mercoledì 3 ottobre 2012

«Enzo Tortora, prima di tutto un uomo per bene. La politica? Troppo distratta o troppo complice»

«Giustizia è igiene, usava ripetere Enzo, è l’aria che respiriamo. Per questo – confessa a Italiani quotidiano Francesca Scopelliti – la riforma della giustizia è di basilare importanza. Anche se è ferma al palo per colpa di una classe politica troppo distratta, o forse troppo complice. Basta tifo da stadio, solo così riusciremo a riprendere quella battaglia».
Come un errore giudiziario può sconvolgere la vita di una persona: cosa ha apprezzato della fiction “Il caso Enzo Tortora-dove eravamo rimasti?”
Il fatto che sul piano giudiziario abbia svolto un’operazione-verità, raccontando l’infamia del caso Napoli che ha inchiodato alle proprie responsabilità i magistrati che hanno firmato quell’esperienza vergognosa. Ha inoltre ridicolizzato e messo in evidenza le contraddizioni del pentitismo, esaltando la dignità e la moralità di Enzo. Emerge il suo essere un uomo per bene, che in ogni momento di quella vicenda ha saputo non chinare mai la testa, rappresentare le proprie ragioni fino alla fine, sia come detenuto che come parlamentare europeo. Quando, per presentarsi dinanzi ai suoi giudici, si dimise tornò ad essere uomo libero. Un dato paradossale se riferito a oggi, quando invece molti si fanno eleggere o addirittura si fanno nominare ministri per non essere giudicati.
Una battaglia, ripeteva Tortora, «non contro la giustizia, ma per la giustizia». Come riprenderla oggi?
La tristezza più grande che provo, aumentata esponenzialmente vedendo il film e rivivendo di conseguenza tutti quei momenti, è che la vicenda di Enzo non abbia insegnato nulla. La classe politica troppo distratta, o forse troppo complice, non ha saputo fare del caso Tortora un’occasione per riformare il paese. Ciò perché in Parlamento vi sono da una parte troppi amici della magistratura, dall’altra troppi nemici. L’assenza di una serenità del giudizio e dell’obiettività del legislatore,  ha impedito che si facessero le riforme necessarie. Anche per evitare un nuovo caso Tortora.
Ragionare a bocce ferme sulla separazione delle carriere potrebbe essere un punto di partenza?
Ho sempre sostenuto come innanzitutto ci sia bisogno di una riforma culturale, riferendomi anche all’educazione di chi, appena laureato in legge, si appresta ad affrontare il concorso in magistratura. Quando si parla di cultura si parla anche di buon esempio. Devo dire che oggi i magistrati purtroppo non lo sono. Ovviamente vi sono anche i provvedimenti strutturali da prendere: ricordo che l’ultimo atto di Enzo prima di morire è stato voler promuovere, assieme a Marco Pannella, il referendum sulla responsabilità dei magistrati. Vinto nel 1983 con i numeri, ma poi tradito in Parlamento da una politica troppo genuflessa davanti a chi non voleva quella riforma. Sulla separazione delle carriere non capisco come, ancora oggi, Giovanni Falcone venga additato come esempio, senza però fare tesoro di questo suo assunto: «Il pm non è un giudice, ma una parte da contrapporre alla difesa». Il giudice deve essere terzo.
Senza dimenticare il libero convincimento del magistrato…
In quel caso decide sulla base di sue personali valutazioni ma, mi sia concesso dire, a volte anche in base a delle sue sensazioni. Chi gli attribuisce quel tipo di potere?
L’attualità ci conduce ad occuparci quotidianamente di spread e mercati. Ma rischiano di passare in seconda fila tematiche altrettanto delicate come la legalità e la giustizia?
È quello che temo. Ci si dimentica, come ripeteva Enzo, che parlare di giustizia vuol dire parlare di igiene, dell’aria che ognuno di noi respira, della nostra vita quotidiana. In quanto viene coinvolta la reputazione, la divisa, il lavoro, la famiglia di ognuno. Mi auguro che dalla fiction sia venuto fuori il dramma che la famiglia vive, dopo l’accusa ingiusta e infamante a Enzo. E allora quando si parla di giustizia bisogna capire che questa parolina comprende molti altri aspetti della nostra vita. Inoltre mi auguro maturi la consapevolezza che non può esserci sviluppo finanziario, o nuovi investitori se la nostra giustizia (intesa anche civile) accusa i difetti di sempre: lenta, farraginosa, incerta, priva di garanzie e responsabilità. Un legislatore attento dovrebbe anche prevedere aspetti simili. Credo però che la casta di una certa magistratura sia molto forte. Anche questa campagna circa la procura di Palermo, la trovo veramente fuori luogo, perché non siamo allo stadio: non ci sono squadre del cuore o tifoserie contro. Invece ormai la politica italiana, ancor più sotto l’aspetto della giustizia, si è trasformata in un incontro di calcio. Chi è favore di Ingroia, chi contro.  Tutto ciò mi rattrista profondamente, anche perché si tratta di un atteggiamento che non serve a nessuno, neanche a quelle persone con cui mi sento di poter condividere un percorso.
Fonte: Italiani Quotidiano del 3/10/12
Twitter@FDepalo

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