venerdì 25 febbraio 2011

Se Ferrara diventa il clone di Mora


Da Ffwebmagazine del 25/02/11

Si scaglia contro chi non sa come è fatta l’Italia, contro i suoi amici del New York Times e dell’Economist e contro chiunque ignori come siano «disposti sullo scacchiere della nostra altissima spiritualità politica i vari elisir d’amore, le danze allegre e ruffiane, i dialoghi da commedia dell’arte». Prova vergogna per «mentori azionisti, neopuritani, giacubbini, impiccioni, ficcanaso».

No, Giuliano Ferrara - che ieri dalle colonne del suo giornale chiedeva le dimissioni di Fini impugnando beffardamente lo slogan "se non quando ora" - sta andando oltre una semplice ma pur pretestuosa e dannosa battaglia ideologica. Oltre un’appartenenza forzosa al padrone che ordina e che dispone, con la conseguenza che il sottoposto esegue. Oltre una pur ammirevole ricerca affannosa di mille e più arzigogolate giustificazioni utili, forse, a riempire un teatro tra militanti scalcianti e cervelli a cui parlare in serie. In un articolo sul Foglio, ha fatto di più, o in base al giudizio che poi un lettore ne offre, forse molto (qualitativamente) meno. Ha svilito se stesso, dispiacendosi di non essere stato lì, nell’arena del capo con Mora.
In una conversazione con il corrispondente della Sueddentsche Zeitung, confida di aver (ovviamente) difeso Berlusconi, dicendo di lui che «ci ha giocosamente cambiati. I suoi nemici assoluti sono orrore puro». Ha ragione sul fatto che aver cambiato, ma aggiungiamo per fortuna non tutta l’Italia, di cui resta orgogliosa una bella fetta di indignati e di gente che si vergogna di ciò che accade.

Prova (lui) vergogna per «mentori, azionisti, neopuritani, giacubbini, impiccioni e ficcanaso», anziché per chi vuole male ad una Nazione che non guida più, perché sfinito da altro. Dice di aver cambiato ottica (e fin qui nulla di male), ma lo ha fatto non per ponderate maturazioni intellettuali, o per verifiche su ciò che riteneva fino a ieri. Bensì di fronte «alla più canagliesca e torbida inquisizione, all’incapacità di capire cose stanno le cose di quei giornali che sono letti alla luce dei lampioni che cercano il sole».

Ecco la metamorfosi giullaresca di un bravo cantastorie che oggi non le racconta più e soprattutto non fa più né ridere né piangere. Non si chieda perché non era con Mora, ma si chieda come ne è diventato fedele clone, assieme all’assurda voglia di chiudere un occhio, di sghignazzare su vizi privati e mancate pubbliche virtù. E contribuendo a scrivere quel libro della comoda menzogna, dove al Paese e alla vita di tutti si sostituisce un limbo melmoso di cerapongo, nel quale le singole scenografie si assemblano grazie ai soldatini-giornalisti. Che, anziché scrivere della luce, dipingono un buio che un momento dopo è anche meriggio o fino a essere ombroso ma anche luminoso.
Quando ha scritto, peccato, «perché non son io con Mora?», lo ha fatto non solo per far passare l’ennesimo messaggio subliminale (travestito da fine intellettuale) pro-peccatore Silvio, in verità tanto semplice quanto dequalificante, e non per un penstore ma anche per un semplice cittadino. Soprattutto ha utilizzato la falsa arma del contro giacobinismo, della pseudo clava intellettuale da brandire contro chi si scandalizza, contro chi eccepisce. Ancora una volta spostando i termini della questione, cambiando i parametri alle analisi, e appiccicandoli, con quel metodo limaccioso più volte utilizzato nell’ultimo biennio dal resto della squadra delle pink-pen, all’occorrenza contingente del capo.

Con due drammatiche conseguenze: non dire tutto, evitando di citare, ad esempio, le ripercussioni politiche, giudiziarie, sociali di quei fatti sul tessuto produttivo Paese, sulla nazione, sulle istituzioni, sull’immagine becera che dell’Italia si offre all’estero. E poi prendendosi gioco dell’intelligenza altrui, assolvendo a una funzione pedagogica erronea, come quel genitore che invoglia il figlio a drogarsi o a picchiare chi ha parcheggiato prima di lui, tanto lo fanno tutti e non c’è nulla di cui vergognarsi.
E le regole della civile convivenza? E il rispetto dell’altro? Ancor più gravemente latitante da chi si dice liberale, assetato di quella voglia scompaginatrice del “primo Berlusconi”, per intenderci quello che prometteva un milione di posti di lavoro, meno tasse per tutti, un Pese migliore, solo forse, nel cartone animato di Alice nel casino delle meraviglie? È questa l’analisi frutto di anni di studio e di riflessioni a cui si dovrebbe credere? Tutto qui?

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