domenica 31 ottobre 2010

Coscienza senza consenso. La lezione di More


Da Ffwebmagazine del 30/10/10

Ha scritto Thomas More “io non ho mai affidato il peso della mia coscienza ad alcuno, nemmeno all’uomo più santo che oggi conosca”. Il giurista, uomo di lettere, diplomatico e Lord Cancelliere inglese intese elevare il primato della coscienza a momento catartico, allontanando il consenso dei più. Senza far sembrare un bene ciò che appare buono agli occhi della maggioranza, rafforzando la validità estrema del messaggio “liberi dai forti”. Dove viene elogiata quella libertà che non si lascia intimorire dalla prepotenza, l’indipendenza del singolo che non cerca a tutti i costi l’approvazione dei molti, ovvero dei peggiori. Una tesi quanto mai attuale, dal momento che la società moderna appare sempre più preda di quel perverso manipolatore delle singole anime che prende il nome di consenso.
Nell’Utopia More affronta molteplici questioni con lo strumento della lettera. In lui la formazione della coscienza fu un passaggio cruciale: riteneva che fosse indispensabile al distacco dalla massificazione dei pensieri. Solo rinunciando al consenso come bussola di perenne approvazione, si potrà verificare la fedeltà alla propria coscienza, dove quel ‘propria’ appartiene alla sfera dei singolo individuo pensante ed autonomo. Contrariamente si favoriranno quegli animi amebici, quasi ondeggianti tra le opinioni degli altri; fluttuanti in una sorta di limbo della pubblica opinione di maggioranza, dove una scia invisibile traina pensieri e parole.More focalizza l’attenzione sulle criticità della società inglese, dove la concentrazione di ricchezza e del potere politico incrementa le disuguaglianze, allontana un modello di convivenza sociale, in quanto l’uomo è ridotto ad incarnare una figura astratta, composta esclusivamente da ciò che produce. Evidenziando un’interdipendenza isterica dal denaro. Ecco il primato della coscienza, dunque: attraverso il disinteresse per le preferenze della massa, sarà possibile sostenere la fedeltà alla verità ed all’intelligenza umana. Con l’uomo che si sforzerà in questo modo di solcare anche strade impervie, pur di risolvere quesiti complessi che impongono il ragionare e non l’appiattirsi a soluzioni di maggioranza.

Una lezione tremendamente attuale, tra l’altro ricordata nel volume “Il primato della coscienza”, un omaggio a Thomas More nel decimo anniversario della proclamazione a patrono dei governanti e dei politici, con contributi di Cesare Salvi, Rocco Buttiglione, Paola Binetti, Francesco D’Agostino, Giovanni Conso, Antonio Casu. L’occasione per riflettere a più cervelli sull’incontro di tre elementi, politica, cultura e religione che, secondo Jacob Burkhard, azionano il cammino umano. Una sintesi più volte approfondita da More, epitetato “a man for all seasons”: non solo “uomo per tutte le stagioni”, definizione che oggi non rappresenta propriamente una peculiarità positiva. Ma meglio “uomo di tutti, in tutti i momenti”, sottolineandone invece la valenza conciliativa, il suo disporre degli strumenti idonei a governare situazioni differenti.
L’interrogativo di More, su quale sia il fondamento della legge al fine di carpirne le conseguenze sulla vita della collettività, è ancora rivolto all’oggi. Dove la società liquida del terzo millennio si specchia sempre più frequentemente nella ricerca ossessiva del riscontro, dove l’immagine (non quella reale, ma quella costruita per somigliare a qualcuno, magari al capo, o a cosa lui preferisca) supera la sostanza sino a stroncarla. Con gli incentivi mediatici rivolti a modelli predefiniti, che nulla hanno a che fare con la conformazione del singolo, con il suo effettivo stato d’animo, con la libertà di poter dissentire, di non volersi uniformare a masse galleggianti, in apparenza di cemento armato. Ma solo fino al momento in cui la certezza granitica si sfalda sotto il peso di una livella ormai logora.

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