domenica 21 ottobre 2012

Carceri, crolla il sistema Italia. Servono amnistia e indulto


«Siamo l’unico paese continentale condannato anche dalle istituzioni europee – attacca la deputata radicale Rita Bernardini – sulla giustizia e sul dramma carcerario non servono nuove trasmissioni o promesse, in Italia manca un dibattito serio sulla giustizia, quello che dovrebbe condurre a una stagione di riforme.».
Il carcere di Parma ha una capienza di 380 unità, ma ve ne sono quasi il doppio: è arrivato il momento, dopo spread e crisi, di occuparsi seriamente anche di un grande tema come le carceri?
Per lo stato di diritto e per la legalità, quel momento è giunto da tempo. Mi auguro che lo Stato italiano la smetta di comportarsi come un “delinquente” qualsiasi. Posso capire che in un periodo circoscritto uno Stato si possa trovare in difficoltà, e con le opportune segnalazioni, rientrare nella legalità nel breve termine. Ma quando l’illegalità carceraria va di decennio in decennio, si entra in una sfera che di legale non ha proprio nulla e che tra l’altro è anche contro il dettato costituzionale. Noi abbiamo chiesto al Capo dello Stato un messaggio alle Camere, per richiamare le istituzioni. Ricordo come tutto ciò che è accaduto sino ad oggi sia non solo inadeguato, ma anche indegno: e lo dimostrano le morti nelle carceri che non purtroppo cessano.
In Sardegna proseguono le proteste per l’arrivo nell’isola di detenuti pericolosi: come evitare il corto circuito sociale?
Sono contraria a queste vere e proprie deportazioni, perché la pena per il detenuto è il carcere, ovvero la privazione della libertà. Dopo di che l’ordinamento penitenziario prevede che i detenuti vivano vicini alla famiglia, in quanto se perdessero quel contatto, diventerebbe difficile qualsiasi tipo di reinserimento sociale. Gli affetti non spariscono solo con la commissione di un reato, sia chiaro. Anzi, devono essere coltivati, altrimenti quella persona non sarà mai rieducata e non avrà gli strumenti per essere reinserita nel tessuto sociale del paese. Invece dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria proseguono in questa direttrice: con un aggravio notevole di spese per le casse dello stato, tra spostamenti in aereo e scorte. Il sistema sta precipitando e nessuno riesce più a reggerlo, dal momento che un ragionamento del genere non si esaurisce solo con il problema del carcere in sé. Ricordo che siamo stati più volte condannati in sede europea anche per l’irragionevole durata dei processi: l’unico paese del continente a versare in queste condizioni. Come ricorda spesso Marco Pannella, in televisione siamo abituati ad ascoltare, in occasione di incidenti stradali o tragedie di vario tipo, le impressioni o le testimonianze di parenti e amici delle vittime. Ciò non accade quando qualcuno muore in un carcere. In Italia manca un dibattito serio sulla giustizia, quello che dovrebbe condurre a una stagione di riforme.
Sembra che presto in Rai potrebbe andare in onda una striscia informativa sul mondo carcerario, con un certo gradimento anche da parte del Colle: una piccola soddisfazione per il vostro impegno?
No, perché noi chiediamo riforme. Nell’immaginario collettivo si dice che i cittadini italiani siano contrari all’amnistia,  ma se potessero toccare con mano le condizione in cui i detenuti scontano le loro pene, beh forse più di qualcuno si ricrederebbe. Servono dibattiti seri e approfonditi, non i brevi servizi sulle statistiche mandati in onda durante i tg. Quante persone sanno che nel nostro paese dei cinque milioni di procedimenti penali in atto ne cadono in prescrizione duecentomila all’anno? E in quel caso, poi, è finito tutto: nè vi è risarcimento alla vittima. Di fatto un’amnistia “sotterranea”, che non viene pubblicizzata.
Se fosse ministro della Giustizia quali i primi provvedimenti che assumerebbe?
Amnistia e indulto per far tornare il nostro paese nella legalità, il che comporterebbe anche liberare molte risorse. Eviterei inoltre il cosiddetto “appellicidio”, ovvero aver elevato i costi da sostenere per una causa civile e scoraggiando di fatto il cittadino intenzionato ad andare fino in fondo. Certo, poi ci sono i cittadini più ricchi che se lo potranno permettere, ma è il principio che contesto.
Da Bari si fa notare il progetto “Reinclusione”, un laboratorio lavorativo per i detenuti a stipendio ridotto: pensare a simili casi come l’evoluzione del sistema è solo utopia?
Parliamoci chiaro, se non faremo rientrare la popolazione penitenziaria in quella che è la capienza regolamentare, a nulla serviranno in un secondo momento pur lodevoli progetti. È chiaro che il lavoro e la scuola sono la base di partenza e il nodo centrale di un qualsiasi programma di riabilitazione. Ma qui manca l’indispensabile.

Fonte: Italiani quotidiano del 19/10/12
Twitter@FDepalo

Nessun commento: