giovedì 18 ottobre 2012

Grecia, scontri tra polizia e manifestanti ad Atene: un morto

Iorgos fa l’editore e lo Stato è in debito con lui di centinaia di migliaia di euro. Ioannis è un pensionato e deve alle banche alcune rate della sua auto. Due facce, diverse,  della stessa (tragica) medaglia che si sono ritrovate oggi in piazza per protestare insieme contro il memorandum della troika. Lo sciopero generale in Grecia, il secondo in tre settimane, ha mobilitato tutte le categorie: dai dipendenti pubblici ai giornalisti, dai medici alle navi e ai traghetti. Paese bloccato ed ennesimo grido di allarme ellenico lanciato, non solo ai piani alti della finanza mondiale, ma questa volta anche ai cittadini stessi dell’Unione che assistono a ciò che potrebbe verificarsi anche altrove. Momenti di tensione nella centralissima piazza Syntagma che si affaccia sul parlamento, quando alcuni individui incappucciati hanno lanciato molotov contro gli agenti delle forze dell’ordine. Che hanno replicato con i lacrimogeni. Un 67enne è stato colpito da infarto ed è morto dopo il trasporto in ospedale. Piccoli scontri si sono susseguiti nelle strade adiacenti il centro della capitale ellenica, specialmente nella pedonale odòs Ermou, che dalla Camera conduce nella turistica Plaka sin sotto l’Acropoli. Sul lato opposto, nei pressi del boulevard Vassilisa Sofia, un gruppo di manifestanti ha riconosciuto il deputato di Syriza Lafazani, e lo ha insultato: “Non state facendo nulla nemmeno voi, andatevene tutti”.

Le storie di Iorgos e Ioannis sono agli antipodi, ma finiscono per convergere. Il primo attende che lo Stato gli renda i quattrocentomila euro che deve alla sua azienda da tre anni: in caso contrario potrebbe pensare seriamente di licenziare qualcuno dei suoi cinquanta dipendenti. Il secondo era professore ad un liceo industriale e quando è andato in pensione riceveva ogni mese un assegno di 1.700 euro, oggi solo 1.200. Facile capire come in Grecia, a tutti i livelli professionali, le cose siano cambiate in fretta e rischiano di precipitare in un baratro di cui non si vede la fine. Con una consapevolezza del problema che è, di fatto, sempre più trasversale. Ioannis ha sempre votato il partito conservatore di Nea Dimokratia, ma lo scorso dicembre ha partecipato dinanzi al Parlamento al lancio degli yogurth. E oggi, pur aderendo allo sciopero indetto dai maggiori sindacati di sinistra del paese, ammette di non voler dare il proprio voto più a nessuno, “perché sono tutti uguali, nessuno ama veramente la Grecia e l’hanno venduta a chi ci renderà schiavi”.
In piazza dunque i sindacati Pame, Gsee e Adedy: taxi fermi fino al pomeriggio inoltrato, navi e aerei cancellati per l’adesione dei controllori di volo. Oltre a servizi pubblici, scuole, ospedali, enti di previdenza sociale, servizi di pubblica utilità. Con decisione della Confederazione Nazionale del Commercio Greco anche lo shopping è stato interrotto, con la protesta di artigiani, commercianti e piccole e media imprese. Atene è rimasta senza alcun tipo di trasporto nelle prime ore della giornata. E dopo che mercoledì avevano “abbassato le saracinesche” medici, farmacisti e ufficiali giudiziari, per protestare contro le misure del governo che riguardano i loro settori di avanzamento, con relativa marcia verso il Ministero delle Finanze. In totale una tregiorni di astinenza a livello nazionale, che comprende venerdì anche gli avvocati.

Ma la giornata di “aperghia” porta con sé anche numeri inquietanti. Vengono dalla Fondazione Bertelsmann secondo cui un ritiro della Grecia dall'euro porterebbe con sé una deflagrazione europea e addirittura internazionale. Secondo uno studio pubblicato in Germania vi sarebbero danni ingenti per 1.200 miliardi di euro principalmente per i membri dell’Ue e in seguito anche per i 42 paesi più industrializzati del pianeta. Il default ellenico “per l'economia mondiale sarebbe economicamente gestibile”, scrive lo studio ma potrebbe avere un quasi certo effetto contagio per Portogallo, Spagna e Italia. E abbozza anche qualche cifra: per la Grecia lo scenario di un default sovrano, comporterebbe una massiccia svalutazione della nuova moneta greca. Con una ancor più grave disoccupazione. Le 42 economie più importanti del mondo potrebbero affrontare una perdita che andrebbe ben al di là dell’attuale esposizione da 674 miliardi di euro. Ma sarebbero, secondo la Fondazione, gli scenari collegati a creare panico internazionale: se ci fosse, ad esempio, come conseguenza un crack in Portogallo la Germania perderebbe almeno 225 miliardi di euro entro il 2020 e rinuncia al credito richiesto di 99 miliardi di euro. A livello mondiale le perdite cumulate di crescita si sommano: già gli Stati Uniti e la Cina sarebbero interessate con 365 e 275 miliardi di euro. Dopo Atene Madrid: l’uscita della Spagna viene calcolato in almeno 200 miliardi di danno nell’Ue. Uno scenario, quello prospettato dallo studio, che viene però preceduto dalle pulsioni sociali. Che sono sfociate non solo nello sciopero generale con mezzo paese praticamente bloccato, ma negli episodi della quotidianità. Con ronde che prima distribuiscono pasti caldi agli indigenti greci (e solo a loro) e un attimo dopo prendono a catenate in faccia un ragazzo di 21 anni scambiandolo per “negro”, per via del colore scuro della pelle, quando invece era un cittadino greco e di padre egiziano. Ecco il corto circuito sociale, il vero figlio della bancarotta ormai a un passo, ma che nessuno ancora ufficializza.
Sul retro di un autobus oggi troneggia una scritta: “Né destra, né sinistra. Ora Chrisì Avghì”. Altro che troika, questo è il pericolo “waimaeriano” della Grecia post crisi. A cui nessuno sta purtroppo dando credito.

Fonte: Il fatto quotidiano del 18/10/12
Twitter@FDepalo

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