giovedì 28 ottobre 2010

Quello che non deve fare un partito moderno


Da Ffwebmagazine del 28/10/10

Sandro Bondi all’Unità: «Quando sento parlare del fallimento delle ricette liberali di Berlusconi mi sembra che la sinistra abdichi a un’analisi rigorosa della realtà». Non solo la sinistra allora, verrebbe da dire al ministro della Cultura, ma fior fior di liberali italiani come Fiori, Biondi, Martino, Gawronsky hanno manifestato la medesima preoccupazione negli ultimi mesi. Pericolosi comunisti anche loro? Significa che non c’è sinistra, destra o centro che tenga quando a essere deluse sono state le speranze del cambiamento, come dimostrato da molte vicissitudini interne ed esterne al fu Pdl.
Si prendano le liberalizzazioni delle municipalizzate: dopo gli annunci e le pagine stampate (punto 4 del programma elettorale del 2008) la realtà si è scontrata con il mancato entusiasmo di quegli alleati che nel loro statuto vogliono la secessione. Dov’è finito quell’annuncio di tagliare le province, che nei comizi procurava approvazione e consensi? Lecito chiedersi: forse i vertici del partito si sono poi accorti che in quel modo si sarebbero intaccati i tesoretti locali della Lega?
E ancora, sempre nel programma del Pdl vergato nel 2008 (nella cui prima pagina c’è scritto che «si estende sull’intero arco della legislatura e sarà integralmente realizzato entro il suo termine») il punto numero 2 recita: completamento del processo di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e diffusione della larga banda su tutto il territorio nazionale. La realtà, invece, dice che in molte zone d’Italia internet mobile è ancora un’utopia e la banda larga è solo una promessa. Senza contare il digitale, con ritardi atavici rispetto agli altri Paesi europei e con un mancato introito per l’erario di quattro miliardi di euro che inspiegabilmente il ministro delle attività produttive, (ma ha l’attenuante di essere stato nominato da pochissimo) non incassa.
Ma la disamina del coordinatore non si limita esclusivamente a negare l’evidenza circa l’indole per niente liberale del Pdl, ma avvia un’arzigogolata riflessione sul senso dei partiti moderni e sulle mancate risposte alle problematiche della collettività, così come fatto in qualche modo dal premier alcune settimane fa, quando aveva abbozzato un’autocritica rivolta proprio al Pdl.

Bondi accusa destra e sinistra di essere in difficoltà nel mantenere una propria identità, «di tutto si discute - scrive - fuorché di uno scenario che mette in discussione le nostre convinzioni e le nostre certezze». Se da un lato richiama all’esigenza di dibattito e di vivacità intellettuale, dall’altro non riesce proprio a incarnare quell’indipendenza di opinioni, di metodo, di analisi dal padrone, dal momento che poi quando si tratta di dibattere, di dialogare e di controdedurre, si appiattisce sulle posizioni di Berlusconi, avallandone anche provvedimenti illiberali e stalinisti come l’espulsione di Gianfranco Fini dal fu Pdl.
Pertanto destano profondo stupore le sue parole, quando dice «continuiamo ad essere prigionieri di una sorta di coazione a ripetere intellettuale, di formule superate da ciò che si sta dispiegando sotto i nostri occhi». Perché, delle due, l’una: o Bondi riflette lucidamente sullo stato delle cose nel suo partito ma poi masochisticamente rafforza lo status quo di contenitore azienda; oppure crede di prendere in giro elettori e analisti.
Il ministro della Cultura termina la sua arringa sostenendo: «Il cammino della sinistra non ha fatto passi in avanti, ma ha subìto una pesante ricaduta all’indietro, verso modelli culturali che abbracciano tutte le forme di antagonismo e di conflitto sociale e politico. Esattamente il contrario della sinistra che servirebbe al nostro Paese».
Per una volta d’accordo con lui. Ma se provassimo a sostituire alla parola sinistra il termine centrodestra, cosa accadrebbe? E soprattutto se il coordinatore del fu Pdl avesse impiegato in questi diciannove mesi la medesima arguzia che ha manifestato per demolire il socialismo europeo, nel processo di strutturazione del fu Pdl, forse oggi anche in Italia si avrebbe un partito liberale, moderato, moderno ed europeista. Senza un padrone che decide per tutti.

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