martedì 25 gennaio 2011

Ricordando il "nostro" eroe: nasce il museo di Caprera


Da Ffwebmagazine del 25/01/11

Il mito dell’eroe, la costruzione plastica di una narrazione che è essa stessa elemento portante di un museo dove non vi saranno solo cimeli o oggetti, o nature morte. Ma sarà la storia la vera protagonista, la favella che veicola emozioni e progetti unitari, il collante della rivisitazione di Giuseppe Garibaldi nel museo nazionale di Caprera. Dove trionferanno non fredde mensole con in bella mostra pezzi abulici del tempo che fu, non filamenti di coperte usate dal nostro o semplici luoghi in cui ha vissuto, ma un museo del racconto. Con in primo piano la parola con cui trasmettere ai visitatori quei valori, le pulsioni di “quei” giorni, le motivazioni che condussero a gesti impressi nei libri di storia, con buona pace dei revisionisti padani.

L’elaborazione di uno spaccato di storia attraverso la stampa popolare virtuale, dunque, i relativi primi scritti che amplificano la sua figura, il contributo pregnante di romanzieri come Alexandre Dumas nella trasfigurazione su pagine delle sue imprese e il cosiddetto manoscritto “Nathan”. Ovvero la testimonianza chiave che riporta le memorie dell’eroe dei due mondi, di proprietà dello Stato, con quell’unica peculiarità rappresentata dalla calligrafia esemplare e limpida di Garibaldi. Spazio poi alla collezione Birardi, ebbra di un’iconografia popolare dalla quale sono stati tratti numerosi allestimenti teatrali, con la presenza di sagome e quinte. Ma è l’elemento naturale, ancora una volta, che lascia sul posto gli altri, che ammaina velleità rappresentative diverse dalle proprie. Sì, proprio la natura, perché viva negli anni garibaldini, perché ancor più presente in quei due mondi, così agli antipodi, così diversi, ma accomunati dalla presenza di un personaggio. È quindi molto significativo il contributo della dimensione geografica e spaziale, con al centro della scena i grandi viaggi, le missioni, gli spostamenti, i conflitti.

Anche in virtù di alcune piantine curate dal generale Viviani e da Erika Garibaldi e pubblicate in Qui sostò Garibaldi. Itinerari garibaldini in Italia, edito dall’Istituto Internazionale di studi Giuseppe Garibaldi nel 1989. Il tutto con due chiavi di lettura determinanti, che attengono alle due dimensioni naturali per eccellenza, la terra ed il mare: entrambe non solo fortemente presenti nella vita e nelle vicissitudini di Garibaldi, ma determinanti anche nelle sue percezioni più soggettive. La dimensione agricola, molto ricorrente nelle vicende dell’epoca, perché tratto somatico di un Paese a forte vocazione agricola, con un rapporto intenso e profondo con la terra fatto di rispetto e di dedizione. Si pensi che una delle immagini più significative di Garibaldi viene dallo sforzo dello scultore Rutelli (nonno del deputato Francesco) che immortalò l’eroe, non nella consueta posa che è possibile scorgere in libri e raffigurazioni, ma a torso nudo e intento a lavorare la terra.

Testimoniando, quindi, la sua passione per l’agricoltura, intesa verso una più proficua organizzazione dell’intero comparto lavoro e con strumenti maggiormente all’avanguardia (concimi innovativi, aratri meccanici per agevolare la semina). E poi la dimensione marinara, ovviamente immancabile, con protagoniste le imbarcazioni, il relativo progresso tecnico, con quell’affascinante vettore che unisce territori e popoli, abbraccia coste lontane e continenti transoceanici. In un incontro di navi che hanno solcato i mari del sud America, in cerca di storie, di racconti, oltre che di rotte commerciali e avventure. Garibaldi si pose al comando di uno dei primi vapori italiani, in un lasso temporale dove la marineria nostrana venne attraversata da uno sconvolgimento tecnologico non indifferente, ma che gli armatori italiani non riuscirono ad intercettare con convinzione.

Ecco che emerge il Garibaldi capitano, condottiero, aiutante, come quando nel 1833 è a Marsiglia e forse incontra Mazzini per rendersi disponibile a sostenerlo nell’insurrezione nazionale. Affiliandosi alla Giovine Italia sotto lo pseudonimo di Cleombroto, per poi due anni dopo imbarcarsi prima per il Mar Nero, poi per Tunisi, e infine per Rio de Janeiro. Sino alle vicende pre e post sbarco a Marsala, con uno scambio epistolare significativo, intercorso con Rosalino Piediscalzi, che ricevuto il messaggio dello sbarco, qualche giorno dopo ne riceve un altro che annuncia la vittoria di Calatafimi: «Caro Rosalino, ieri abbiamo combattuto e vinto: i nemici fuggono verso Palermo. Le popolazioni sono animatissime e si riuniscono a me in folla. Domani marcerò per Alcamo, dite ai siciliani che è l’ora di finirla e la finiremo presto. Qualunque arma è buona per un valoroso: fucile, falce, mannaia, un chiodo alla punta di un bastone».

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