegliatevi”, ha detto a un popolo. Perché assopirsi è pericoloso. Smussa la capacità critica, arrotonda le punte dei neuroni attivi, smorza velleità, abbassa la guardia.
Non è più una questione solo politica, fatta di numeri, di poltrone, di rimpasti e di prebende. Qui c’è in gioco più di uno scranno, di un cda, di qualche candidatura che sarà utile a riempire il curriculum dell’ennesimo yes-man. Qui si sta delineando il prossimo ventennio dell’Italia, delle sue aspirazioni sociali, delle sue ambizioni europee, delle nuove sfide occupazionali, dei sogni più intimi di tutti i cittadini.

E allora sarà proprio l’analisi antropologica del berlusconismo che andrà attuata in un regime di pacificazione, come saggiamente ricordato dal capo dello Stato su Repubblica, quando ha invitato a valorizzare «quel che ci unisce come Nazione e ci impegna come Stato unitario di fronte ai problemi e alle sfide che ci attendono».
Espellendo dalle menti di ognuno i germi di fazione, suonando il gong all’anima dell’Italia. Per uscire finalmente da quell’arena sguaiata dove qualcuno da tre lustri ha cercato di ingabbiare un Paese. Ma le cui sbarre si stanno piegando, come le nuove piazze “risorgimentali” hanno ampiamente dimostrato.

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