giovedì 27 gennaio 2011

Che cosa c’è dietro il caos in Albania?


Da Ffwebmagazine del 27/01/11

Kosmos, mondo, universo. Ma anche altro, altri e ancora finestre su ciò che accade a longitudini e latitudini lontane, senza preclusioni per posizioni ed opinioni. Un approfondimento costante e sotto traccia, in collaborazione con L’interprete internazionale, per slacciare quel cordone ombelicale che troppo spesso lega l’informazione alla contingenza locale, impedendole di mettere il naso fuori dalla propria visione. (Per segnalazioni e commenti inviare una mail all’indirizzo: francesco.depalo@libero.it).
Prima il regime comunista, poi un moderato benessere, una vita democratica. Pochi giorni fa la piazza che si infiamma, morti nelle strade e un primo ministro accusato di corruzione. L’Albania del 2011 non è quella della nave Vlora, che in un’afosa mattina dell’agosto 1991 allagò il porto di Bari con il suo carico di speranza. Ma è una nazione avviata verso uno sviluppo solo tre lustri fa insperato, che si appresta a ricevere investimenti dall’Unione Europea per circa 250 milioni, ma anche “con corruzione a tutti i livelli ministeriali e ramificazioni della mafia italiana”, come spiega la parlamentare socialista Rudina Seseri dai microfoni de Settimana Internazionale. Gli scontri di pochi giorni fa hanno causato tre morti e decine di feriti, con da un lato il premier Berisha accusato di brogli elettorali dal capo dell’opposizione socialista Edy Rama, a sua volta accusato dal primo ministro di voler tentare un colpo di stato. Ma andiamo con ordine: Rama, a lungo vissuto in Francia ma da poco rientrato in patria per fare politica attiva, contesta i risultati delle ultime consultazioni politiche, a suo dire vi sarebbero state gravi irregolarità. Ma Berisha nega tutto, rifiuta il riconteggio e, anzi, come prescrive un’assurda legge dello Stato albanese, brucia le schede elettorali. A quel punto i socialisti si attivano per protestare pacificamente, con uno sciopero della fame attuato in una tenda montana dinanzi al Parlamento, abbandonando i lavori dello stesso in segno di boicottaggio, in quanto non ne riconoscevano la legittimità. Protesta che Rama è stato indotto a sospendere anche a seguito dell’intervento del Consiglio d’Europa, che ha sì fatto interrompere lo sciopero della fame ma dietro il preciso impegno di indagare sulle precedenti elezioni.

Ciò in realtà non è accaduto, tra l’altro in virtù di quell’anacronistica disposizione che cancella le prove di eventuali reati, ma non gli interrogativi sulla regolarità dell’esecutivo in carica. E con lo spettro di nuove consultazioni amministrative previste per il prossimo maggio, in un clima aspro e controverso. Ma dove nasce il caos albanese? Sali Berisha è il veterano della politica a Tirana: nel ’90 si fece largo dinanzi agli studenti che scioperavano contro il regime comunista. “Si presentò dapprima come un emissario del presidente in carica- ricorda Carlo Bollino, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno ma a lungo corrispondente in Albania per l’Ansa- per poi fare il salto della barricata, mettendosi alla testa della protesta, e guidando la rivolta democratica”, per giungere in seguito al potere. Sino al ’97, quando il crollo della finanza piramidale avviò una sorta di conflitto civile che lo portò all’opposizione. Un anno dopo guidò quello che i magistrati definirono “un tentativo di colpo di stato”: i giovani che si riconoscevano nella sua leadership assaltarono la sede del Parlamento contro il governo di Fatos Nano. Il tentativo fallì, e oggi, da ormai due legislature è a capo del Paese.

Berisha accusa i socialisti che protestano per i presunti brogli di voler sovvertire il responso delle elezioni, quelle stesse elezioni di cui non si può accertare la regolarità a causa di schede ormai bruciate. Lecito chiedersi: chi salvaguardia i diritti fondamentali del popolo albanese? E ancora, cosa attende la Farnesina, più volte chiamata in causa proprio dal partito socialista assieme all’Unione Europea, per far sentire la propria voce? Tra l’altro è emerso che il capo della procura di Tirana, per il solo fatto di aver firmato le sei ordinanze di custodia contro gli uomini della Guardia nazionale che avrebbero ucciso i tre manifestanti, sarebbe anch’egli accusato da Berisha di tentare un colpo di stato. Ma il mosaico surreale di questo intrigo socio-politico si arricchisce di un ulteriore dettaglio, quando di apprende che il Premier Berisha si sarebbe reso disponibile dinanzi alla comunità internazionale come interlocutore per fare chiarezza sui fatti di sangue. Sulle cui indagini però si scaglia, accusando il procuratore.

Economia, politica, tessuto produttivo: l’Albania è anche una straordinaria produttrice di prodotti agricoli, che però non riescono ad essere esportati a causa della mancanza di macchinari moderni e di centri di distribuzione. Un intrigo, o meglio, una somma di fatti di cronaca che si intrecciano e sui quali si potrebbero scrivere romanzi gialli, in una sorta di calderone istituzionale dove i ruoli appaiono pericolosamente mescolati, con poteri che vorrebbero soppiantarne altri. Con da un lato “il grande vecchio” della politica del Paese delle aquile, e dall’altro un giovane intellettuale giornalista. Crisi manovrata? si chiede il vicedirettore di Panorama Pino Buongiorno. Infiltrati in entrambi i versanti della contrapposizione? Solo questioni personali dietro questa aspra battaglia per il potere? Domande, legittime, riguardo una realtà che sta faticando non poco a conservare quel minimo di benessere acquisito. E con sullo sfondo ingenti investimenti nel proprio territorio.

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