"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
venerdì 15 aprile 2011
Mughini: «C’è un debito pubblico italiano nei confronti di Svevo»
Dal Futurista del 28/03/11
Una vita da eroe, quella di Svevo, un gigante della letteratura nei confronti del quale Giampiero Mughini, autore di In una città atta agli eroi e ai suicidi. Trieste e il caso Svevo (Bompiani, pp.160, € 15), crede che ci sia un enorme debito pubblico. La Trieste di Saba, Stuparich, la città dove c’è un fiume di etnie, razze, religioni.
Un atto riparatore nei confronti di Svevo?
Non solo nei confronti di Svevo, anche se quello è un atto dovuto. L’ho scritto: è come il debito pubblico italiano, ognuno di noi ne ha una parte anche se non lo sa o finge di non saperlo. C’è un debito pubblico italiano nei confronti di questo gigante della letteratura nazionale ed europea. Lui scrive nell’ottocento, ma è uno scrittore del ventesimo secolo. Quindi un atto riparatore nei confronti di Svevo certamente, ma ancor di più un atto, non dico di riparazione ma di present arm, di levata di armi nei confronti di questa città dimenticata: la capitale italiana della storia moderna, la civiltà per la quale abbiamo fatto una guerra affinchè fosse italiana, una città i cui figli sono andati in prima linea da volontari e con il pericolo che venissero impiccati, se presi prigionieri degli austriaci. Non si dimentichi che la donna cui venne affidato l’incarico di scegliere una tra le undici salme di militi ignoti, scelse quella di una madre tedesca, Maria Bergama Sobbergamas, che aveva perduto il figlio durante i combattimenti della prima guerra mondiale: aveva disertato l’esercito austriaco. Ora, questa città, Trieste, con un tale risalto, con la storia del dopoguerra viene amputata dal resto d’Italia. Per un tempo, sino al 1954, è sotto l’amministrazione inglese. Corre il rischio di entrare a far parte della Jugoslavia. Mentre i comunisti italiani esaltano l’ipotesi. Poi quando torna a far parte dell’Italia, beh, i giochi sono fatti. Quella città è rimasta lontana, poco pronunciabile, non più il porto dell’impero austriaco, ma una città geograficamente marginale. I cui figli non stanno più a Trieste, ma appena possono se ne vanno a cercare fortuna nel resto d’Italia. Valga per tutti il caso di Renzo Rosso, scrittore anche lui dimenticato, in realtà tra i più grandi negli anni sessanta-ottanta.
Come si fondono eroi e suicidi in quella città?
A volte è la stessa persona, è il caso lampante di Carlo Stuparich, suddito austriaco ma volontario nell’esercito italiano. Intellettuale di grande raffinatezza, ha 22 anni quando viene circondato dagli austriaci lì su una collina. Se venisse preso prigioniero sarebbe impiccato. Un eroe suicida, che è anche un ebreo: sono queste le tre valenze fondamentali di questa straordinaria città. Un eroe intellettuale e assieme un suicida. La bellezza di questa Trieste italiana è che nasce lì dove c’è un fiume di etnie, religioni, razze. Quindi Svevo è soltanto un eroe della letteratura, in una città che come capitale del moderno vive in anticipo tutte le febbri del moderno. E chi legge Svevo potrebbe essere nella Milano o nella Roma dei tardi anni trenta. Quella città semplicemente era in anticipo sul resto dell’Italia, una città borghese dirimpetto alla Vienna di Freud, all’Austria della grande cultura.
Da non triestino si impegna a richiamare l’intimità di Trieste: perchè e come ci è riuscito?
Perchè le uniche cose che contano sono quelle che stanno nella testa. Io non ho più alcun interesse di quello che accade. In questi mesi ho pensato ad un certo punto di fare una capatina a Trieste: la città che mi stava a cuore era quella della mia fantasia. Che avevo un po’imparato a conoscere con alcuni libri: Svevo, Stuparich, Saba.
E’proprio questa inquietudine interiore a spingere verso una ricchezza, come summa di contrasti?
Le cose non coincidono a perfezione, nel senso che il commercio è una cosa e il commercio delle idee un’altra. Però le due cose non sono neppure contrastanti. Era una città aperta al mondo, nella quale contemporaneamente si parlava il dialetto triestino, l’italiano, lo sloveno, l’inglese ed il tedesco: vera punta dell’Europa e delle capitali europee. In un’Italia dove altrimenti si parla il dialetto regionale, la cultura è fondata sul latinorum o sul rimpianto delle vecchie zie. Mentre Trieste è una città dove è spietata la legge del dare e dell’avere. Svevo viene mandato da suo padre a studiare il tedesco, non perché suo padre volesse che mandasse a memoria Freud o Nietsche, ma perché doveva imparare la lingua del business. Poi naturalmente Svevo invece legge proprio Nietsche e Freud, Otto Weininger: questo tempio eretto alla misogenia di inizio secolo. Un autore, quest’ultimo, oggi molto dimenticato. Circolano quindi queste idee, questi umori, queste passioni: mammamia, che città!
Cito: “Se uno che scrive non ci caccia nei guai, che razza di scrittore è?”. Crede che gli scrittori oggi evitino quei guai?
In un mercato editoriale come quello di adesso, questo libro è di difficile apprezzamento. Certo, se ne avessi scritto uno sulla biografia di Berlusconi o una filippica contro la camorra…
Sull’Italia di oggi, qualche tempo fa, ha detto che è un altro Paese, né migliore né peggiore. Il raffronto invece di quella Trieste di ieri con quella odierna, può essere attualizzato con la sua riflessione?
Trieste è una cosa, il resto d’Italia un’altra. Non si può chiedere alla Trieste di oggi un raffronto con quel passato, di Svevo, di Saba. L’Italia, invece, l’abbiano davanti. Dopo gli anni sessanta, gli anni di piombo, il benessere in parte fasullo degli anni ottanta, e poi tangentopoli. E, questa, che io definisco la tragedia della seconda repubblica, che in questo momento è nel pieno del suo esercizio. Siamo arrivati al punto di avere un non- governo ed una non-opposizione. In quanto non vi è né una forza politica degna di governare, né una che sia degna di esercitare l’indispensabile diritto e dovere dell’opposizione.
Come uscirne, dunque?
L’unico vantaggio che ho è che non appartengo alle nuove generazioni, non ho questa responsabilità. Io la vedo senza uscita. E’come la retorica fasulla sull’unità d’Italia, figuriamoci se non siamo tutti per l’unità. Ma poi questa unità dov’è? Le regioni, le generazioni e le fazioni sono l’una contro l’altra, armate. Non c’è un linguaggio comune, non vi è un tessuto di riconoscibilità delle parole.
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