mercoledì 17 ottobre 2012

«Altro che crisi, fiducia in noi stessi. Per ritrovare l’orgoglio di essere italiani»

La crisi esiste, ma ciò che manca è la fiducia in noi stessi, osserva Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera e autore di vari pamphlet sull’Italia di oggi. E che, in L’italia s’è ridesta (Mondadori, prefazione di Ferruccio de Bortoli), nelle librerie da domani, stimola i sessanta milioni di cittadini bianchirossieverdi ad avere più coraggio. Per soddisfare la domanda di Italia che c’è nel mondo.
Perché l’Italia di oggi è un paese di cattivo umore?
Perché c’è la crisi e siamo spaventati perfino al di là delle sue reali dimensioni. Il più grande problema dell’Italia di oggi è la mancanza di fiducia. Si possono fare tutte le riforme che si devono attuare, ma se poi manca proprio la fiducia, allora non servono a nulla. Inoltre si deve investire sulla scuola e sull’università, ma se le famiglie non potranno permettersi di mandare i propri figli in qualche facoltà allora anche questo non servirà. Come sulla formazione, ma se poi gli operai non possono usufruire di quei corsi, anche quella sarà una mossa inutile. Si può e si deve rendere più facile per un giovane aprire un’impresa, ma se poi manca l’idea o il coraggio di fare un passo non si va da nessuna parte. Ecco perché penso che oggi manchi la fiducia. Posso aggiungere una cosa? Il libro cosa quindici euro e novanta: molto meno dei precedenti, ma ho insistito con l’editore e rinunciando anche a della pubblicità. Ma l’ho fatto perché volevo dare un piccolissimo segno: rendiamo un po’più facile acquistare i libri, così da veicolare quel messaggio. Fiducia in noi stessi, per ritrovare l’orgoglio di essere italiani.
Quando scrive che il futuro non è nelle mani dei mercati, ma dipende da noi, intende ribadire l’importanza del fattore umano rispetto a spread e mercati?
Siamo a metà strada fra un passato mitizzato e un futuro che sembra non arrivare mai, ma esso dipende da noi e da nessun altro. Sono anche un po’stufo di sentir dire che sta crescendo la prima generazione di giovani che sta peggio dei padri e dei nonni. Ma prima di parlare in questi termini, invito a ragionare su chi sono stati i nostri nonni e i nostri padri. I primi sono morti di guerre civili e mondiali, hanno perso fratelli e amici per delle malattie che oggi si curano con tre pastiglie di antibiotico. I secondi hanno ricostruito un paese fatto a pezzi dai bombardamenti e conteso da eserciti rivali: non hanno trovato tutto facile. So bene che oggi per i giovani non è altrettanto semplice, però pensiamo anche alle cose che possiamo fare. Nel mondo c’è una grande domanda di Italia: è pieno di gente che vorrebbe vestirsi e mangiare come noi. Cerchiamo di essere noi a soddisfare quel bisogno, diventiamo imprenditori di noi stessi e valorizziamo quel tesoro su cui siamo seduti.
Dove abbiamo sbagliato?
Pensiamo al mondo globale come a una fregatura, in quanto si tiene in casa e ci porta via il lavoro. Invece è una grande opportunità per un paese come il nostro.
Paghiamo lo scotto della scarsa consapevolezza del cosiddetto mito italico?
A volte tendiamo un po’troppo all’autodenigrazione, il che non vuol dire che tutto va bene. Vi sono molte criticità ed è giusto denunciarle, come faccio nel libro. Però vi sono anche cose che funzionano. Ma attenzione, non si tratta di fare un catalogo con ciò che va bene in un mare di fango, bensì l’Italia può uscire dalla crisi solo se lo fa tutta insieme. E partendo dal sud. Questa incessante domanda di Italia che c’è all’estero è principalmente domanda di sud: uno straniero che pensa al nostro paese, nel suo immaginario ha il sole, il mare, il buon cibo. Ma anche elementi ancor più importanti come la cultura, la bellezza, la natura, il calore umano, l’ospitalità, il senso dell’umorismo, l’arte del vivere. E poi l’apporto del cinema di Totò, del teatro di Eduardo, della musica popolare napoletana, della letteratura siciliana novecentesca.
Cos’hanno dimostrato i 150 anni?
Che noi italiani siamo più legati all’Italia di quanto amiamo riconoscere: la patria, il tricolore, l’inno erano considerate cose residuali e invece…sono stati un successo. Ora bisogna soltanto imparare a crederci.
L’Italia s’è ridesta, quindi, è un inno alla speranza?
Sicuramente un libro pieno di ottimismo, su chi siamo e su quello che possiamo fare, sulla fiducia e sull’orgoglio, curiosando città per città, dove ho visto segni di ripresa. La mia Torino, negli ultimi anni ha cambiato umore, da chiusa e pessimista ora è aperta e piena di locali. Milano in crisi? Niente affatto, resta centrale con la moda e la finanza. Roma è una città maleducata, volgare con mille difetti, ma è dinamica e soprattutto è la capitale più bella del mondo. Napoli si è ribellata agli scandali, e si è inorgoglita di avere un Capo dello Stato che ne porta il nome in giro per il mondo. Una volta la Puglia non era di moda, Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano.
E invece adesso tutti primeggiano nel rivendicarne l’appartenenza…
Da Carofiglio a Caparezza, e passando per Checco Zalone: ciò non avviene per caso, ma perché in quella regione si è fatto un gran lavoro di recupero dell’identità, della cultura enologica, musicale e civile che produce positività. Turismo è un termine riduttivo e andrebbe cambiato, come spumante: una cosa buonissima ma che detta così non ne rende a sufficienza l’idea. Turismo non significa solo cuochi e camerieri, che per fortuna ci sono ma ve ne dovrebbero essere di più e di italiani. Ma in generale vuol dire mettere un sicurezza il territorio, restaurare i monumenti, investire: perché ha bisogno anche di artisti, musicisti, banchieri. Insomma, di italiani.

Fonte: Italiani quotidiano del 17/10/12
Twitter@FDepalo

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